contro il lavoro della morte...
Ogni anno gli incidenti sul lavoro sono più di un milione e causano più di cento morti al mese, senza contare i 5 mila decessi annui per malattie dovute all'esposizione ad agenti cancerogeni. In questi giorni l'ennesima morte, quella del giovane Albert, avvenuta nei cantieri del Porto Antico genovese. Una morte che ha aperto più dì un'inchiesta che troverà forse qualche capro espiatorio da sacrificare all'opinione pubblica, mentre lo sdegno e la rabbia dei lavoratori saranno recuperati da una nuova vertenza sindacale e svenduti per qualche misera tutela o norma di sicurezza.
Tanto rumore e tanto dolore, ma pochi saranno capaci di vedere in questa tragedia le reali e storiche responsabilità che imputiamo, sicuri di non sbagliarci, ai rapporti di sfruttamento del capitale, allo stato che li regolamenta, alle divise che li difendono e ai sindacati che li mediano nel nome e per conto di chi dovrebbe invece distruggerli. Un sistema che obbliga tutti gli individui, maggiormente ricattabili se immigrati, a vendersi ad un padrone per sopravvivere, a lavorare forzatamente secondo i ritmi scanditi dall'orologio di un profitto che non gli appartiene, il tutto per produrre merci che probabilmente non potranno nemmeno consumare, se non nella loro versione scadente.
La morte di Albert e il ferimento degli altri operai insanguinano l'ultima "opera pubblica" che di pubblico ha soltanto i finanziamenti con la quale viene costruita. Il Museo del mare è una delle tante speculazioni che, in previsione di Genova 2004 città della cultura, va per l'ennesima volta (colombiadi, mondiali, g8 in passato) a modellare questa città secondo le necessità dei suoi padroni. Niente più e niente meno che merce che andrà a riempire le tasche già gonfie dei soliti noti e che, per chi concretamente l'ha costruita ed è sopravvissuto, può tutt'al più rappresentare, se riesce a permetterselo, una distrazione per riempire il proprio riposo forzato. E' la stessa logica che muove la costruzione di infrastrutture per velocizzare spostamenti coatti (metro, terzo valico, alta velocità) piuttosto che nuove e disumane abitazioni, in realtà carceri-dormitorio, utili solo a recuperare energie da rivendere l'indomani sul mercato del lavoro e così via per tutto il resto, nell'infinito ciclo che ci riduce a meri produttori e consumatori di merci che annullano la vita e ingrassano i padroni. Invocare sicurezza e chiedere giustizia alla legge borghese non arresterà la strage né tantomeno permetterà che le nostre vite tornino sotto il nostro controllo. Non deleghiamo a organizzazioni sindacali o partitiche la rabbia e la vita, cerchiamo, di rompere le barriere tutt'altro che insormontabili che ci isolano per riattivare solidarietà e complicità fra sfruttati, non per lucidare le nostre catene ma per spezzarle.
morte al lavoro!
per la non occupazione di massa e la rivolta
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