Abbiamo occupato l'ex-Peterlini, edificio vuoto da tanti anni, in via Prati, a Rovereto. Ecco alcune ragioni.

"Su, su, i prezzi vanno su, prendiamoci le case e non paghiamo più". Costretti a lavorare sempre di più semplicemente per avere un tetto sulla testa; impossibilitati ad andare a vivere da soli per i prezzi degli affittì, oppure in attesa interminabile di una casa popolare: questa è la condizione di migliaia e migliaia di famiglie, di giovani, di poveri, di salariati. Mentre le case esistono, tenute in ostaggio dai ricchi e dalla speculazione. Il racconto del progresso che emancipa gli uomini dalle necessità naturali è una menzogna, e lo si capisce anche solo pensando alle case: mentre gli spazi abitativi diventano sempre più piccoli, uniformi, insalubri, scadenti, aumenta ogni giorno la schiavitù salariale per permetterseli. L’ "uomo primitivo" o anche solo preindustriale si costruiva un rifugio in qualche giorno o mese, poi vi abitava. L’ "uomo civilizzato", l'individuo-massa lavora trent'anni per una casa, per un mutuo.

Raccogliendo il filo di una pratica generalizzata negli anni Settanta, abbiamo deciso di occupare uno spazio collettivo, incuranti delle trafile burocratiche e dei titoli di proprietà. La casa è di chi l'abita, diceva una vecchia canzone rivoluzionaria. Invitiamo a fare altrettanto e a coordinarsi per resistere.

Ma non ci sono solo i bisogni, ci sono anche i desideri. Avere una casa è il minimo (anche se viviamo in un mondo al rovescio che non garantisce nemmeno questo). Vogliamo spazi in cui incontrarci, in cui dialogare senza mediatori, in cui cercare di liberarci. Più le merci chiacchierano, più gli uomini sono in silenzio. Mentre le città sono sempre più organizzate per il profitto e per il controllo, il silenzio degli uomini si fa ogni giorno più agghiacciante. Dove incontrarsi senza consumare, dove decidere in comune dei propri luoghi e dei propri tempi? Abbiamo occupato uno stabile - inutilizzato da anni - anche per afferrare la possibilità di decidere fuori da ogni delega, liberi dal denaro.

L'utopia pratica a cui ci richiamiamo è ben più antica di questa nefasta e moribonda società industriale: l'assemblea libera di villaggio o di piazza, la libertà di parola non separata dalla vita e dall'esperienza, il collegamento orizzontale delle assemblee, il rifiuto della rappresentanza. Quest'utopia è riemersa dall'alveo della storia ogni volta che gli sfruttati sono insorti contro lo Stato, accentratore e assassino, e contro il loro passato di passività e sottomissione. È riemersa nei Consigli operai e di quartiere, nelle collettività agricole, negli scioperi selvaggi e nelle sommosse. È riemersa qualche mese fa in Argentina, ed esiste tuttora nell'insurrezione delle aarch (assemblee, appunto) in Algeria. Ostili all'industrialismo, privati di ciò che si chiamava un tempo "quartiere", quello che ci rimane è piuttosto il Consiglio... di far presto.

Ecco, il nostro vuole essere un luogo di resistenza e di sovversione, dove sperimentare una vita diversa e alimentare ciò che c'è di più urgente, difficile e appassionante: la critica sociale rivoluzionaria. Un luogo in cui possano incrociarsi le lotte autonome, fuori dai partiti e dai sindacati. E se anche queste mura saranno troppo strette per la vita che insorge, tanto meglio - usciremo dalle cave, irromperemo nelle strade per un nuovo assalto al cielo.

Il treno di questa società corre sempre più all'impazzata verso il disastro (la natura urla, gli uomini tacciono servili); le carrozze sono sempre più care, gli sforzi di manutenzione sempre più insensati. Abbiamo occupato qualche scompartimento per poter parlare un po' meglio di ciò che conta: come far deragliare questo treno, come scendere e come andare a piedi verso una comune libertà individuale.

Benvenuto sia chiunque cerca reciprocità. Alla larga politici, dirigenti sindacali, sbirri, giornalisti.

ASSEMBLEA PUBBLICA: DOMENICA 22 SETTEMBRE, ORE 16.00 - ROVERETO, VIA PRATI (ANGOLO VIA MANZONI)

Gli occupanti

20 settembre 2002

 
 

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