Che senso ha riproporre oggi testi rivoluzionari del passato, curare la riedizione di vecchi giornali, pubblicare scritti e documenti sui movimenti rivoluzionari o sulle rivolte di un tempo? Secondo alcuni nessuno, essendo stata ogni prospettiva rivoluzionaria sconfitta dalla storia, per cui ogni riferimento ad essa si ridurrebbe a mera sopravvivenza ideologica.

Ma il progetto rivoluzionario è stato davvero eliminato dalla storia? Che affermazione ridicola. Nulla viene escluso dalla storia giacché essa contiene tutto indistintamente. È capitato spesso invece che qualcuno abbia tentato di escludervi i propri diretti rivali. Ma non c'è stato niente da fare; al massimo si può parlare di vincitori e di vinti, di quelli che - per un certo tempo - hanno più o meno influito sul corso degli eventi. Anche se vengono annientate le persone, scompaiono forse con loro anche le idee? È noto che chi non possiede influenza fra i suoi contemporanei la potrà forse avere dopo la sua morte (questo vale tanto per i rivoluzionari quanto per gli uomini di potere, naturalmente). Ecco perché "antistorici" lo siamo solo per chi equipara la Storia ad una ideologia, ad una qualsiasi religione, che divide i buoni dai cattivi, gli eletti dagli esclusi. Si tratta di una rimasticatura della famosa filosofia della storia di Hegel, la cui ultima versione fu lo stalinismo. Secondo questa logica, la storia è un tutt'uno che progredisce e ogni sua tappa successiva rappresenta un trionfo della ragione (o della libertà, o della democrazia). In questo senso le frasi fatte del tipo: "andare nel senso della storia", "stare al passo con i tempi", "vivere il proprio tempo", indicano il compiacimento tipico di chi è consapevole di non poter perdere la partita. Quelli che deplorano la nostra situazione sono sì dalla parte della Storia. Partecipano, più o meno attivamente, a ciò che esiste. Non molti anni or sono l'URSS veniva considerato il paese della libertà e chi osava parlare dei campi di concentramento siberiani era un piccolo borghese. Oggi invece si dice che solo la democrazia sia in grado di donare la libertà e chi osa criticarla è un retrogrado, un reazionario. Ciò che non contribuisce al cammino della Storia non serve a niente. Tuttavia, tra l'essere ritenuti inutili e il partecipare a ciò che viene presentato come la marcia ineluttabile della storia, non abbiamo dubbi sulla scelta da fare. In poche parole, non ci interessa partecipare al culto della divinità chiamata Storia e nutriamo un certo disprezzo per chi la usa come grimaldello polemico, richiamandovisi frequentemente quasi si trattasse di un argomento senza replica.

Comunque questo non significa che ci disinteressiamo del passato. La storia non si srotola attraverso un unico binario, ma è possibile decifrarla interpretandone i diversi fili che la determinano. Una sua possibile chiave di lettura è quella stampata sui libri di scuola, la solita sequela di papi, imperatori, re, ministri, generali, presidenti; insomma il filo storico del potere, dell'autorità, che è anche quello dell'obbedienza. Poi c'è l'altra storia, quella della libertà. E poiché autorità e libertà sono in stretto rapporto, essendo l'una la negazione dell'altra, appare evidente che la storia della libertà è la storia della rivoluzione: il filo storico della lotta contro il potere. Sia chiaro che non stiamo parlando di tradizioni, di scuole di pensiero, ma della libertà il cui soffio attraversa tutta la storia dell'umanità, fin dagli albori. È questa la storia che ci interessa e che vogliamo far affiorare dall'attuale nebbia sociale. Non si tratta di risvegliare la memoria storica o di annegare nella nostalgia, di rinchiudersi tremanti nei ricordi perché non si sa apprezzare il presente, ma di trattenere tutti quei momenti che sono per noi espressione di vita e non di sopravvivenza, giacché la loro realizzazione è indispensabile a quel presente per cui vale la pena vivere. La qual cosa ci sembra tanto più importante oggi, in un momento in cui i vincitori stanno riscrivendo la storia a loro uso e consumo. Insomma, non ci appassiona un passato che non può più tornare - come vorrebbero far credere tutti gli zelanti camerieri di questo mondo - ma la vita, la sua intensità e di conseguenza le sue manifestazioni che il dominio ha tutto l'interesse di cancellare per poter continuare placidamente il proprio corso senza incontrare opposizione. Chi si disinteressa delle passate esperienze rivoluzionarie è solo chi ritiene che la rivoluzione non sia più da compiere. Cioè chi non l'ha mai ritenuta necessaria perché si trova bene in questo mondo, oppure chi pensa di averla già fatta, la sola rivoluzione possibile, "quella dentro la testa", quella delle "piccole cose quotidiane", e via via con tutte le scempiaggini che servono da alibi a chi attende, stanco e deluso, che la morte ponga fine alla propria esistenza. È dunque probabile che molti rimangano interdetti di fronte alla ripubblicazione di vecchi giornali anarchici come Il Proletario e L'Insurrezione, in cui forse leggeranno null'altro che vecchie cose, espresse con vecchie parole, frutto di vecchie idee, legate a vecchie situazioni. Si può certo giudicare un testo in base alla data di stesura o al suo linguaggio (e magari al numero di copie vendute), ma questo criterio di valutazione non è il nostro. Perciò non stupitevi se proporremo "vecchi" testi di anarchici, di luddisti, di arrabbiati, di zappatori, di eretici del medioevo o di chiunque nel corso della storia abbia dimostrato, pur con tutti i suoi limiti, di desiderare ben altro delle briciole di miseria quotidiana che gli venivano concesse. Perché qui sta la questione: non si tratta di scegliere fra il vecchio e il nuovo, fra l'ideologia o l'antideologia, fra la storia e la fine della storia, ma fra l'esistente e ciò che può sconvolgerlo. Solo in nome di un realismo compiaciuto si condannano all'oblio i momenti sovversivi più semplici ed esemplari. Si considera superato, irresponsabile, ideologico tutto ciò che è irriducibile, ciò che ha tutto da guadagnare e nulla da perdere.

Ma, a dispetto di tutti i monumenti e i cimiteri, noi continueremo a richiamarci ad un passato in cui non scorgiamo altro che vita.

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***L'Insurrezione* (1905)**

pp. 40 - Esaurito

"L'Insurrezione", numero unico a cura di un gruppo di anarchici, uscì a Londra nel luglio del 1905, sull'onda dell'entusiasmo sollevato dai moti insurrezionali che attraversavano la Russia in quello stesso periodo e che trovarono il loro apogeo nell'ammutinamento dell'equipaggio della "Potëmkin" al largo di Odessa.

È un vibrante invito all'azione rivolto soprattutto agli anarchici, rei di "criticare platonicamente chi tradisce negli scioperi, chi turlupina i lavoratori", di perdersi in chiacchiere, in discussioni accademiche, in personalismi, in interminabili dispute su chi detenga l'esatta interpretazione dell'Idea, se gli individualisti o i comunisti.

Di fronte agli avvenimenti che incalzano, ai proletari che muoiono di fame, ai governi dei vari Stati che preparano una guerra per evitare la rivoluzione, non ci deve essere posto per l'attesa e la titubanza e non bisogna lasciarsi incantare dal riformismo. Contro tutto ciò Adolfo Antonelli e gli altri suoi compagni propongono l'immediata azione insurrezionale. Armarsi, far propaganda sovversiva fra le masse, iniziare la rivolta.

A quasi un secolo di distanza, chi può dire che i motivi che hanno dato vita a questo giornale siano scomparsi? «Tocca a noi - gli anarchici - agire... nella via della rivoluzione, violenta per necessità sociale, ...per abbattere le tirannie che da secoli ci gravitano sulle spalle: quella dei re, della religione, del denaro e di tutto ciò che è strumento di oppressione e di sfruttamento dell'uomo sul suo simile».

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***Il Proletario* (1922)**

pp. 32 - Euro 2,10

Questo periodico, curato da alcuni individualisti anarchici, esce a Pontremoli il 5 giugno 1922, in un momento in cui la situazione sociale è incandescente, con le squadre fasciste che spadroneggiano ovunque e con scontri all'ordine del giorno. Ricordiamo che il 28 ottobre di quell'anno Mussolini marcerà su Roma.
Intanto il movimento anarchico è ancora scosso dalle polemiche sorte dopo l'attentato al Diana dell'anno precedente. Due sono le testate anarchiche più significative in quel momento: il quotidiano "Umanità Nova" e il settimanale "L'Avvenire anarchico", rispettivamente espressione delle idee dell'UAI e di alcuni antiorganizzatori.
Un discorso a parte va fatto per gli anarchici individualisti, che per semplificazione è possibile dividere in due tendenze: da un lato quelli che fanno del culto dell'io un soggetto di ricerca intima e filosofica escludendosi dalle lotte sociali; dall'altro i sostenitori dell'anarchismo eroico e iconoclasta, che evitano i programmi politici, ma che non esitano ad attaccare armi in pugno la società.

Uno degli esponenti di questa seconda tendenza fu Renzo Novatore, che contribuì a dare vita a Il Proletario, giornale che può essere considerato un tentativo di risposta alle eterne critiche di "mancanza di incisività sociale" indirizzate agli individualisti. Dopo appena 5 numeri, l'assassinio di Novatore e la distruzione ad opera dei fascisti della tipografia dov'era stampato, ne decretarono la fine.

 
 

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