Volantini da Genova
In Cabilia, il 18 aprile 2001, l’assassinio di un ragazzo da parte dei gendarmi ha scatenato la rivolta di una gioventù che, non avendo più nulla da perdere se non le proprie catene, è scesa nelle strade al grido di: Non potete ucciderci, siamo già morti. Bruciando le caserme e i seggi elettorali essa ha espresso, per anni e su grande scala, la stessa collera intravista qui a Genova pochi mesi dopo, nel luglio, nel breve arco di un paio di giorni.
Ma l’omicidio di Carlo, avvenuto in risposta a quella collera, aspetta ancora l’unica giustizia possibile, da subito e ancora oggi soffocata dalla rassegnazione cristiana dei vari pompieri della rivolta…
Già nel 1525, in occasione della rivolta dei contadini, l’”illuminato” riformista della sua epoca, Lutero, spiegava perché uccidere un ribelle non può essere un reato, per Dio allora come oggi per lo Stato…
Chiunque può, deve, in questo caso, ammazzare, strozzare, trafiggere, in pubblico ed in segreto, e, facendolo, pensare che non c’è niente di più velenoso, pericoloso e diabolico di un ribelle, proprio come se uccidesse un cane rabbioso…
M. Lutero, Contro i contadini che si sono raccolti in bande di briganti, 1525
I ragazzi del coro...
...e quelli che dal coro hanno deciso di uscire.
E’ cominciato il processo contro quelli che avrebbero devastato il bel volto di Genova durante il g8. Chi, per esprimere il suo rifiuto all’esistente ha attaccato la proprietà privata rischia fino a quindici anni di carcere. Nel frattempo chi, avendo il compito di difendere l’ordine esistente, non ha trovato altro modo per sedare la rivolta di migliaia di persone che sparare in faccia ad un ragazzo è già stato assolto…
Questi fatti (inconfutabili) non fanno che confermare una verità già tristemente nota: la merce in questo mondo conta più della vita. La vita stessa è ridotta a merce e perde ogni valore quando decide di ribellarsi a questa condizione. Ma le proporzioni tra chi aderisce al coro della società e chi decide di voltargli le spalle non sono così sfavorevoli come può sembrare quotidianamente. A Genova quelli che hanno criticato praticamente il sistema di vita della merce e dello spettacolo sono state decine di migliaia…
…sempre troppo pochi per noi, ma già troppi per il comfort di lorsignori.
In ogni caso nessun rimorso
Il g8? Non tutti sono intenzionati a chiedere “verità e giustizia” allo Stato; molti pensano che altri “devastano e saccheggiano” le nostre città e la nostra vita, che le vie di Genova liberate da merci, automobili e strumenti di controllo sono stati luoghi momentaneamente restituiti alla vita, che uno sbirro ha ucciso Carlo perché era in atto una rivolta che non si poteva fermare in altro modo. Sono molti e tornerebbero sulle barricate immediatamente.
Può sembrare strano, ma sotto la sempre più spessa coltre delle ceneri dell’alienazione, covano ancora i fuochi della Comune parigina e della rivoluzione spagnola. E’ con quel fuoco nel cuore, per soffiare su quelle ceneri, che in molti si sono ritrovati per le strade di Genova durante il g8. Ne è nata una rivolta come, a Genova, era già accaduto il 30 giugno 1960. Dal momento che a queste persone non interessava partecipare a quello spettacolo del rifiuto la cui organizzazione è il triste mestiere di molti, quanto esprimere il rifiuto per ciò che qui e ora nega alle nostre vite la bellezza a cui esse hanno diritto, non è servito arruolare truppe né distinguersi con bandiere e tute per incontrarsi in molti e tentare un assalto all’ordine del mondo. Per questi motivi è inutile attribuire le violenze ai 26 imputati di oggi o al fantomatico black bloc; tutti sanno, ma quasi nessuno può permettersi di dire, che a Genova migliaia di persone hanno partecipato agli scontri e al godimento dello spazio urbano liberato dal quotidiano, totalitario, dominio di una non-vita nemica delle passioni. Tra di loro molti genovesi, tra cui Carlo che, poche ore prima di morire in piazza Alimonda, partecipava a piacevoli distruzioni all’inizio di Corso Sardegna. I veri amici di Carlo sono le persone che hanno condiviso con lui quelle ore; gli unici che gli renderanno omaggio e giustizia saranno quelli che porteranno lo spirito di quel giorno in altri momenti di rivolta.
Noi genovesi non abbiamo mai visto Genova così bella come quel venerdì 20 luglio, perché solo nell’ora della rivolta non ci si sente veramente soli nella città. Allora Genova è stata veramente “capitale europea della cultura”, quando genovesi e persone provenienti da tutto il mondo si sono spontaneamente ritrovati in una prassi inequivocabile nel proprio giudizio su questo mondo. Per chi pensa che l’unica risposta alla sofferenza sia la rivolta, che i rapporti umani debbano fondarsi sulle passioni oppure su niente, per chi non si rassegna alla miseria che ci assedia, il 20 luglio 2001 rimane una festa, un carnevale, un intenso momento di libertà: la migliore controprova è che sbirri, giudici, benpensanti e “sinistri” dipingano i fatti di Genova come tragici, fatti per cui vanno trovati i responsabili (di volta in volta, a seconda dei ruoli: i 26 imputati, il black bloc o il complotto delle istituzioni).
La storia si ripete. Subito dopo il 30 giugno 1960, quando gli stessi benpensanti e “sinistri” accusavano la rivolta di essere stata manipolata, qualcuno ebbe il coraggio di dire: “I ragazzi di Genova che hanno bruciato le camionette della Celere erano dei giovani che sanno quello che fanno; sono operai e studenti che hanno maturato un profondo disprezzo nei confronti del potere che grava su ogni momento della loro vita di giovani”. La storia si è ripetuta ed è per questo che, alla cattiva coscienza filistea di questo mondo da abbattere, non si può che continuare a rispondere allo stesso vecchio modo:
se nei vostri quartieri tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate, senza feriti, senza granate
se avete prese per buone le verità della televisione
anche se allora vi siete assolti siete lo stesso coinvolti
30 GIUGNO 1960…
… 20 LUGLIO 2001…
…E OGGI?
Il 30 giugno 1960 Genova insorge contro il congresso nazionale dei fascisti del MSI con una rivolta che sfugge di mano agli organizzatori della sinistra.
“I fatti di luglio sono stati giudicati da buona parte della stampa nazionale come “un tentativo rivoluzionario da parte di teddy-boys e di masse esasperate” e questa opinione è stata ripresa anche da certi “uomini di sinistra” preoccupati che non venisse loro attribuita la responsabilità degli avvenimenti, dato che veniva orchestrata la campagna come se si fosse trattato di un tentativo di colpo di Stato comunista.
"I fatti di luglio non sono stati “un tentativo rivoluzionario”; sono stati un’azione di difesa, ma svoltasi questa volta su un piano di classe. A Genova i giovani, i lavoratori, hanno inteso difendersi con i propri mezzi, con i propri metodi, non hanno questa volta delegato nessuno, hanno applaudito i discorsi dei dirigenti politici quando questi hanno parlato di lotta; ma nello stesso tempo non hanno aspettato che arrivasse l’ordine dall’alto (che non sarebbe arrivato, come non è arrivato); hanno stabilito nell’azione una propria, profonda unità; e hanno tratto, infine, un insegnamento dall’azione condotta.
"Si è parlato quindi di teddy-boys e di masse esasperate. Ma anche questo è un giudizio interessato. I ragazzi di Genova che hanno bruciato le camionette della Celere erano dei giovani che sanno quello che fanno; sono operai e studenti che hanno maturato un profondo disprezzo nei confronti del potere che grava su ogni momento della loro vita di giovani. I fatti di luglio sono la prima manifestazione di classe della nuova generazione cresciuta nel clima del dopoguerra: da parte della classe dirigente non sono stati risparmiati mezzi perché i giovani rimanessero imbrigliati nel sistema, ma i fatti di luglio hanno dimostrato che i giovani rifiutano questo sistema.
"Sempre, da parte borghese e opportunista, quando avvengono fatti di piazza si parla di “masse esasperate”. I borghesi per ovvie ragioni; e gli opportunisti lo fanno per semplificare, così, il problema, e per dimostrare che senza la loro guida illuminata non si risolve niente. Ma i lavoratori se sono di qualcosa “esasperati” è di sentirsi trattati nel lavoro, nella vita pubblica, nei partiti, nei sindacati, come gente che va costantemente guidata. Questa volta hanno voluto guidare loro stessi la lotta e l’hanno portata sul proprio piano, di classe.
"Si sono mossi i lavoratori della Liguria, dell’Emilia, del Piemonte, i lavoratori dell’area cosiddetta evoluta del Paese, dove ugualmente il potere borghese non si è risparmiato in 15 anni per intralciare l’urto di classe del proletariato; entro quest’area il livello di vita dei lavoratori, grazie alle lotte passate, è piuttosto elevato nei confronti del resto nazionale, ed è in quest’area che vien praticata la politica del neocapitalismo tendente a risolvere la lotta di classe in termini di consumo e di benessere. Entro quest’area ci sono isole “privilegiate” dove tale politica ha funzionato per anni; tuttavia è stato proprio da quelle isole che è partita la risposta di piazza. Non erano lavoratori, quelli scesi contro la polizia nelle giornate tra giugno e luglio, esasperati dalla fame e dalla miseria; non erano lavoratori in preda all’elementare bisogno del pane; sono operai industriali, cui il lavoro non manca, i quali hanno dimostrato che quando cessa la fame e la miseria non cessano i motivi per mettersi contro l’attuale società, le classi che la governano, e la polizia che la difende.
"Situata dunque su questo terreno, la difesa dei lavoratori e dei giovani che ha avuto inizio da Genova è stata in Italia la manifestazione politica più notevole degli ultimi anni proprio per le modalità nelle quali si è svolta e per le qualità classiste dei suoi protagonisti: i lavoratori delle zone industriali.
"Ai fatti di luglio la borghesia nazionale, che già cantava da anni vittoria contro una classe operaia che si sarebbe appagata di alti salari, frigoriferi e ferie pagate, ai fatti di luglio la “generosa” borghesia nazionale ha reagito facendo sparare sui lavoratori. Ai fatti di luglio gli opportunisti, che in nome del “progresso raggiunto” escludevano che si potesse ancora rincorrere all’agitazione di piazza e cercavano di convincere tutti che soltanto in parlamento possono essere condotte azioni efficaci, ai fatti di luglio gli opportunisti hanno reagito cercando di diminuire la portata degli avvenimenti affinché non gliene venisse attribuita la responsabilità.
"Nei fatti di luglio i lavoratori, i quali sanno perfettamente che non si dà alcun progresso reale senza il loro diretto intervento sul terreno sociale, i lavoratori hanno detto no non soltanto al potere borghese ma anche agli opportunisti: a Genova è stata capovolta anche l’automobile della Camera del Lavoro dalla quale si lanciavano appelli perché l’azione venisse fermata, a Roma un burocrate del PCI che faceva opera crumira di “convincimento” ne è uscito con la testa rotta, altrove si sono verificati scontri tra lavoratori e sindacalisti che volevano rimandare tutti a casa, dovunque l’interessata indecisione dei partiti di sinistra e del sindacato è stata criticata dai lavoratori e dai giovani.
"Di tutti questi fatti va condotta un’analisi che possa liberarne l’interno significato politico”.
Danilo Montaldi, “Quaderni di unità proletaria”, 1960
Ricordare il 30 giugno 1960 significa parlare anche del 20 luglio 2001; di nuovo la contestazione pacificata e “democratica” del volto poco presentabile del potere – il fascista Tambroni nel 1960, i G8 nel 2001 – è stata superata a sinistra da una rivolta generalizzata che del dominio ha “criticato” l’essenza stessa; l’idea di felicità che essa propina alle masse nella loro vita quotidiana, nelle loro città. Oggi, nel 2004, Genova mostra la sua bella facciata di capitale europea della cultura attraverso le ripulite facciate dei suoi palazzi storici, mentre nel suo sordido ventre consuma il processo a 25 individui accusati di averne deturpato la bruttezza attaccando i non-luoghi dei quartieri dove si consuma tristemente la vita dei suoi abitanti.
E’ ora di armare il coraggio dei propri desideri per capire che dietro le barricate della rivolta – del 1960 e nel 2001 a Genova come in mille altri momenti e luoghi – non c’è il regno del terrore, come vogliono far credere i potenti, i giornalisti e i “sinistri”, bensì le fondamenta dell’unico altro mondo possibile, quello della fine delle merci e della noia.
Un’altra rivolta è possibile! Subito!
Comitato promotore per Genova “capitale europea della rivolta”
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