UNA LEZIONE DA COGLIERE

È urgente ricordare alcuni fatti per capire la situazione in Iraq al fine di dare un'altra prospettiva alle voci che chiedono il ritiro delle truppe italiane.

Nel 1991, dopo una guerra scatenata dalla Coalizione occidentale che aveva provocato centinaia di migliaia di morti, in Iraq esplose un'insurrezione sociale contro la fame e contro il regime di Saddam Hussein. Migliaia di soldati iracheni abbandonarono l'uniforme, mantenendo però le armi per rivolgerle contro un sistema che li voleva soltanto carne da cannone. Contagiando ben presto l'insieme degli sfruttati, la sommossa si allargò a numerose città, dando vita a forme di autorganizzazione chiamate shoras (Consigli). Tutti gli Stati occidentali, temendo gli effetti di una tale sollevazione, armarono il regime affinché soffocasse nel sangue la rivolta generalizzata. Così fu. Le tanto sbandierate "armi di distruzione di massa", i micidiali gas chimici vennero allora impiegati dall'esercito di Saddam Hussein con la complicità, nelle regioni a nord, dei partiti nazionalisti curdi. L'instabilità sociale sconsigliò agli Stati Uniti e ai loro tirapiedi o concorrenti di occupare direttamente il paese.

Dopo più di dieci anni di embargo – il quale è costato la vita a un milione di iracheni – gli Stati Uniti hanno deciso, in nome della "guerra al terrorismo", che il momento dell'occupazione era venuto. Ciò che la stampa asservita ha debitamente nascosto è che l'occupazione militare del 2003 non sarebbe mai stata così rapida se i proletari iracheni non avessero disertato in massa l'esercito, per nulla disposti a farsi ammazzare per interessi che non erano i loro. Ancora una volta, pensando bene di disertare con le armi, in attesa. Il resto è storia recente.

Di fronte a condizioni di vita sempre più miserabili, appena crollato il regime, gli sfruttati saccheggiano tutti i luoghi che ricordano l'odiato potere e il suo partito. La repressione alleata è brutale, andando ad aggiungersi all'odio contro i "liberatori", già responsabili, tra bombardamenti ed embargo, di un gigantesco massacro. Quello che nessuno esercito poteva fare – e cioè mettere in difficoltà la più grande potenza militare del mondo – riesce ad una guerriglia sociale. Dagli attentati contro i convogli militari a quelli contro le ambasciate e i quartier generali, dagli attacchi contro la nuova polizia irachena ai sabotaggi ai danni di oleodotti e raffinerie, dai linciaggi dei marines agli scioperi di massa, orami nessuno può bersi la menzogna di una popolazione che ama i "soldati portatori di pace". Nessuno che abbia un minimo di lucidità può credere che una simile sollevazione possa essere opera unicamente di gruppi islamisti. Tanto per fare un esempio, durante i saccheggi il "comitato supremo della rivoluzione islamica" invitava, senza successo, a restituire i beni al governo…

Certo, di fronte all'estremo isolamento in cui si trovano gli sfruttati iracheni, stretti nella morsa dei massacri democratici e del nazionalismo integralista, le forze islamiste, strumento della classe proprietaria, accrescono il loro potere. E noi?

La logica della guerra, con la sua violenza indiscriminata e dunque terrorista, espone le popolazioni dei governi guerrafondai a terribili rappresaglie (come le bombe di Madrid insegnano). Non si tratta più di uno spettacolo televisivo.

C'è un solo modo per uscire da questa spirale di morte: dimostrare nella pratica che gli sfruttati occidentali non sono alleati dei propri padroni, bensì complici dei propri fratelli iracheni che i bombardamenti e la repressione non sono riusciti a domare. La situazione irachena dimostra che il capitalismo gronda sangue, ma che non è invincibile (come se ne partono in fretta e furia molte delle sue truppe!). Ecco una lezione da cogliere nella lotta contro i nemici di casa nostra. Lasciamo ai nazionalisti le lacrime di circostanza per la vita dei mercenari italiani al soldo dei capitalisti, lacrime mai versate per tutti i morti iracheni. Lasciamo agli ipocriti il pacifismo di facciata che invoca l'Onu, cioè uno dei principali responsabili del massacro iracheno. Lasciamo ai tardostalinisti il richiamo alle lotte di liberazione nazionale, da sempre menzogna dei padroni in ascesa e strumento di una nuova oppressione. Quella in corso a Baghdad, a Bassora o a Nassiriya ha forme diverse, ma un vecchio nome: lotta di classe.

FUORI LE TRUPPE DALL'IRAQ

SOLIDARIETÀ CON LA GUERRIGLIA SOCIALE IRACHENA

alcuni internazionalisti

Sarà a breve disponibile un opuscolo sulla situazione sociale in Iraq, con cronache e documenti dell'insurrezione delle shoras del 1991. Per richieste: Adesso – C.P. 45 38068 Rovereto (TN).