Per un mondo senza sciacalli
[I testi che seguono sono tratti da due pieghevoli del marzo 2003 usciti in occasione del processo ad Arturo e Luca]
Informare
Obbedire
...?
Il giornalista è da sempre il migliore amico dei potenti e dei gendarmi. E' quello che spiana loro il cammino, che tace le loro violenze, sempre prono a giustificarli, che ne propagande le malefatte e li applaude o che li critica perché la prossima volta possano colpire meglio.
E' grazie ai giornalisti che siamo diventati talmente deboli, impauriti e divisi da non riuscire a reagire alla quotidiana repressione e al soffocante controllo della nostra esistenza. Sono i telegiornali a definire chiunque si ribelli - alla guerra, allo sfruttamento, a condizioni di vita sempre più precarie e indegne - un terrorista, un individuo pericoloso per tutti. E' dalle pagine dei giornali che si spinge la rabbia degli sfruttati nelle braccia infide di partiti e sindacati, che hanno gestito il nostro sfruttamento fino a ieri e che oggi vorrebbero gestire la nostra protesta.
I giornalisti sono nemici di chi è sfruttato e non vuole più esserlo, di chi è schiavo e vuole liberarsi, di chi è senza fiato e vuole riprendersi il respiro.
Della retorica sulla "libertà di informazione", del mito del cronista libero e indipendente che con la sua penna denuda i potenti e ne denuncia le malefatte non sono rimaste che vuote parole. Il giornalista è un semplice funzionario, l'ingranaggio cardine attorno al quale ruota la macchina dell'informazione. La sua stretta collaborazione con le questure, la sua inevitabile dipendenza da tutti i gruppi di potere, lo pongono di fatto contro tutti coloro che potenti non sono. Quand'anche si aprisse qualche spazio di "verità" in un giornale, annegherebbe nel mare di banalità e di menzogne che contiene. Assurdo per assurdo, sarebbe come cercare di esprime qualche pensiero ribelle a "Carramba che sorpresa".
Una macchina dell'informazione tritatutto, costruita per creare consenso e mantenere la pace sociale, che manipola le nostre più grandi debolezze e le nostre peggiori paure.
La stampa incarna per i lettori la realizzazione di un'aspirazione: che ci sia chi provvede a che tutto segua la retta via. Essa è allo stesso tempo informazione e giudizio. E' anche uno strumento contro la noia, capace di consolare se non si riesce a ricavare niente di intelligibile dal mondo circostante. Il desiderio che molti lettori hanno di un mondo ordinato, pulito e in cui sentirsi a proprio agio - che si cerca e si trova sulle pagine dei giornali - racchiude in sé anche l'angoscia per questo mondo, considerato incomprensibile senza l'aiuto di altri. Grazie alla sua autorevolezza, il giornale sgrava il lettore della necessità di ordinare, vagliare e valutare gli avvenimenti: fornendo al lettore una raccolta già ordinata e commentata di ciò che accade in modo sintetico e sicuro, la stampa dà la certezza consolatoria che si è ancora in grado di affrontare e capire al realtà, per sentirsi parte di questo mondo. Assumono un senso anche i servizi dedicati alle "storie vere", ai piccoli casi quotidiani; ai lettori viene data la sensazione che parlino della gente, dei destini umani, dei problemi di uomini e donne esattamente come ciascuno di loro. E di un giornale che si mostra talmente interessato al lato umano ci si può fidare tranquillamente. La stampa si mostra una buona compagna, che viene sempre in aiuto quando ce n'è bisogno, riuscendo a dissimulare il notevole potere di persuasione di cui dispone. Ciò che emerge è sempre la domanda posta dai lettori di strumenti utili per capire la società in cui vivono, che diventa necessariamente sempre più astratta, riconducendo gli avvenimenti al singolo e al suo destino, unita al desiderio di conservare oggetti d'identificazione e di proiezione su cui poter finalmente scaricare le preoccupazioni e i problemi personali.
E' questo il meccanismo intimo che crea l'opinione pubblica, che la influenza, che fornisce luoghi comuni di discussione per milioni di persone. E' su ciò che i giornali costruiscono il proprio potere, intrecciato strettamente con gli interessi del dominio.
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***Un po’ di storia.**
Sono passati ormai quasi cinque anni da quei giorni che, almeno per un po’, scossero la quiete di Torino. Allora lo spauracchio del "terrorista ad ogni angolo" non era ancora presente come oggi sulle pagine dei giornali ma qualcosa faceva di già presagire quella che sarebbe diventata presto una normale prassi di polizia.
Così, una mattina, una maxi-operazione delle forze dell’ordine portò alla perquisizione di diverse case occupate torinesi e all’arresto di tre compagni anarchici: Edoardo, Sole e Silvano. Per loro l’accusa era di associazione sovversiva con finalità di terrorismo più tutta una serie di reati specifici. In sostanza gli inquirenti li accusavano di essere gli autori dei diversi sabotaggi compiuti in Val di Susa contro il progetto del Treno ad Alta Velocità. Per i politici e i padroni — e chiaramente per i loro servi togati — non era accettabile che gli abitanti di una vallata si opponessero, anche praticamente, ad un progetto che era da tutti considerato nocivo; non era accettabile che degli anonimi per non vedere ulteriormente distrutta la propria terra, e la propria salute, decidessero di infischiarsene della legalità. Bisognava dunque dare un nome ai misteriosi sabotatori, bisognava rinchiudere lo scontro in una guerra privata fra lo Stato, la Legge, e un qualunque altro soggetto. Vennero scelti alcuni anarchici che non avevano mai nascosto la loro inimicizia verso questa ennesima nocività.
Dunque la magistratura e la polizia costruirono un delirante castello accusatorio per riuscire a giungere alla condanna e, in contemporanea, i giornalisti — tutti i giornalisti — si occuparono di diffamare agli occhi della gente i tre compagni arrestati. La lotta che si stava protraendo in Val di Susa contro il Tav attraverso i sabotaggi venne anch’essa screditata e ridotta al silenzio. Lo Stato aveva ottenuto una vittoria riuscendo ad arginare una reale possibilità di ostacolare il Tav. Ora che il "progetto di morte ad alta velocità" è definitivamente passato e i cantieri sono in costruzione un po' dovunque dovrebbe essere chiaro che l'arma del terrore e della divisione è lo strumento migliore in mano ai potenti.
Qualche giorno dopo il suo arresto Edoardo viene trovato impiccato nel carcere delle Vallette, a luglio anche la sua compagna Soledad si impicca nel bagno della casa in cui si trovava agli arresti domiciliari, Silvano resta in stato di arresto e soltanto anni dopo verrà prosciolto per l’accusa di associazione e condannato per alcuni reati specifici a qualche anno di carcere.
Noi non sappiamo che cosa sia successo di preciso all’interno delle mura delle Vallette né sappiamo che cosa abbia spinto Sole a darsi la morte ma sta di fatto che abbiamo bene in mente chi sono i responsabili della scomparsa dei nostri due compagni: la magistratura, le forze dell’ordine e i giornalisti tutti. Sono loro gli assassini.
Dopo gli arresti, a Torino e in molte città d’Italia, si moltiplicarono le azioni di protesta ma, anche in questo caso, la repressione non tardò a farsi sentire: per molti di coloro che avevano solidarizzato con gli arrestati ci furono galera, denunce e botte.
Anche ai funerali di Edoardo, per quanto la famiglia e gli amici avessero chiesto che si svolgessero in forma privata, la polizia e i giornalisti decisero di non dare respiro.
Così, il giorno della sepoltura, nel paesino di Brosso gli sbirri si presentarono in forze e le vie brulicavano di giornalisti pronti a calunniare, per l’ultima volta, Edoardo. Questa volta non ebbero la meglio e, mentre la polizia stava asserragliata nel Municipio del paese, i giornalisti vennero scacciati, con le buone e con le cattive…
In particolare Daniele Genco, giornalista che più di ogni altro si era prodigato per infangare Edoardo e notoriamente un confidente della polizia — aveva già fatto condannare diversi compagni in passato per degli scontri durante una manifestazione proprio in solidarietà con Edoardo — aveva avuto in quell’occasione il ben servito. Nonostante i ripetuti avvertimenti, Genco aveva deciso di presentarsi al funerale per fare il suo servizio — lo chiamano diritto alla cronaca — infischiandosene delle richieste e dei sentimenti degli amici e dei parenti di Edoardo e, per questo, si è ritrovato con qualche osso rotto.
A Brosso, quel giorno, i compagni di Edoardo hanno dato una risposta dignitosa e collettiva ai ripetuti insulti e alle provocazioni dei giornalisti. Per una volta si è dimostrato che è possibile fare pagare agli sciacalli un po’ delle loro responsabilità.
Anche questo non poteva essere tollerato, così la Procura di Ivrea scelse a tavolino tre colpevoli e, qualche giorno dopo, vennero spiccati i mandati di cattura.
Arturo non venne mai catturato e, in barba alla polizia, ancora oggi è "uccel di bosco"; Andrea, dopo mesi di latitanza, venne messo agli arresti domiciliari per poi essere assolto in primo grado; Luca fu arrestato subito e passò qualche tempo in carcere, mentre fuori una delirante campagna giornalistica si adoperava per infangarlo.
Dopo le pesanti condanne del tribunale di Ivrea — per altro basate per lo più su testimoni fasulli — il 6 di marzo si svolgerà alla Corte d’Appello di Torino l’ennesima farsa processuale. L’intento dei giudici sarà, come sempre, quello di riuscire a rinchiudere in carcere i nostri compagni. L’intento nostro è non dimenticare quei giorni di cinque anni fa e ribadire ben forte la nostra complicità e la nostra solidarietà con gli accusati. Che gli assassini facciano il loro gioco, noi faremo il nostro…*
Per un mondo senza sciacalli
Presidio in solidarietà con Luca e Arturo, Giovedì 6 marzo 2003, ore 09:00, al Palagiustizia di C.so Vittorio Emanuele, terza sezione d’appello
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"L’ingiustizia ha un nome, un cognome e un indirizzo"
Il 6 di marzo si svolgerà presso la Corte d’Appello del Tribunale di Torino il processo di secondo grado che vede imputati due anarchici, Luca e Arturo, per i fatti avvenuti a Brosso cinque anni fa durante i funerali di Edoardo Massari, anarchico accusato dei sabotaggi contro il progetto del Tav e morto nel carcere delle Vallette: suicidato dai giudici, dalla polizia, dai giornalisti e dai politici.
Luca e Arturo sono stati accusati dagli inquirenti di essere fra i principali responsabili dell’aggressione a Daniele Genco: giornalista, confidente della polizia e da sempre fra i maggiori accusatori di Edoardo. Per questo i nostri due compagni sono stati condannati dal tribunale di Ivrea — dopo un processo a dir poco surreale — rispettivamente a tre anni e due mesi e a tre anni e sei mesi di carcere.
Non ci interessa qui discutere delle fondamenta di questo processo. Vogliamo invece rivendicare nel gesto di Brosso un atto di giustizia, un atto di resistenza collettiva, contro coloro che dalle pagine dei giornali hanno accusato, discreditato e offeso un nostro compagno; contro coloro che ogni giorno insultano e infangano l’esistenza di milioni di sfruttati, uomini e donne cui è impedito avere voce.
Oggi, che a tutti dovrebbe essere evidente il ruolo dei giornalisti nella legittimazione delle guerre, della repressione nelle strade, del razzismo, oggi più che mai anche un piccolo gesto come quello di Brosso è un’indicazione, un esempio da seguire. Per questo invitiamo coloro che hanno ancora un cuore e un cervello a dimostrare la propria solidarietà a Luca e ad Arturo ma, soprattutto, invitiamo chiunque come noi venga colto dal disgusto ogni volta che apre un quotidiano a dare il proprio contributo per liberare il mondo dallo sciacallaggio e dal terrorismo dell’Informazione.
Solidarietà a tutti i prigionieri, a tutte le vittime dei giudici in ogni parte del mondo, a tutti coloro che subiscono il terrorismo giornalistico e poliziesco.
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Daniele Genco: una coerente carriera
- Daniele Genco, prima di cominciare la propria carriera come giornalista di second'ordine lavorava all'Olivetti, la più grande azienda del Canavese. Già lì si era distinto, attirandosi il disprezzo dei suoi compagni di lavoro, come informatore: il ruolo di Genco era, di fatto, quello di controllare i tempi di lavoro e l'assenteismo dei colleghi per poi riferirlo ai padroni.
- Cominciata la carriera di giornalista, alla quale si dedica con molta fantasia, Genco riesce sin da subito a far capire di che pasta è fatto. Quando non c'è la notizia, la inventa; quando deve scrivere non si cura minimamente delle esistenze che sta calpestando. Un esempio fra tutti, forse il più tragico: una bambina muore nel 1991 per un banale incidente domestico in un piccolo centro del Canavese e, subito, contro la madre si scatena una campagna diffamatoria dalle pagine di tutti i giornali locali. Anche in questo caso Genco si distingue arrivando - prima dei giudici - ad accusare dal suo giornale la madre di omicidio. Per quanto la gente del paese la difenda a spada tratta, la donna viene rinviata a giudizio e, esasperata dalle voci che i giornali continuavano a seminare sul suo conto, si impicca nel 1993.
- E' in seguito alla piscina di Caluso che Genco comincia ad occuparsi degli anarchici, e in particolare di Edoardo. Sul suo giornale applaude l'operato delle forze dell'ordine al momento dello sgombero e spaccia le violente cariche dei carabinieri contro gli occupanti come una "guerriglia urbana" fra militari e autonomi. Il clima creato dalla campagna dei giornali contro gli occupanti giustificherà le condanne inflitte successivamente dal Tribunale.
- Nel 1993 Edoardo si reca in ospedale per farsi medicare una lieve ferita che si era procurato fabbricando un petardo. I carabinieri ne approfittano subito, gli perquisiscono l'officina dove trovano quaranta grammi di polvere nera, e lo arrestano. I giornalisti, fra cui si distingue Genco, parleranno di un pericoloso "terrorista" che si accingeva a compiere attentati, uno dei quali ad una manifestazione pubblica della Croce Rossa.
- In questi anni Genco si dedica intensamente a Edoardo, alla sua famiglia, che non si sa bene cosa faccia, quali persone frequenti... I commenti personali su Edoardo si sprecano, anche se Genco non l'ha mai incontrato di persona. In compenso cerca di estorcere ai genitori e ai parenti qualche pettegolezzo maligno sul suo conto, trovando prima la cronaca di un figlio indipendente fatta da due genitori normali e comprensivi, poi l'indignazione degli stessi per i suoi articoli.
- Nel dicembre 1993 si verificano degli scontri ad Ivrea durante una manifestazione in solidarietà con Edoardo, ancora in carcere. Genco si offre di identificare i manifestanti e di testimoniare contro di loro. Le foto degli scontri sono offerte dai giornalisti alla polizia. Il processo è ancora in corso - l'appello si terrà a Torino il prossimo sei maggio - e in primo grado gli imputati sono stati condannati a diversi mesi di carcere.
- Negli anni dei sabotaggi contro il treno ad Alta Velocità, Genco usava affiancare all'articolo di cronaca sulla Val di Susa uno specchietto su Massari, definendolo un bombarolo.
- Dopo l'arresto di Edoardo, Genco continuerà ad infangare con ogni tipo di calunnia gli anarchici, Edoardo e i suoi familiari.
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"I giornalisti ogni giorno ci mostrano una realtà fasulla, utile soltanto all’interesse di padroni e potenti. Costoro ci educano all’accettazione di un mondo fatto di miseria ed oppressione presentandocelo come l’unico possibile. Fomentano l’odio fra gli sfruttati e giustificano ogni sopruso e violenza compiuta dai potenti loro padroni (e gli esempi sono sotto gli occhi di tutti).
Questi scribacchini opinionisti distruggono per la propria carriera l’esistenza di milioni di esseri umani ai quali non è permesso avere voce.
Ecco, Genco è tutto questo e non solo. Genco ha sprecato più inchiostro di ogni altro per diffamare gli anarchici, e in particolare Baleno. Questo necrofilo non ha nemmeno avuto il pudore di starsene nella propria casa il giorno del funerale di una delle sue vittime. Questo avvoltoio è venuto a Brosso per provocarci, fregandosene del dolore di amici, compagni e familiari, e ha avuto per il suo insulto una pronta risposta, dignitosa e collettiva.
Genco ha avuto soltanto ciò che meritava."
(Da una dichiarazione spontanea resa durante il processo di primo grado ad Ivrea)
Il processo si è concluso con l'assoluzione di Luca e la conferma della condanna a Arturo (3 anni e 8 mesi). Dopo la sentenza viene effettuato un blocco stradale con speakeraggio, nella centralissima via Roma, all'altezza degli uffici commerciali de "La Stampa". Durante il blocco sono state fatte scritte all'interno degli uffici del quotidiano.
Arrivano sbirri in quantità e si portano via 5 persone.
In serata vengono confermati 3 arresti dei 5 fermi del pomeriggio:
sembra che i reati siano resistenza, oltraggio e forse altro. Due dei tre arrestati (uno dei quali pare sarà imputato anche di tentato furto della pistola di un agente) erano una coppia che passeggiava per la via (ma con un look sospetto da punk). Gli altri due fermati sono stati rilasciati in serata. Uno degli arrestati sabato 8 marzo. Per gli altri due compagni ancora rinchiusi nel carcere delle Vallette bisogna aspettare il ricorso al tribunale della libertà.
Sabato 22 marzo sono stati scarcerati tutti i compagni.
Altri materiali:
Tolleranza zero??? Rabbia mille!!! (Volantino, successivo al processo, del 8/3/03)
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