Éditions Senonevero
Le Éditions Senonevero si dedicano alla pubblicazione di una teoria critica del capitalismo, ossia di una teoria della sua abolizione.
Un’epoca è oggi conclusa, quella della liberazione del lavoro, quella del proletariato che si afferma come il polo assoluto della società: l’epoca del socialismo. La rivoluzione sarà l’abolizione del modo di produzione capitalista e delle sue classi – del proletariato come della borghesia – e comunizzazione dei rapporti sociali. Al di sotto di ciò, non esiste oggi che la promozione della democrazia, della cittadinanza, l’apologia dell’alternativa. Queste pratiche e queste teorie non hanno altro orizzonte che il capitalismo.
Nessuno conosce il cammino da percorrere dal presente alla rivoluzione: esso è da fare, dunque da comprendere, attraverso analisi e critiche diversificate. Noi ne invochiamo l’elaborazione.
Lotta contro il capitale, lotta all’interno della classe stessa, la lotta di classe del proletariato non è opera di muti e di decerebrati: essa è teorica – né per automatismo né per scelta. Come la produzione teorica in generale, le nostre pubblicazioni sono delle attività. La loro necessità è la loro utilità.
Torino - Mercoledì 26 febbraio, a Palazzo Nuovo, ore 16:00
Incontro-discussione pubblica con i compagni francesi di Théorie Communiste e delle Éditions Senonevero, e con altri interventi di analisi e di critica al "democratismo radicale"
L’Italia, con i suoi Social Forum, i suoi Disobbedienti, i suoi Girotondi, ecc., rappresenta un vero laboratorio di quell’ideologia democratico/partecipativa che al "primato dell’economia" e al "liberismo selvaggio" vorrebbe opporre un nuovo "primato della politica". Riferendosi alla sua versione francese, i compagni di Théorie Communiste hanno definito questa ideologia "democratismo radicale" e ne hanno elaborato un’approfondita analisi critica.
"La ristrutturazione del modo di produzione capitalistico, attraverso una lunga fase di crisi, ha avuto come risultato essenziale, dopo i primi anni Ottanta, la scomparsa di ogni identità operaia, prodotta, riprodotta e confermata all’interno di esso. Il proletariato non può più produrre un movimento operaio organizzato della stessa natura di quello degli anni Sessanta-Settanta, quando la rivoluzione poteva ancora darsi come affermazione del proletariato. All’interno del modo di produzione capitalistico l’antagonismo tra proletariato e capitale si dà in una forma nuova, con nuovi obiettivi: il "democratismo radicale".
Il sindacalismo e il riformismo esprimevano ed esprimono l’esistenza della classe nei rapporti sociali capitalistici, il democratismo radicale anche. Quest’ultimo, sul piano organizzativo, non può che essere molto più ridotto e frammentato del vecchio movimento operaio, composto com’è da una miriade di formazioni e di correnti, le quali, nessuna esclusa, propugnano la costruzione di un’alternativa all’interno del modo di produzione capitalistico.
Contrariamente al programma di crescita del potere e dell’affermazione del proletariato che fu dominante fino alla fine degli anni Sessanta, il democratismo radicale non pone come sua mediazione necessaria lo sviluppo del capitale; è esso stesso la mediazione, il fine e il movimento verso questo fine.
Il democratismo radicale oppone al "primato dell’economia", al "capitalismo selvaggio", alla globalizzazione liberista e allo strapotere della finanza un nuovo "primato della politica": finita l’epoca in cui lo Stato sociale temperava benignamente il capitalismo, e volendo costruire un’alternativa al "neoliberismo" e alla "mondializzazione", il democratismo radicale vagheggia di un capitalismo "reale" – meno "finanziario", meno "speculativo" – fatto di veri lavoratori e veri investitori, questi ultimi tanto coscienti della loro responsabilità sociale da non potersi più definire "capitalisti". Sogna imprenditori-cittadini alla testa di aziende-cittadine, in cui l’apporto dei lavoratori-cittadini venga adeguatamente riconosciuto, sotto la benevola e protettiva tutela di uno Stato democratico partecipativo, che regoli l’equa distribuzione del plusvalore-cittadino.
Il democratismo radicale frequenta i corridoi della politica e i cortili dei centri sociali. Offre i suoi saperi alle grandi organizzazioni internazionali e anima i meeting no global. Una cosa sola lo offende: che il proletariato, negandosi, abolisca lo Stato, la democrazia e il capitalismo (produttivo), giacché il democratismo radicale ama il lavoratore in quanto lavoratore e il plusvalore in quanto pluslavoro. Ama la lotta di classe al punto da non volerne mai la fine, in quanto la sua ragione d’essere è il movimento perpetuo dell’alternativa e della critica sociale.
Il democratismo radicale ha i suoi eroi: il subcomandante Marcos, José Bové e adesso Chavez; ha il suo guru teorico in Pierre Bourdieu; ha i suoi luoghi sacri: Seattle, Porto Alegre e la foresta Lacandona. Non è una specialità nazionale bensì un movimento mondiale. Sarebbe soltanto patetico e ridicolo, se non fosse un elemento efficiente, inevitabile, ancorato nel nuovo ciclo di lotte del proletariato contro il capitale, come formalizzazione di tutti i limiti di tale ciclo, e se non anticipasse la controrivoluzione prossima, che ne costituirà il compimento e la realizzazione." (Roland Simon, Le démocratisme radical, Éditions Senonevero, Paris, 2002)
Alle 21:30, in via Mantova 7 (sala cooperativa In/contro)
Presentazione del libro di Théo Cosme, "Medio-oriente 1945-2002, storia di una lotta di classe"
(Moyen-Orient 1945-2002 - Histoire d’une lutte de classes, Éditions Senonevero, Paris 2003)
Dalla fine dell’Impero ottomano alla guerra del Golfo (1991), la "Questione d’Oriente" era quella dello sviluppo dei rapporti capitalisti in Medio Oriente. L’Oriente costituiva una "Questione" perché questo sviluppo non era endogeno. La formazione di borghesie fu caotica e la produzione di proletari catastrofica. Dopo la fine dell’Impero ottomano, i rapporti sociali specificatamente capitalisti sono andati formandosi in Medio Oriente attraverso il succedersi di tre frazioni dominanti della borghesia:
- quella fondiaria, amministrativa e commerciale;
- quella nazionalista;
- quella basata sulla rendita
Ciascuna, nella sua specificità, include ed esprime in una certa fase le necessità generali dello sviluppo del Capitale. Nondimeno l’azione di queste borghesie ha potuto giungere a risultati differenti da quelli che originariamente si erano prefissate. È in questo quadro che il libro di Théo Cosme affronta la formazione dello Stato d’Israele, l’ascesa dell’islamismo, la rivoluzione iraniana, la guerra del Libano, la prima Intifada, la sconfitta del movimento palestinese, l’invasione del Kuwait e l’eliminazione finale della figura autonoma del rentier. Più in generale, le guerre con Israele costituiscono, per i paesi arabi, il criterio e la storia dello sviluppo al loro interno dei rapporti sociali capitalisti, in quanto fino a oggi è stata proprio l’esistenza d’Israele il pungolo a tale sviluppo.
È la guerra del Golfo che ha definitivamente risolto il problema essenziale che il Medio Oriente poneva nella ristrutturazione mondiale del modo di produzione capitalista: l’integrazione della rendita petrolifera nella perequazione generale del saggio di profitto. Si può allora smettere di considerare il Medio Oriente come una questione particolare. La "Questione d’Oriente" è fondamentalmente risolta nella mondializzazione dei rapporti capitalisti, il che è confermato dalla caducità del sionismo, dal ridimensionamento e dal rischio di implosione dell’Arabia Saudita, dalla seconda Intifada, dall’evoluzione dell’islamismo e dalla guerra americana in Afghanistan.
Permane la questione generale della definizione, dello sfruttamento e della riproduzione di un proletariato massicciamente sradicato e paradossalmente restituito a solidarietà apparentemente tradizionali.
Il corso del capitalismo in Medio Oriente pone dunque numerosi problemi teorici di prima grandezza:
- il carattere esogeno dello sviluppo del Capitale
- il rapporto tra identità intermedie (comunità religiose o etniche) e Stato-nazione
- il rapporto tra rendita petrolifera e perequazione del saggio di profitto
- le formalizzazioni religiose e nazionaliste della lotta di classe.
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