Titolo: Adesso - Foglio di critica sociale - Rovereto, 10 agosto 2003 - Numero 16

UN MESE PIUTTOSTO MOVIMENTATO

Dopo parecchi mesi di assenza, eccoci con il numero sedici di* Adesso*. In queste pagine troverete una cronistoria ragionata delle ultime lotte a Rovereto e un testo più lungo di critica della società industriale di massa. In quest’ultimo sviluppiamo alcune riflessioni per chiarire quali sono le basi della nostra posizione rispetto al vertice dei ministri degli esteri dell’Unione europea che si terrà a Riva fra il 4 e il 6 di settembre (e al relativo contro-vertice promosso dai social forum).

Dopo varie occupazioni conclusesi con degli sgomberi nei mesi precedenti, il 9 giugno una cinquantina di persone rioccupa a Rovereto uno stabile vuoto da tempo, ribattezzato già in precedenza Bocciodromo. Nel rifiuto di ogni trattativa con le autorità e di ogni rapporto con i mass media, l’occupazione dura quasi un mese (finora la più lunga). Quotidiane sono le iniziative all’insegna della gratuità (cene, concerti, proiezioni) e contro ogni gerarchia. Come* appuntamenti segreti fra le generazioni*, vengono organizzati due incontri, uno sui Consigli operai e un altro sull’esperienza degli Arditi del popolo e sulla Resistenza sconosciuta. Oltre alle discussioni quotidiane su vari temi, si svolge un dibattito sulla devastazione ambientale alla luce dei vari progetti di nocività che coinvolgeranno le vallate in cui viviamo (autostrade, alta capacità ferroviaria, inceneritore, impianti di risalita). La partecipazione è buona. Quasi tutti i giorni usciamo in città con attacchinaggi e scritte, affrontando soprattutto la questione della casa e della speculazione immobiliare, ma anche quella degli spazi collettivi, del controllo urbanistico e sociale. Ignoti rovesciano della spazzatura nell’atrio del municipio come contributo in merito alle menzogne giornalistiche sugli occupanti che avrebbero insozzato dei giardini pubblici. Dopo quasi un mese, appunto, lo sgombero per ordine pubblico (in assenza, cioè, della querela da parte del proprietario dello stabile). I compagni sono preparati all’evenienza, quindi più di cento celerini – soprattutto di Padova – arrivano per sgomberare uno stabile… vuoto: i compagni sono già usciti, per occupare un altro spazio la sera stessa. Questa volta, nel giro di mezz’ora, gli sbirri sono pronti per sgomberare, mobilitando tutte le forze disponibili (polizia, carabinieri, vigili urbani, guardia di finanza, vigili del fuoco). Gli anarchici decidono allora di uscire e andarsene, con otto volanti che tentano di fermare una decina di compagni senza riuscirci… i giornali dovranno inventarsi le versioni più inverosimili.

AN e Forza Italia annunciano nei giorni prima un presidio davanti al Bocciodromo occupato per pretenderne lo sgombero. Nonostante la polizia abbia già svolto l’infame compito, AN decide di fare un presidio in città per invocare la repressione degli anarchici e denunciare la “mancanza di fermezza” da parte della giunta di centro-sinistra. Una quindicina di compagni scendono in piazza per opporsi e si trovano di fronte in qualche istante più di trenta fascisti, tra cui vari del Veneto Fronte Skinead, con tanto di bastoni, celtiche, saluti romani e “boia chi molla”: uno spettacolo che a Rovereto non si vedeva da anni. I compagni rimangono in piazza finchè possono, poi partono in un mini-corteo tracciando scritte sui muri in ricordo di Dax (l’antifascista accoltellato a Milano il marzo scorso) e contro i fascisti. Non una parola da parte degli antifascisti roveretani. Mentre riportano le foto di bastoni e saluti romani, i giornalisti continuano a parlare genericamente di “giovani di destra”, oppure giocano la carta sporca degli opposti estremismi (anche mesi prima, dopo varie scritte razziste a Trento, hanno riportato come pericoloso precedente gli attacchi… alle sedi della lega e di AN).

Mentre ignoti sfasciano le vetrine di alcune agenzie immobiliari (lasciando, a detta dei giornali, un volantino contro chi specula sul bisogno della casa) e incendiano il portone dell’anagrafe, un gruppo di anarchici lunedì 4 luglio volantina in città sulla questione delle case e degli spazi sociali, contro gli sgomberi e la speculazione immobiliare. Al megafono e sui manifesti si spiega anche cos’è accaduto sabato in piazza. Ad un certo punto passa il capogruppo di AN Pappolla. Un compagno lo avvicina insultandolo per i nazisti veronesi che il suo partito ha chiamato sabato. Il fascista alza le mani per primo e si becca un pugno in faccia. Tutto qui. Per i giornali, imbeccati da costui, si tratta invece di un pestaggio di sette contro uno, con il fascista preso a calci mentre è già a terra. Foto, ambulanza, lettino d’ospedale, giornalisti accolti in casa sdraiato sul letto… il consigliere inscena un patetico spettacolo. Il risultato è un clima di linciaggio. Il portavoce dei Disobbedienti e consigliere comunale di Rifondazione “comunista”, Donatello Baldo, si reca al pronto soccorso per esprimere la sua solidarietà al fascista e definisce “squadristica” l’azione… dei compagni. I “Comunisti” italiani invocano la galera. Scontate le posizioni della sinistra più moderata e quelle della destra (il consigliere provinciale di AN Plotegher dichiara: ´Andremo a prenderli uno per uno"). Per il quotidiano locale di centrosinistra,* Il trentino*, i compagni in città sono ´una squadraccia che volantina".* L’Adige *gli tien testa nell’infamia. L’Unione dei commercianti pretende il pugno di ferro. Il commissario minaccia di massacrarci in piazza e si becca un comizio volante contro di lui, contro la repressione, contro i documenti e l’espulsione di chi non li ha, comizio piuttosto apprezzato da alcuni immigrati. Il questore di Trento promette arresti e fogli di via, ed annuncia l’arrivo di squadre speciali anticrimine da Napoli. Gli sbirri non hanno mai avuto le mani così libere. Intanto, ignoti bruciano tre auto della Telecom lasciando, a detta dei giornali, un breve volantino contro il capitale e le multinazionali.

Per sabato 9 luglio viene annunciato un presidio in piazza "contro ogni fascismo e ogni razzismo" per confrontarsi pubblicamente, contro ogni falsificazione mediatica, su quanto accaduto in città e rilanciare la lotta (sulla questione della casa, degli spazi sociali, dell’opposizione alle nocività a danno dell'ambiente). Si tratta anche di un’iniziativa in solidarietà con gli immigrati, contro quei lager che la burocrazia dell’eufemismo chiama “centri di permanenza temporanea” e contro le espulsioni. Il questore di Trento, rispolverando due articoli fascisti del 1931 e del 1940, decide di vietare il presidio (annunciato per primo) mentre autorizza la contromanifestazione organizzata da AN per lo stesso giorno. La mattina del Sabato si svolge una specie di cerimonia istituzionale a cui la cittadinanza è invitata per "dire no alla violenza". Tolti uomini di partito, sbirri e giornalisti, il presidente del consiglio comunale invita i quindici presenti (o poco più) a "esporre alla gogna e al pubblico ludibrio gli anarchici". Il pomeriggio la città è blindata dalle forze dell’ordine in assetto antisommossa (almeno trecento uomini), per proteggere il corteo di AN (circa cinquanta persone, con striscioni tipo "Noi onesti e puliti, voi parassiti e sporchi") e per impedire il presidio degli anarchici. I compagni danno appuntamento allo spazio anarchico di via Bezzi, dove si svolge un’assemblea partecipata. Si decide di non scendere in piazza, vista l’impossibilità di parlare e l’evidente sproporzione tra le forze (i compagni sono un centinaio), e si trasforma l’incontro in un’occasione di discussione sulla lotta contro i lager per gli immigrati senza documenti e sul vertice di Riva del Garda. La discussione si protrae fino al giorno dopo. La sera della domenica più di settanta compagni scendono in piazza per fare il presidio impedito il giorno prima. Sfuggendo alla trappola mediatica dell’autorappresentazione, i compagni spiegano pubblicamente che i problemi sollevati (dalla casa agli spazi sociali, dal controllo poliziesco all’autodifesa contro i fascisti) sono problemi di tutti; che il punto non è essere d’accordo o meno con gli anarchici, bensì trovare i propri modi per opporsi agli attacchi padronali sempre più violenti, senza deleghe né capri espiatori. I compagni tornano poi in corteo verso lo spazio anarchico, nonostante un paio di provocazioni poliziesche a cui reagiscono con determinazione.

La settimana dopo il questore di Trento vieta di nuovo un semplice banchetto in solidarietà con gli arrestati di Salonicco durante il vertice dell’Unione europea. Intanto arrivano i poliziotti anticrimine da Napoli, blindati della celere girano per il centro e il Comune propone di armare i vigili urbani, il cui personale, ora in servizio anche di notte, viene rafforzato. I compagni volantinano e attacchinano in solidarietà ai prigionieri di Salonicco e rimandano al giorno dopo, allo spazio anarchico, il banchetto informativo.

E' evidente che tutti questi sono preparativi generali in vista di Riva. Il potere vuole abituare la popolazione ad una massiccia presenza poliziesca e lancia un chiaro messaggio contro chiunque voglia ribellarsi. Proprio per rendere più chiaro questo messaggio, il nuovo questore di Trento è da qualche giorno Colucci, questore a Genova durante il G8 di due anni fa. Uno dei massimi responsabili delle brutalità poliziesche in piazza, dell’irruzione alla scuola Diaz, dell’assassinio di Carlo Giuliani, delle torture nella caserma di Bolzaneto, si appresta a gestire il vertice di Riva. I padroni sanno che le condizioni di vita attuali e a venire possono imporle sempre più solo attraverso il terrore, che si manifesta all’esterno sotto forma di guerra e all’interno con la polizia e, se del caso, con le squadracce fasciste. Per tutta la durata del vertice di settembre il commissario del governo dà l’ordine di vietare o sospendere ogni iniziativa (comprese quelle culturali o sportive) in ventisette Comuni del Trentino. La polizia vuole strade libere e allo stesso tempo misurare il grado di sottomissione della popolazione. A Rovereto soggiorneranno e verranno coordinate le forze di polizia durante il vertice. Cominciano fin d’ora a far assaggiare uno stato di eccezione che è ormai la regola, che porta in una città di provincia del Nord Italia un pezzo di Palestina, con i suoi blindati, i suoi check-point, le sue zone rosse permanenti. O, più semplicemente, fa conoscere un po' più da vicino la realtà di certi quartieri metropolitani. La differenza è che tutti questi sbirri, ufficialmente, vista la quasi totale assenza di conflitti sociali dalle nostre parti, per il momento sono lì per i compagni. Come tante volte affermato, gli allarmismi mediatici e la polizia vanno sempre a braccetto, ben accompagnati da tutto il carrozzone riformista.

Nessun lamento. Quando per anni si critica radicalmente il potere e tutti i suoi servi, il vecchio mondo fa quadrato per difendersi. Ciò che è imperdonabile per tutti i politici, non è certo la violenza, di cui lo Stato ha il monopolio, bensì la pratica dell’azione diretta e il rifiuto di ogni dialogo con chi sfrutta ed opprime. Se questo è il crimine, siamo tutti criminali.


<center>***IL MONDO INDUSTRIALE E I SUOI PRINCÌPI**

“Stati di emergenza” e “stati di eccezione” sono divenuti

la regola, guerre e guerre civili sono divenute

la normale forma di esistenza del presente modo di vita.

Karl Korsch

Lo stato di eccezione (o di emergenza) permanente nel quale viviamo esige che la critica sociale riunisca il meglio delle sue intuizioni passate e delle sue attuali ragioni per porre sulla piazza pubblica la necessità di un'autonomia sovversiva contro il mondo industriale e i suoi princìpi.

Mentre il progresso ci impone di pagare un riscatto ormai esorbitante, un sentimento sempre più vivo ci dà la misura di una realtà effimera fatta di paccottiglia. Tutto ciò alimenta un nuovo senso comune: il mondo industriale è alla frutta. Se la potenza tecnologica è sfuggita dalle mani dell’uomo e si ritorce ora contro di lui è perché la ragione strumentale e riduttrice che l'ha fondata portava in sé la propria autonomizzazione. Ecco le principali caratteristiche di questo processo storico e del sistema che ha prodotto:

- l’irreversibilità: contrariamente alla vulgata progressista secondo la quale è l’uso che se ne fa a determinare la portata di un mezzo, gli attuali strumenti tecnologici (energia nucleare, cioè radioattività diffusa, scorie impossibili da gestire, oppure biotecnologie, cioè inquinamento genetico, mutazioni, ecc.) dimostrano che la neutralità della tecnologia è un’evidente menzogna. Il carattere irreversibile di una tecnica la rende umanamente inaccettabile;

- l’assenza di limiti: la potenza tecnologica non può esistere che bruciando tutto ciò che le sta dietro. Il capitalismo nel suo processo economico e l’automazione nel suo principio funzionano allo stesso modo: le svalorizzazioni economiche periodiche e brutali (crolli della Borsa, distruzioni provocate dalla guerra, obsolescenza programmata delle merci), così come la liquidazione degli antichi saperi al fine di rendere indispensabili le protesi tecnologiche, ci gettano in un divenire cieco. Tutto ciò che è tecnicamente realizzabile è legittimato come scientifico: di fronte a una simile demenza in cui il divenire umano è imprigionato in un processo meccanico senza fine, il bisogno di un autentico progresso – nei costumi, nella mentalità, nei rapporti sociali – va cercato contro questa marcia forzata;

- l’innovazione per l’innovazione: la funzione di questo motore dell’industria è quella di escludere i saperi, le capacità e le tecniche precedenti. La pretesa moderna di porsi al vertice della piramide delle conoscenze rende impossibile la coesistenza di tecniche di epoche diverse. Allo stesso modo, l’innovazione affidata agli specialisti finisce per rendere impossibile, a causa della sofisticazione tecnologica e degli apparati necessari alla sua manutenzione, l’ingegnosità di base della società. Facciamo ormai persino fatica a immaginare cosa succederebbe se la creatività degli esseri umani, invece di lavorare come oggi al servizio del profitto e della guerra, fosse al servizio della libertà e dell’autonomia;

- la falsa universalità dei suoi princìpi e della sua realizzabilità: esposta come oggetto di desiderio a tutti gli abitanti della terra, la tecnologia è in realtà praticamente inapplicabile alla maggior parte del pianeta, salvo catastrofi scientemente organizzate;

- la produzione di massa: non potendo che essere concentrata e specializzata, questa spossessa le comunità di base dei propri mezzi di sussistenza e le abitua a veder arrivare le cose da lontano (si tratti di merci o di disastri ecologici), rendendo caduco quando non sospetto lo scambio diretto e ravvicinato;

- la concentrazione dei mezzi di produzione e del modo di abitare: tutto ciò ha oltrepassato da tempo la soglia in cui i supposti vantaggi si sono rovesciati in danni manifesti: l’ammassamento delle popolazioni nelle città ha lasciato il posto all’isolamento e al più angoscioso anonimato;

- l’aumento sfrenato e senza fine della produttività: questo processo, invece di sfociare nel famoso tempo “libero”, rende l’umanità insieme più passiva e indaffarata, poiché, in conformità col vecchio adagio secondo cui la natura umana mercificata ha orrore del vuoto, il tempo individuale e sociale si riempie a tutta velocità d’ogni sorta di necessità artificiali. Senza contare che, anche in senso stretto, la giornata di lavoro si sta allungando per milioni di salariati.

I princìpi dell’efficacia tecnica quale valore assoluto organizzano un mondo invivibile; il suo funzionamento delirante, che ai mali da esso stesso provocati risponde con rimedi ancora peggiori, vuole farci credere che non c’è via d’uscita possibile. Il dominio mostra chiaramente la sua razionalità mostruosa imprigionandoci in una sorta di bolla di sapone (“imbottigliamento” mediatico, ricomposizione artificiale della natura, azione sul sistema cerebrale umano). A favorire tutto questo c’è lo scarto ogni giorno più grande fra l’accelerazione non-umana delle innovazioni tecnologiche e la lentezza, questa sì ben umana, della coscienza a diffondersi nella società. Un simile scarto trova nell’isolamento degli individui un formidabile alleato, perché permette all’apparato tecno-industriale di presentarsi non come il prodotto di un’attività sociale, bensì come una misteriosa potenza fuori dalla storia, quindi eterna. Dipendenza materiale dalle costrizioni industriali, senso di impotenza e richiesta di protezione si fondano così in una tenace sottomissione che ricorda terribilmente quella dell’uomo totalitario degli anni Trenta.

Qualcuno ha detto che ormai persino la qualità del cibo è diventata una questione rivoluzionaria, dal momento che per soddisfare una simile richiesta bisognerebbe sovvertire gli attuali rapporti sociali. Non è forse logico che, da quando gli agricoltori sono diventati un’infima minoranza, per fornire il cibo agli abitanti ammassati nelle città si industrializzi l’agricoltura, si ricorra a ogni genere di pesticidi e così via? Dal grande al piccolo, dal piccolo al grande, se per il profitto si bombardano intere popolazioni, cosa può impedire a quegli agenti commerciali che hanno sostituito i contadini di produrre vino al metanolo oppure di ingrassare le vacche con le farine animali? Se l’uomo è solo un consumatore di merci, perché la natura non deve essere un grande magazzino da saccheggiare? Per avere altro cibo ci vuole una vita radicalmente diversa.

Eppure, di fronte a tanta evidenza si preferisce chiudere gli occhi. Oppure alimentare lo spettacolo di una falsa opposizione che chiede più leggi, regole più democratiche e trasparenti per il commercio globale, amministratori più attenti all’ambiente, e così via. Una simile opposizione non merita, come in passato, il nome di palliativo, in quanto non è nemmeno in grado di ritardare la catastrofe. Non chiedendo affatto di mettere in discussione il proprio modo di vivere, gli slogan che essa propone riempiono talvolta le piazze e le strade di migliaia di persone che rivendicano una globalizzazione più giusta. Pensiamo a tutto quello che si dirà in occasione del contro-vertice organizzato per opporsi al vertice dei ministri degli esteri dell’Unione europea, che si terrà a Riva tra il 4 e il 6 settembre prossimo. Vediamo di entrare un po' nel merito.

A PROPOSITO DEL VERTICE DI RIVA

I ministri degli esteri che si incontreranno a Riva tra il 4 e il 6 settembre dovranno raggiungere una sorta di piattaforma comune da presentare al vertice del WTO di Cancun, in Messico, dal 14 al 20 settembre. Il tema è quello dell’Accordo Generale sul Commercio dei Servizi (in inglese GATS) che prevede, appunto, la liberalizzazione a livello mondiale dei principali “servizi pubblici”. Tra le tante decisioni in corso, la più scandalosa è sicuramente quella della privatizzazione dell’acqua, la quale potrebbe diventare una realtà per i 144 paesi membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Si tratta di un processo avviato da tempo, visto che sette multinazionali si contendono da decenni la concessione di imbottigliare l’acqua minerale e negli ultimi anni anche quella di gestire gli acquedotti. Anche il “Tavolo trentino per un’Europa sociale” – che organizzerà per quei giorni un contro-vertice – insiste sulla privatizzazione dell’acqua, e sulla sua scarsità a causa dell’inquinamento, quale emblema del neoliberismo più sfrenato. A parte le consuete lamentele sull’aspetto non democratico di questi accordi (come se quello che fanno i singoli governi fosse soggetto invece a chissà quali dibattiti pubblici...; inoltre, non erano le istituzioni statali a doverci salvare dal mercato selvaggio?), ciò che è altrettanto scandaloso, nei discorsi di questi riformisti, è lo scarto fra l’ampiezza del disastro che denunciano e le soluzioni che propongono.

Da una parte accennano a cause quali l’industrializzazione dell’agricoltura, la concentrazione delle popolazioni in città sempre più gigantesche, l’inquinamento prodotto dalle fabbriche, lo spreco d’acqua potabile per i macchinari industriali o per le coltivazioni destinate agli allevamenti intensivi di animali, insomma l’essenza stessa del sistema tecno-industriale; dall’altra propongono... nuove leggi, regole trasparenti, persino la partecipazione dei cittadini, sotto forma di bot, alle s.p.a. che privatizzano l’acqua. Ci sono paesi interi in cui, grazie alle meraviglie del progresso, un collasso al sistema bancario lascerebbe le campagne senz’acqua, e questi cittadini fieri di esserlo vogliono altre leggi. Un po' come se, di fronte ad un acquazzone di piogge acide, si suggerisse di coprirsi il capo con foglie di fico biologiche. Le proposte dei vari social forum, ragionevoli secondo la razionalità politica e mercantile, sono semplicemente dementi dal punto di vista concreto e sociale. Non si tratta di denunciare un mondo in sfacelo, bensì di strappare lo spazio per resistere e il tempo per attaccare. Non è solo una questione di quanto si è radicali in piazza. Il punto è che vita si desidera, quanto si è sottomessi materialmente e spiritualmente ad un ordine sociale sempre più disumano e artificiale o, viceversa, per quali rapporti si è pronti a battersi.

Non c’è bisogno di andare a Riva per opporsi al racket dell’acqua. I responsabili diretti di questa mercificazione assoluta (ad esempio le grosse ditte che imbottigliano l’acqua minerale) sono a due passi da noi, sempre. Se i civilizzati non sono in grado nemmeno di difendere l’acqua che bevono – o almeno di capire che altri lo facciano in modo chiaro e diretto –, possiamo andare tutti a dormire. Anche in questo caso, è una lunga catena di dipendenze e vessazioni che oggi ci presenta un conto esorbitante. Solo dall’autonomia verso la società industriale di massa e dall’aperta rivolta contro lo Stato che la difende potrà nascere qualcosa di diverso.

Lo stesso vale, ad esempio, per la questione dei brevetti, compresi quelli sul codice genetico. Di fronte all’entrata del capitale nel corpo umano è semplicemente idiota pretendere opportune leggi di tutela. Il delirio tecno-scientifico, che consiste nel voler trasformare la natura e gli uomini in una sorta di variabili del computer, ha superato da tempo la soglia del non-ritorno: ogni illusione di riformare una scienza interamente al servizio del dominio è solo una lugubre presa in giro. Le azioni avvenute in più paesi contro le coltivazioni transgeniche e contro i laboratori privati e statali che sperimentano sul genoma umano hanno ben dimostrato che la critica della ragion mercantile non ha bisogno di scadenze spettacolari.

Più in generale, ciò che si definisce eufemisticamente globalizzazione sarebbe impensabile senza la base materiale fornita dall’apparato tecnologico. Pensiamo semplicemente a quelli che ci vengono presentati come i fattori principali dello sviluppo e dello scontro economici e militari: l’energia e l’informazione. Quello che può sembrare un Moloch inattaccabile è in realtà una gigantesca rete formata da cavi, antenne, centraline, tralicci e ripetitori facilmente colpibili.

Riprendiamo un filo che viene da lontano. G¸nther Anders scrisse negli anni Cinquanta"Hiroshima è dappertutto" e negli anni Ottanta "Chernobyl è dappertutto". Alcuni ribelli al mondo tecnologizzato dissero negli anni Novanta "Mururoa è dappertutto" (all’epoca in cui il governo francese sottoponeva quell’isola del Pacifico ad esperimenti nucleari assassini), altri compagni ripeterono due anni fa "Genova è dappertutto". Perché la rivolta esploda senza confini e contro ogni spettacolo, perché l’Apparato aspetti un nemico che non c’è e sveli ancor più il suo carattere totalitario, diciamo Riva è dappertutto. Non saremo in piazza contro il vertice dell’Unione europea, perché con le lotte di questi anni e con quelle che verranno abbiamo voluto e vogliamo battere altre strade. Perché il conflitto reale è altrove. Ci sono altri modi per opporsi alla blindatura delle città e delle vallate in cui si vive, modi alla portata di tutti. Vogliamo liberarci dalla dittatura del Numero e dai suoi adoratori. Sappiamo che è una prospettiva che forse darà pochi risultati nell’immediato, ma è decidendo noi come, dove e quando colpire, e difendendone con fermezza le ragioni, che faremo avanzare l’insubordinazione individuale e sociale.


Per un maggiore approfondimento – di cui le riflessioni che precedono riprendono alcuni stralci – sull’incontro di Riva, è disponibile (anche in diverse lingue) un volantone dal titolo Note su vertici e contro-vertici.

 
 

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