PER CHI SUONANO LE SBARRE?

Nei giorni scorsi, in più di novanta carceri italiane i detenuti hanno organizzato una protesta contro le odiose condizioni di prigionia. Le loro richieste sono quelle ormai classiche (riduzione del sovraffollamento, indulto di tre anni, scarcerazione dei detenuti gravemente malati, abolizione dell'ergastolo) più altre nuove (ad esempio l'abolizione del 41 bis, una sorta di carcere dentro il carcere, istituito per i "mafiosi" ma in realtà applicato ad alcuni rivoluzionari e potenzialmente a tutti i prigionieri ribelli).

Le forme di protesta consistono soprattutto nel rifiuto del vitto carcerario e nella battitura di pentole e sbarre. Anche a Rovereto, qualche giorno fa, i detenuti si sono uniti al movimento.

Siamo solidali con i prigionieri in lotta.

Certo, i detenuti si rivolgono alla direzione carceraria e al governo. Ma non sono questi i soli a far finta di non sentire. Il silenzio che avvolge le mura del carcere è quello di un'intera società. In nome della sicurezza di tutti, si difendono con le prigioni (e con la paura di entrarci) gli interessi di chi sta al potere. Sono i poveri e i ribelli a varcarne la soglia, spesso per leggi che non hanno più corso qualche anno dopo, mentre i più grandi assassini e avvelenatori (Stato e multinazionali) continuano i loro crimini legalizzati. Dunque, per chi e per cosa esistono le carceri?

E’ a noi che stanno parlando quelle pentole sbattute. In tutti i periodi di lotte sociali, il problema del carcere è sempre apparso centrale, e tra "fuori" e "dentro" si è creata solidarietà, crescita, battaglie comuni. Oggi, i prigionieri sono isolati perché anche noi lo siamo - ognuno per sé e l'alienazione per tutti. Eppure, a un disoccupato non sarebbe forse più utile conoscere la storia di un suo fratello trentino o senegalese incarcerato piuttosto che quella di un personaggio di qualche soap-opera?

Che si discuta delle loro lotte, dello sfruttamento da cui provengono, della miseria - in tutti i sensi - che contengono. Se tanti di noi sono rinchiusi, se crescono ovunque le diseguaglianze e dilaga ovunque il conformismo, se siamo sempre più sorvegliati, allora viviamo tutti in un grande carcere. Il controllo sui nostri tempi si fa sempre più pervasivo, mentre scompare ogni spazio collettivo di discussione diretta. Per chi dissente, c'è la repressione. La nostra sorte è così diversa da quella di chi sta oltre le mura di cinta?

Solidarizzare con i detenuti in lotta significa difendere e diffondere la libertà ciascuno e di tutti.

Per un mondo senza gabbie

Rovereto, settembre 2002