Bellissimi paesaggi, muretti a secco, trulli, uliveti, campagne incontaminate. E poi ancora sole, mare, scogliere mozzafiato. Ville splendide, locali, una popolazione costituita quasi esclusivamente da liberi professionisti di ogni ordine e grado; belle feste, con annessa droga per ricchi.

Dall’altro lato un procuratore, trasferitosi da Milano per scoprire una serie di misteriosi omicidi a sfondo economico-passionale…eh che brutto strumento la televisione.

L’elenco sopra citato è il breve racconto e l’immagine data al Salento da una recente fiction andata in onda sulle reti mediaste, con il probabile gongolamento degli amministratori locali.

Nella retorica del luogo comune su questo territorio non potevano mancare la pizzica e la musica tradizionale, la proverbiale inefficienza degli uffici pubblici meridionali e un certo favoritismo riservato dalla procura a personaggi potenti, elemento che in realtà non è proprio un luogo comune ma un dato di fatto. Ma realmente si ha un interesse a svendersi al primo offerente? Certo lo hanno gli amministratori, che pur di far passare qualche immagine del luogo in cui “gestiscono la cosa pubblica”, per incentivare il turismo non si curano tanto se agli abitanti di tale luogo viene fatto parlare un accento differente dal loro; barese o leccese sempre pugliese è, avrà pensato il regista della fiction; un po’ come chiamare gli africani tutti marocchini.

Realmente si ha un interesse a dare un immagine fasulla pur di attirare qualche turista in più, tralasciando gli abusivismi e gli scempi ambientali che per via di quel turismo spesso vengono perpetrati? Davvero ci interessa far finta di non vedere gli occhi delle telecamere che ci spiano un po’ dappertutto con la scusa di farci sentire più sicuri e l’asfissiante controllo delle forze di polizia che insieme alla magistratura stanno cercando di zittire ogni voce stonata o dissenso. O preferiamo parlare invece del dilagante precariato e della terra di frontiera che questo luogo ha rappresentato, con annesso filo spinato e centri di detenzione per migranti.

La scorsa estate il sindaco di un paesino sempre agli onori delle cronache per la sua attività culturale, togliendosi una volta tanto la maschera, affermò che il fine di quello che era considerato

l’evento musicale- mediatico era l’affare che da esso si sarebbe potuto ricavare dato il consumo che tutti i presenti a quell’evento avrebbero realizzato. Evidentemente le tanto sbandierate multiculturalità e integrazione fra i popoli non erano che secondarie se non di facciata. La stessa accoglienza e integrazione che per ben sette anni hanno portato a rinchiudere quegli uomini e quelle donne che venivano da lontano e che in questa terra cercavano una speranza.

Tempo fa ci si professava cittadini del mondo, per andare contro una logica nazionalistica. Oggi forse è più esatto definirsi stranieri del mondo, date le condizioni di esclusione sempre più diffuse.

La natura, già troppo vilipesa, non basta a far sembrare un luogo una sorta di paradiso terrestre.

Iniziamo da qualcos’altro. Basta repressione, basta galere.

Riprendiamoci la vita e il posto in cui viviamo.

 
 

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