In questi giorni cade il cinquantesimo anniversario dell’insurrezione ungherese.

Vogliamo ricordare quella rivolta e salvarne lo spirito da tutti i tentativi di falsificazione.

Il 23 ottobre del ’56, in Ungheria, il malcontento a lungo covato contro il regime burocratico esplode in una gigantesca manifestazione. Il giorno successivo i carri armati sovietici occupano militarmente le strade di Budapest. La contestazione di massa si trasforma in una vera e propria insurrezione sociale contro il regime di Rákosi e contro l’imperialismo sovietico. Il cuore pulsante della rivolta sono i Consigli Operai. Riprendendo il testimone della Comune di Parigi, dei Soviet russi del 1905 e del 1917, della rivoluzione tedesca e di quella ungherese del ’19, i lavoratori cacciano i burocrati dalle fabbriche e si organizzano direttamente, con delegati operai eletti dalle assemblee e revocabili in ogni istante dalle stesse. Partendo dalla zona industriale di Miskolc, i Consigli Operai si diffondono in tutta l’Ungheria, diventando lo strumento di coordinamento della lotta e di organizzazione della vita sociale. Se il secondo intervento sovietico (il 4 novembre) riesce a formare un governo fantoccio, non riesce a domare la rivolta. Gli scontri si generalizzano: dalla resistenza passiva di massa (in cui sono attive soprattutto le donne) alle pratiche di guerriglia contro lo Stato. La risposta del governo - al quale rimane fedele solo la polizia segreta, dal momento che moltissimi soldati solidarizzano con i rivoltosi - è l’instaurazione della legge marziale: i mercenari in divisa sparano sulla folla, i delegati dei Consigli vengono assassinati, il fermo di polizia raggiunge la durata di sei mesi...

Eppure il popolo non demorde. Il 14 novembre, in quella che è ormai la Comune di Budapest, nasce il Consiglio Centrale Operaio, l’unico organo riconosciuto dagli sfruttati perché basato sull’autogestione. Trentacinque anni dopo, gli insorti ungheresi riprendono nei fatti l’urlo dei marinai di Kronstadt: “Viva i Soviet senza i bolscevichi!”.

Nonostante il terrore, i lavoratori non riprendono imbavagliati il proprio posto nelle fabbriche e nelle miniere controllate dal Partito. Continuano i sabotaggi, numerose miniere vengono allagate, la fornitura di energia elettrica viene interrotta, la produzione cala drasticamente. I contadini, che ai funzionari stalinisti ripetevano di non avere cibo, portano il proprio raccolto ai Consigli Operai e ai comitati studenteschi.

L’11 dicembre uno sciopero generale paralizza il paese per 48 ore. Benché soffocata nel sangue, la rivolta popolare non scompare, mantenendo viva l’agitazione operaia per i tre anni successivi. Non appoggiata (salvo poche eccezioni) dai suoi fratelli d’Occidente, l’insurrezione ungherese si spegne tra repressione ed esilio di moltissimi rivoluzionari.

Se per gli stalinisti della Pravda quella rivolta era un “colpo di Stato fascista”, oggi i capitalisti del mondo intero ce la presentano come una “rivoluzione democratica e nazionale” (con i fascisti stessi che la difendono falsificandola). Della rivendicazione comunista, libertaria e antiburocratica “le fabbriche agli operai” non è rimasta traccia. Chi oggi esporta la “libertà” con le bombe al fosforo, si indigna che altri volessero esportare il “comunismo” con i carri armati...

Se non può che farci piacere il fatto che l’ex stalinista Napolitano non sia stato invitato alle commemorazioni ufficiali (perché difese, assieme a tutto il PCI, i carri armati sovietici), ci fa semplicemente schifo che vi sia stato accolto Bush.

Per noi gli insegnamenti di quella grande insurrezione sono ben altri: si chiamano antimperialismo, democrazia diretta, autorganizzazione...

ABBASSO IL CAPITALISMO, ABBASSO LA BUROCRAZIA!

anarchici

[Ottobre 2006]

 
 

Il sito guerrasociale.org non è più attivo da molto tempo. In queste pagine sono stati raccolti e archiviati in maniera pressoché automatica tutti i testi pubblicati. Attenzione: gli indirizzi (caselle postali, spazi occupati, centri di documentazione, email, ecc.) sono quelli riportati nella pubblicazione originale. Non se ne garantisce quindi in nessun modo l'accuratezza.