MA QUALE GUERRA? PER QUALE PACE?

Un dato è certo. Che questa guerra sia provocata dall'intollerabilità agli occhi della NATO delle sofferenze degli albanesi del Kosovo è una menzogna che non ha bisogno di dimostrazioni, se non altro perché la violenza, la strage, il genocidio sono il fondamento del modello di civilizzazione occidentale, pratiche metodiche e quotidiane, a fronte delle quali Milosevic non è che un impertinente novellino. Questa guerra è il prezzo da pagare per il trionfo della pace giusta, dicono. È la guerra democratica contro la dittatura, la guerra della Giustizia contro la barbarie. Questa affermazione appare indiscutibilmente vera e una pace giusta deve essere imposta con ogni mezzo. Nessuno può dissentire: il concetto di Giustizia non lascia spazio ad equivoci perché non vuol dire assolutamente nulla. Chi infatti può sostenere di combattere per il trionfo dell'Ingiustizia? La Giustizia si definisce a posteriori, nell'ordine imposto da chi detiene il potere militare, economico e ideologico per amministrarla; nello stesso modo in cui viene sancito il crimine (e il "criminale di guerra" di turno), soltanto con il Diritto, ovverosia la forza del vincitore.

Come all'interno dei singoli Stati, l'ordine sociale fondato sulla proprietà privata punisce l'appropriazione indebita (non convenzionale, non prevista dalle leggi) con polizie e tribunali, allo stesso modo l'Ordine mondiale fondato sulla violenza, sulla estorsione, sulle armi punisce chi ne fa un uso inaffidabile e fonte di instabilità, con operazioni di polizia e processi internazionali.

La falsità della "guerra umanitaria" è quindi evidente non tanto per i morti innocenti causati dagli "errori" militari, quanto per la chiara volontà di punire non un "crimine contro l'umanità" (concetto che abbiamo visto essere molto relativo), ma la violazione del monopolio del suo uso, gelosamente custodito dai garanti del Nuovo Ordine Mondiale. Proprio nell'affermazione esemplare di questo Ordine sta il senso dell'intervento della NATO. Nella lotta tra Democrazia e Dittatura sappiamo ormai quasi istintivamente da che parte stare, tanto è interiorizzato lo scontro fittizio tra due forme di regime che peraltro non disdegnano di convivere. Il carattere della Democrazia è infatti quello di essere una forma il cui contenuto reale risiede nella difesa delle esigenze del sistema capitalistico mondiale: la regolamentazione (e glaciazione) dei rapporti tra i dislivelli creati nelle diverse zone geografiche del pianeta, tra zone di fame e miseria e zone di sopravvivenza forzata, la produzione e l'utilizzo di merci mortifere, la riproduzione continua di spettacolo e di consenso, la gestione del disastro ecologico ed epidemico, l'amministrazione della comunità del Capitale nella distruzione della comunità umana e di ogni senso di specie.

Alla realizzazione di queste esigenze, della eternizzazione del Capitale e dello Stato, questa guerra è del tutto organica. Un mondo armato fino ai denti deve usare le armi, per farne di nuove e per legittimarsi, così come la Democrazia ha un costante bisogno di allarmi, di emergenze, di contrapposizioni ideologiche e fittizie per estorcere consenso.

La società neomoderna deve distruggere per ricostruire: distrugge l'ambiente per poterne costruire uno artificiale da proteggere, distrugge ogni legame comunitario per fondarne di nuovi e più alienanti, distrugge la natura e l'uomo, per realizzare il dominio reale della tecnologia e dell'inorganico. Fa sempre qualcosa di nuovo, a fronte delle nostre vite, sempre più isolate e private di senso.

Questa è la pace, la pace che tutti vogliono (anche e soprattutto i guerrafondai), la pace giusta della società mercantile-spettacolare, la pace giusta dei cimiteri. Rispetto alla posta in gioco, i costi di questa guerra in termini di vite umane (questo è il linguaggio che si usa) sono ben poca cosa, tantopiù se pagati realmente dalla sola popolazione civile serba, e vissuti dal resto del mondo sullo schermo della televisione.

La rappresentazione della morte e della sofferenza altrui, che invade ogni giorno le nostre case e le nostre vite violate dall'invadenza mass-mediatica, scatena i piagnistei umanitari e il pacifismo lagnoso dell'opposizione democratica, a cui non sembra giusta tutta questa violenza. E così si invoca lo Stato, la diplomazia, i trattati e le Costituzioni per porre fine a questo strazio, dimenticando che senza di essi tutto ciò non sarebbe mai cominciato. Si invoca il Diritto per porre fine alla violenza, dimenticando che il diritto è l'applicazione quotidiana e sistematica della violenza, tanto all'interno degli Stati (democratici e non) quanto nei rapporti tra di essi. Si dimentica colpevolmente che il Diritto senza le armi conta quanto una stupida barzelletta.

E così il Capitale trova nello spettacolo della democrazia il garante della sua eternizzazione; esso traccia i confini di ogni opposizione, riuscendo in un totalitarismo ideologico sconosciuto ad ogni altro regime. Tutto e tutti devono essere democratici, perché la democrazia è la migliore organizzazione sociale possibile. Non si discute, e infatti nessuno, o quasi, lo fa. Infatti la guerra non va bene, non per l'odiosa e mortifera pace di cui è complice, ma perché è un po' troppo cruenta o perché si può fare meglio con la diplomazia, perché turba le beate coscienze dei cittadini o perché l'ONU non ha potuto dire la sua. Ma se è per questo tranquillizzatevi, onesti e democratici cittadini, a una settimana dalla fine della guerra, non avrete sicuramente il tempo per ripensare ai morti o alla diplomazia, angosciati come sarete dalla nuova emergenza propinatavi: quella della Mafia o del terrorismo, del buco nell'ozono o dell'immigrazione, di una nuova tangentopoli o della sicurezza nelle vostre splendide ma tanto inquinate città.

Ed ora tutti insieme a protestare, ma senza esagerare però: le proteste, al giorno d'oggi si fanno la domenica perché in settimana si lavora, si studia, si fa gli obiettori di coscienza; nella vita di tutti i giorni insomma, non si questiona, si obbedisce e basta. Con la realtà quotidiana, con la vita vissuta, questa opposizione non ha nulla. a che vedere, lo scontro avviene nella finzione mass-mediatica e ideologica che si impone come unica realtà. L'importante è partecipare, con la certezza di assistere ad una farsa splendidamente orchestrata. Per non alzare troppo la tensione (ché di questi tempi non è proprio il caso) e soprattutto per farci illudere almeno per un giorno di contare qualcosa, qualcuno è andato addirittura per questure e ministeri a chiedere che per favore non venga rovinato lo spettacolo con il decollo di aerei sopra le nostre teste. Buon divertimento.

PER QUALE PACE?


[Testo di un volantino diffuso alla manifestazione ad Aviano del 6 giugno 1999. Di questa manifestazione - organizzata dalle tute bianche - si parla anche in un articolo tratto dal periodico "l'arrembaggio"]