Adesso - Foglio di critica sociale - Rovereto, 17 ottobre 2003 - Numero 17
SÌ, SI PUÒ
In Algeria, in particolare nella regione della Cabilia, dall'aprile 2001 la popolazione è insorta contro tutti i dirigenti della società – siano questi burocrati modernizzatori o integralisti islamici – per riprendersi la propria vita. Come in un “appuntamento segreto fra le generazioni”, gli insorti hanno riscoperto, sotto la brace del Tempo, una tradizione ancora viva, quella delle assemblee di villaggio e di quartiere in cui discutere e decidere in modo diretto e orizzontale. Hanno dimostrato così, nella pratica, che lo Stato non solo è oppressore, ma è anche inutile. Da allora meno del due per cento degli abitanti si reca alle urne per votare, costringendo il governo algerino a svelare al mondo intero qual è la gigantesca menzogna della democrazia rappresentativa e del suo preteso consenso. Sui loro manifesti i ribelli scrivono: “Votare vuol dire tradire la nostra memoria”. La memoria dei fratelli uccisi dall’esercito, la memoria di villaggi liberi che resistono.
Noi non possiamo dire qualcosa di simile, poiché la fierezza ribelle delle genti di qui si perde nel buio della storia. Possiamo solo affermare: “Votare vuol dire tradire le nostre possibilità”. Perché, in faccia ad affaristi e burocrati, a penne vendute e coscienze addormentate, in faccia al ‘benessere’ transgenico e alla miseria col cellulare, vivere diversamente si può.
Il gusto dell’azione diretta – ecco ciò che bisogna ritrovare al più presto. Il gusto di affrontare i propri problemi individuali e collettivi in prima persona, senza deleghe, senza alibi, senza la continua ricerca di capri espiatori. Invece di votare, pretendendo in cambio il diritto di lamentarci (dei salari sempre più bassi o degli affitti sempre più alti, della pensione che non arriva o di un ambiente ogni giorno più inquinato e inabitabile), cominciamo a decidere noi stessi della nostra vita. Cominciamo a prenderci collettivamente quello di cui abbiamo collettivamente bisogno, cominciamo a discutere faccia a faccia, senza mediatori e senza politici di professione.
Le case e gli spazi pubblici vuoti, lasciati in pasto alla speculazione, esistono, e sono tanti. Occuparli e farli vivere è possibile.
Gli ambienti di vita devono essere a misura degli uomini, non delle merci. Se la distruzione della Terra è una conseguenza inevitabile di questa società, questa società non è affatto inevitabile. Inquinatori ed avvelenatori non sono invincibili. Rovesciare un mondo alla rovescia è possibile.
Ci terrorizzano con telecamere, polizia e repressione, oppure con il ricatto del lavoro. Ma il vero problema è la nostra paura. Possiamo imparare il coraggio. I padroni e i loro servi sono pochi, noi infinitamente di più. Ribellarsi è possibile.
Invece di lamentarci che la Sinistra ha venduto i lavoratori, ha spinato la strada a Berlusconi, ha bombardato in Kosovo e così via, smettiamo di renderci complici. I partiti non possono vivere senza di noi. Noi senza di loro, sì. Autorganizzarsi è possibile.
I fascisti si fanno più arroganti, presentano alle elezioni vecchi golpisti e accoltellatori di operai, come de Eccher e Cecchin. Queste carogne le si combatte tutti i giorni, nelle strade, non alle urne ogni cinque anni. Rispondere alle loro violenze è possibile.
I mass-media falsificano e calunniano le ragioni di ogni rivolta. Ma quando le esigenze sono reali, la loro cortina di silenzio e di menzogna si assottiglia e scompare. Comunicare senza filtri è possibile.
Il nostro più grande nemico è la rassegnazione. Ma qui nessun eroe ci libererà, come nei telefilm. Dai rapporti amorosi all’educazione dei figli, dal lavoro che subiamo alla società che vogliamo, sta a ciascuno scegliere, senza aspettare il partito, le masse, l’opinione pubblica o il Superenalotto. A ciascuno, a dispetto del profitto, della legge, delle morale. Perché sì, si può.
Odio tutti coloro che cedendo ad altri per paura, per rassegnazione, una parte della loro potenza di uomini non solamente si schiacciano, ma schiacciano anche me, quelli che amo, con il peso del loro spaventoso concorso o con la loro inerzia idiota.
Albert Libertad, Odio i rassegnati
S’i’ fosse foco
Nella notte del 14 settembre, a Trento, alcuni ignoti hanno sfasciato le vetrine e scagliato una molotov all’interno di un negozio di tatuaggi il cui proprietario è un noto fascista.
Il 3 ottobre, a Rovereto, vengono incendiati il portone e una parte dell’interno di un auditorium. Stando ai giornali, gli anonimi incendiari lasciano nei pressi un volantino con scritto: “Basta fascisti. Basta polizia”. Per la sera dopo, infatti,. nella stessa sala An ha annunciato una conferenza con il parlamentare Abbatangelo sul tema: “Giustizia di sinistra: due pesi due misure. Assassini in libertà, poliziotti incriminati”. La logica forcaiola di queste conferenze, con cui si difendono apertamente i massacratori e torturatori di Genova, trova un degno alleato nell’altra logica, quella magnificamente esposta in un corsivo de Il Trentino da un giornalista di sinistra: per non aumentare la presenza di polizia e non servire involontariamente i fascisti, basta non commettere simili azioni. Scommettiamo che non ci avevate pensato: se il potere è sempre più oppressivo e sfacciato non è perché dilaga la sottomissione, bensì perché si esagera con la… ribellione. Proprio come dicevano, mutatis mutandis, i repubblichini di Salò: se esistono le rappresaglie nazi-fasciste è per colpa di quei banditi dei partigiani.
Nelle strade, fuori dai palazzi
Ai primi di ottobre, una decina di fascisti trentini – alcuni attivi nel Veneto Fronte Skinhead – hanno subìto delle perquisizioni domiciliari nell’ambito di un’inchiesta della magistratura sui gruppi razzisti e antisemiti.
A differenza dei fascisti intervistati dai giornali – i quali, da onesti patrioti ligi alla legge, come si definiscono, si presentano come vittime e invocano la repressione degli anarchici e in generale dei ‘rossi’ – noi non appoggiamo mai la magistratura, neanche quando reprime dei nostri nemici dichiarati, e questo per vari motivi. Primo, perché non auguriamo il carcere a nessuno, mai. Secondo, perché lo Stato, con queste inchieste, nega l’evidenza di aver usato mille volte le squadracce fasciste come strumento per difendere i privilegi delle classi dominanti. Terzo, perché il razzismo più pericoloso – e che nessun magistrato può perseguire – è quello istituzionale, come ben sanno gli immigrati senza documenti. Quarto, perché i “reati associativi” – come quelli previsti dalla legge Mancino sull’estrema destra – finiscono poi immancabilmente per colpire i… compagni, dal momento che “l’odio razziale” può facilmente lasciare il posto, nelle inchieste, all’”odio di classe”. Quinto, perché questi fascisti si sono fatti furbi, hanno per lo più abbandonato l’antisemitismo classico, ‘biologico’, e propagandano un razzismo basato sulle differenze (e gerarchie) culturali. Sesto, perché la lotta rivoluzionaria è nelle strade, non nei tribunali. I nostri nemici li preferiamo liberi…
Lampi
Rovereto.
Nella notte del 19 agosto vengono incendiate e distrutte quattro moto Guzzi dei carabinieri in riparazione presso una concessionaria.
Lana (Bolzano), primi di ottobre . Quattro ragazzini (tutti sotto i quattordici anni) svaligiano una Cassa rurale con un colpo da manuale. Venuti in possesso delle chiavi della porta, si appostano per imparare i codici antifurto, poi entrano in azione nell’orario di chiusura della banca. Purtroppo, nonostante i camuffamenti, vengono riconosciuti attraverso le immagini registrate dalle telecamere. Chissà che festa avrebbero fatto con quei 1800 euro di bentolto. Peccato. Difficilmente, però, con un così promettente inizio, diventeranno da grandi dei docili salariati.
L’attesa della miseria, la miseria dell’attesa
Ci dicono che tutto andrà per il meglio. Che sì, magari c’è qualcosina da aggiustare qua e là, una riforma delle pensioni, una piccola manovra economica, qualche sacrificio da parte di molti. Ma basta avere fiducia e pazienza, e ogni cosa si sistemerà. Siamo tutti benvenuti nell’èra dell’ottimismo.
Nel frattempo, intanto che si aspetta, i soci-lavoratori della cooperativa che gestisce il sevizio di biglietteria al Mart capiscono di essere degli sfruttati. I 5 euro all’ora che guadagnano, l’assenza di copertura in caso di malattia fanno loro intendere il senso attuale di quella solo apparentemente lontana condizione.
Scioperano per tre giorni, sbattendosene allegramente della figura di merda che fanno fare a chissà chi, e mandano in frantumi il luccichio di quello specchio di cemento in cui si riflette la vanità di una città. I padroni provano a sostituirli con altre “risorse umane”, altra merce più accomodante. » tattica vecchia, quella della guerra fra poveri. Quando non funziona, o funziona solo in parte, come in questo caso, è il sindacato a trasformare un misero accordo in una grande vittoria dei lavoratori.
Nel frattempo, intanto che ancora si aspetta, i lavoratori della Siric di Rovereto capiscono di essere degli sfruttati e degli avvelenati. Poiché da sei mesi vanno al lavoro in una fabbrica che non ha più commesse, e ogni volta ricevono lo stipendio con due settimane di ritardo; poiché passano un mucchio di tempo in uno dei luoghi più inquinati della città senza neanche sapere quali potrebbero essere i rischi per la loro salute, visto che l’azienda nega loro la possibilità di effettuare visite specialistiche. Solo un eccesso di pudore o l’eufemismo di un giornalista li conduce a chiedere a chi di dovere la chiusura di una fabbrica che vorrebbero immediatamente veder rasa al suolo.
Nel frattempo, intanto che la precarietà zittisce via via tutte le promesse di un futuro diverso, c’è sempre più gente che si è stufata di aspettare.
L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.
Italo Calvino, Le città invisibili
Chi non ha mai sognato di farlo?
Tornare a scuola dopo le vacanze è, per quasi tutti i bambini, se non un incubo, almeno un brutto sogno. Altrimenti non si spiegherebbe la fortuna intramontabile di Pinocchio, il quale, come è noto, di andare a scuola non ne ha “punto voglia”. Quest’anno il rientro fra i banchi, per gli alunni di una scuola media di Rovereto, è cominciato con un giorno di ritardo. Alcuni anonimi pinocchio, infatti, la notte prima sono passati dai sogni alla realtà e hanno sfasciato e lordato aule, scale, corridoi, senza trascurare di portarsi via le merendine e, già che c’erano, un videoregistratore. Perché la scuola, ghigliottina d’ogni fantasia e riformatorio d’ogni gioventù, è così odiata? Invece di porsi questa domanda, l’unica sensata, politici e giornalisti hanno preferito, come al solito, la retorica più patetica e le ipotesi più idiote. Alcune scritte sui gabinetti contro la polizia e qualche “A” cerchiata sono diventate, “forse”, la rivendicazione politica del gesto (come sempre, dicendo e negando allo stesso tempo, l’importante è insinuare il dubbio). Rivendicazione politica? Come deve suonare goffo e assurdo un simile linguaggio, da adulti noiosi, ai nostri pinocchio…
L’imbattibile assessore e vice-sindaco Donata Loss ha parlato di “attentato all’istituzione scuola e alla democrazia”. Niente di meno. Insomma, tutto quello che disturba a Rovereto, fosse pure una merendina rubata, è opera degli anarchici o, comunque, un attentato alla democrazia. Poco male. A noi, adulti, la democrazia piace quanto a questi ragazzini scatenati piace la scuola. Fosse altrettanto facile marinarla!
Benvenuta carogna
Così titolavano i manifesti affissi a Trento, durante i giorni del vertice di Riva, contro il nuovo questore. Questi gli stralci riportati dai giornali: “ Da un paio di settimane il nuovo questore di Trento è Francesco Colucci. Non è uno sconosciuto. Questore di Genova durante il G8 del luglio 2001, è stato uno dei responsabili maggiori della feroce repressione di quei giorni. Le sue mani sono sporche del sangue dei manifestanti massacrati in piazza, pestati durante l’irruzione alla scuola Diaz, torturati per giorni nella caserma di Bolzaneto. Sono sporche del sangue di Carlo Giuliani. […] Ci ricorderemo di Colucci, morto nell’insurrezione che verrà”.
Lo spettacolo del controllo
Il 2 settembre gli “anarchici roveretani” diffondevano questo comunicato: “Lunedì 1 settembre verso mezzanotte un compagno viene fermato dai carabinieri. Dopo un po', i militi lo portano in caserma dove effettuano delle "verifiche scientifiche" (con dei batuffoli di cotone imbevuti di acqua distillata) nella sua auto, allo scopo di trovare eventuali tracce di combustibile e di terra. Eseguono prelievi sui sedili, sui pedali, sui tappetini e nel bagagliaio. Il compagno viene così a sapere che qualche ora prima ignoti hanno incendiato un ripetitore della Omnitel vicino a Rovereto. Accompagnato a casa, gli sequestrano i vestiti e le scarpe che indossa. I carabinieri, in costante contatto con il P.M. Marco Gallina, gli perquisiscono la casa, la cantina e il garage. In tutto lo trattengono circa quattro ore. Il giorno dopo, sempre su ordine del P.M., altri cinque compagni vengono portati in caserma per prelievi dello stesso tipo sulle auto (per qualcuno anche su quelle dei genitori) e su un motorino. In più, viene prelevato un campione di benzina dai serbatoi. Questa operazione in grande stile avviene due giorni prima del vertice dei ministri degli esteri dell'Unione europea che si terrà a Riva del Garda dal 4 al 6 settembre. Il Controllo mette in scena la propria onnipotenza.
"Alla faccia di queste intimidazioni, salutiamo con gioia l'incendio di un ripetitore, in quanto azione contro il cancro industriale. Finché esisterà il dominio, ci sarà resistenza. Non c'è blindatura poliziesca che tenga”.
Tre giorni dopo un quotidiano locale scriveva di aver ricevuto questa lettera: “Sabotato ripetitore, il Wto è anche qui. No inquinamento, no controllo satellitare”.
Lo spettacolo della protesta
Non c’è molto da aggiungere a proposito del controvertice organizzato a Riva dal “tavolo trentino per un’Europa sociale” rispetto a quanto dicevamo prima che si svolgesse (vedi le Note su vertici e controvertici e il numero scorso di Adesso). Taciamo sui seminari a pagamento (15 euro per seguirli, nonostante più di trecentomila euro di sovvenzione ricevuti dagli organizzatori) e veniamo alla piazza. Assente per scelta ogni realtà antagonista, i Disobbedienti si sono ritrovati soli con le loro messe in scena. Anche i meno critici si sono accorti che il tentativo del venerdì di violare la “zona rossa”, così come le pompe della Esso tagliate durante il corteo della domenica, erano visibilmente concordati con la polizia. Di sicuro lo hanno capito quei ragazzi che volevano fare qualche scritta sulla casetta del distributore. Variabile non prevista nello spettacolo, i Disobbedienti gli hanno tolto i fazzoletti dal volto e li hanno picchiati.
Proprio l’episodio della Esso permette di toccare con mano, come si dice, tutto l’opportunismo di cui i Disobbedienti sono capaci. Ai primi di marzo, in pieno bombardamento della popolazione irakena, alcuni ignoti sabotavano dei distributori della multinazionale americana (pompe tagliate, self-service bloccati). Il portavoce dei Disobbedienti locali, Donatello Baldo, dichiarava che si trattava di un “gesto criminale” che ha “devastato un luogo di lavoro” (vedi L’Adige e Il Trentino del 7 marzo), in quanto gli unici danneggiati erano i benzinai. Le pompe tagliate durante la manifestazione di Riva diventano invece – magia della politica – un gesto “legittimo” di “disobbedienza sociale”: il problema dei benzinai non si pone più (vedi i quotidiani locali del 9 settembre). Ma non è finita. Nella notte dell’11 settembre, alcuni anonimi sabotano altri distributori della Esso in Valsugana. Sul posto, stando ai giornali, viene lasciato un volantino con scritto: “Oltre a fornire carburante all’esercito statunitense, la Esso lo fornisce a polizia e carabinieri. A controvertici concordati con stato e polizia, preferiamo l’azione diretta”. Anche in questo caso, il lettore troverà uno splendido esempio di equilibrismo logico e politico (non condanno il gesto, però… il nostro era più legittimo) nelle dichiarazioni di Baldo sui quotidiani locali del 14 settembre. Insomma, parafrasando un noto filosofo: se i fatti non si piegano ai calcoli politici, beh, tanto peggio per i fatti!
...io so che domani, all'alba, voglio andarmene di qui, perché se rimango qui, avverrà a me quel che avviene a tutti gli altri ragazzi, vale a dire mi manderanno a scuola, e per amore o per forza mi toccherà a studiare; e io, a dirtela in confidenza, di studiare non ne ho punto voglia...
Carlo Collodi, Pinocchio
Trovarlo, trovare il giusto per cui merita vivere, organizzarsi, avere tempo, a ciò muoviamo, perciò apriamo le vie della fantasia, invochiamo ciò che non è, costruiamo nell'azzurro, ci costruiamo nell'azzurro e cerchiamo il vero e il reale là dove scompare il semplice dato.
Ernst Bloch, Spirito dell'utopia
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