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#title TRENI AD ALTA VELOCITÀ - TRENI AD ALTA NOCIVITÀ
[Da "Ultima fermata. Dall'attacco contro l'Alta velocità in Val Susa alla difesa degli spazi occupati a Torino", edizioni NN, giugno 1999]
***Un'Europa più ridotta***
Della costruzione di una serie di linee ferroviarie per treni super veloci, che taglino per diritto e per rovescio lo stivale collegandosi ad analoghe linee che andranno a zigzag per tutto il continente, se ne sente parlare da oltre dieci anni. È nel lontanissimo 1984, difatti, che la proposta viene lanciata dalla CEE per poi entrare nella sua fase operativa in Italia nel 1991. Da allora si sono affastellate ogni genere di notizie e di chiacchiere sull’Alta Velocità ferroviaria, ma ciò che emerge al di là di tutto è che si tratta di un investimento economico di enormi proporzioni; un progetto che ha mobilitato le potenti lobbies finanziarie e industriali italiane ed europee e, nel contempo, un intervento pesantissimo sulla vita dei territori lungo i quali si snoderanno le linee ferroviarie. Questo contrasto si è fatto più evidente nei luoghi in cui il treno dovrà scavalcare le montagne. Le caratteristiche della nuova ferrovia da realizzare costituiranno un vero e proprio flagello per le strette vallate che uniscono il Piemonte alla Francia, la pianura Padana al centro Italia, trattandosi di veri e propri imbuti che subiscono già il transito impazzito di ogni genere di merce spedita su e giù per l’Europa.
Nel corso di questi anni è andato polarizzandosi in maniera sempre più chiara un conflitto tra gli interessi dei politici e degli imprenditori, da un lato, e la vita di buona parte degli abitanti delle zone interessate al progetto, dall’altro. Ciascuno affina le proprie armi. Ciascuno cerca i propri alleati tentando di individuare con precisione sempre maggiore l’avversario. La partita è ancora aperta. Proviamo qui ad illustrarne in sintesi alcuni aspetti, di modo che possa diventare una partita di tutti e non si rinchiuda negli stretti ambiti di quello che finora è stato il terreno di gioco privilegiato: la Val di Susa.
Per capire esattamente dove si situa lo scontro, cosa divide i sostenitori dell’Alta velocità dai suoi detrattori, bisogna individuare con sufficiente precisione a chi e a cosa serve quel treno.
Il primo abbozzo di questa rete di trasporto nasce in ambito europeo: la CEE individua nei trasporti uno degli elementi vitali per la crescita dell’Unione e si pone l’obiettivo di razionalizzare ed integrare i sistemi in vigore nei diversi paesi. La scelta cade sulla possibilità di costruire un sistema abbastanza complesso di reti ferroviarie ed altre infrastrutture, in grado di supportare sia il trasporto di merci che quello di passeggeri. A tale scopo è servita senz’altro l’osservazione della linea ad alta velocità costruita in Giappone negli anni sessanta e di quella che in tempi più recenti è stata realizzata per unire Parigi a Lione.
Dalla fine del 1984 alla fine del 1989, gli organi della CEE elaborano le direttive che via via dovranno essere applicate dai paesi membri, e non solo da quelli. Complessivamente, il sistema dell’Alta Velocità si svilupperà su 30.000 chilometri di linee in parte nuove ed in parte pesantemente ristrutturate. Due enormi ragnatele, in parte coincidenti, collegheranno i punti nodali produttivi e politici del continente, tutte le grosse aree urbane: una "rete europea dei treni ad alta velocità" per i passeggeri, e una "rete europea di trasporto internazionale combinato" per le merci. Particolare attenzione viene dedicata a quelli che all’interno della rete vengono individuati come anelli-chiave, cioè quelle tratte che, generalmente poste in località frontaliere, permettono la modifica dei flussi spontanei di passeggeri e di merci, funzionando a mo’ di imbuti; queste tratte, una delle quali è la Torino-Lione, presentano tra l’altro particolari difficoltà di realizzazione.
«Dal punto di vista di Torino il problema è come realizzare la linea, non se farla: su questo per noi non ci sono dubbi».
(Valentino Castellani, sindaco di Torino)
Attenzione, però. Non stiamo parlando semplicemente di una nuova ferrovia; tutt’attorno alla ragnatela sorgeranno un insieme di infrastrutture, di sistemi di protezione e di controllo, mentre cominceranno a svilupparsi una serie di modificazioni a catena che segneranno in modo ancora più profondo l’habitat naturale e la vita di ciascuno. Gli spostamenti umani saranno via via indirizzati verso alcuni passaggi obbligati diretti, passaggi che saranno strettamente sorvegliati e nei quali verranno investite le più avanzate tecnologie.
Accanto a queste ragioni speculative, politiche e poliziesche, però, bisogna ricercarne altre più sottili. Anche nel caso in cui il nuovo treno non dovesse avere alcuna utilità pratica una volta entrato in funzione — cioè anche se poi verrà utilizzato solo marginalmente, a causa dei costi di gestione effettivi e del conseguente appesantimento nella concorrenza con le linee aeree — rappresenterà pur sempre il Progresso. Una nuova tappa nella corsa vorticosa per creare nuovi falsi bisogni — in questo caso la Velocità — solo per poterli poi soddisfare nella maniera più spettacolare possibile e proporne di nuovi.
E così via, sempre più veloci verso il niente.
Questo meccanismo fa talmente presa che persino chi sa che sul nuovo treno non ci potrà salire mai si sente intimamente soddisfatto nel pensare che qualcun altro potrà raggiungere Parigi da Torino in cinque ore anziché in dieci. La questione importante è come la fiaba del progresso sia gestibile solo dal capitale e dallo Stato che, fabbricando questa corsa incessante, giustificano la propria ingombrante presenza. Le caratteristiche che rendono possibile questo tipo di operazione sono tutte contenute nel progetto del Treno ad Alta Velocità (Tav). Si può definire il Tav una "opera-monumento", un progetto infinito, un insieme di scatole cinesi di cui difficilmente si vede la fine. Unisce tutta la maestosità fittizia del progresso agli interessi spiccioli di speculatori ed affaristi.
Terminata la fase di elaborazione di massima del progetto, ecco che comincia a mettersi in moto la grande macchina dell’Alta velocità. A cascata, i progetti vengono elaborati in maniera sempre più dettagliata, si studiano i tracciati delle linee, vengono coinvolte le grossi industrie e le centrali finanziarie. Dalle stanze di Strasburgo si arriva agli imprenditori ed ai politici locali, che vedono nell’Alta Velocità un’ottima occasione per accrescere il proprio giro d‘affari. Le ferrovie italiane incaricano una nuova società, la Tav Spa, della progettazione, della costruzione e della gestione economica della linea e delle infrastrutture. A sua volta la Tav (di proprietà delle FFSS) divide il lavoro tra altre grosse società, alcune delle quali create ad hoc: ITALFERR SIS TAV, TAVCO Spa, IRI, ENI, FIAT, CO.CIV. Il complesso di interessi che scende in campo è gigantesco. Si tratta, secondo alcuni, de "l’affare del secolo", non solo per la quantità di soldi investiti, ma perché chi li investe ha ottenuto tutte le garanzie possibili di guadagno in denaro e in allargamento di "relazioni".
«Intanto non è Torino che decide le sorti della Valle, anche se Torino è la più interessata perché, col Piemonte è su uno dei corridoi fondamentali per il traffico in Europa. In questo senso l’Alta Velocità è sicuramente una questione di interesse generale».
(Valentino Castellani, sindaco di Torino)
Immediatamente nasce l’esigenza di convincere la popolazione dell’utilità del nuovo treno e comincia l’operazione di propaganda di massa. Lo schema è quello già collaudato. Presentare quest’opera, costruita nell’interesse di pochi, come uno strumento utile a tutti: agli amanti del viaggio, che potranno muoversi velocemente per l’Europa senza inquinare e godendosi il panorama; agli studenti e ai pendolari, che potranno raggiungere i luoghi di lavoro o di studio con la massima sicurezza e rapidità; agli amanti dell’ambiente, che vedranno diminuire consistentemente il trasporto su gomma; a tutti quelli che usualmente si spostano in macchina ma che sul nuovo treno potranno viaggiare più comodi e veloci.
Non si tratta, evidentemente, che dei giochi di prestigio della pubblicità, che nel giro di poco tempo hanno cominciato a mostrare la corda. Non sono riusciti a mascherare, difatti, la vastità della devastazione che porterà il passaggio del treno nelle zone toccate dalle linee definite anelli-chiave. Si tratta di territori molto ristretti, con una viabilità già difficoltosa, con equilibri economici ed ecologici delicati. La costruzione della linea, in queste zone, rallenterebbe la vita di tutti perché taglierebbe in due il territorio, e non servirà a nessuno a livello locale perché il Tav fermerà solo nei grandi centri urbani. In compenso creerà una serie infinita di danni e di disturbi, dall’inquinamento acustico provocato dal passaggio del treno agli inconvenienti legati ai cantieri, il tutto concentrato in pochi chilometri quadrati, fitti di centri abitati e di boschi. Alcuni di questi aspetti, presi separatamente, potranno anche essere alleviati dai progettisti del treno. Ma estremamente difficile da eliminare è l’orgoglio di popolazioni costrette ad assistere impotenti all’improvviso stupro del territorio in cui vivono, per interessi che sentono del tutto estranei. Probabilmente è questo orgoglio a far nascere una intensa ostilità al nuovo treno ed è alla luce di questo sentimento che vengono lette da molti le menzogne spiattellate dai propagandisti della velocità.