Questo libro [A. Tellez, Sabate. Guerilla Extraordinary, London, 1985] parla della vita, l’azione e della morte di un guerrigliero anarchico.

Molte cose sono successe da quando fu pubblicato per la prima volta alla fine degli anni Sessanta, e l’esperienza della lotta armata in Europa non è più limitata soltanto a quella dei compagni che continuarono la lotta contro la Spagna franchista. Ma questo non toglie nulla all’importanza teorica e pratica delle azioni di Sabate, e al valore di questo libro in particolare.

Il discorso potrebbe essere lungo, ma cerchiamo di abbreviarlo per non complicare le cose.

Sembrerebbe che tutti gli anarchici dovrebbero essere d’accordo su alcuni aspetti; non avere esattamente la stessa opinione, ma almeno essere senza grosse contraddizioni. Il primo problema è quello di attaccare il nemico di classe (cioè lo sfruttatore), sia nell’aspetto macroscopico dello Stato, sia in quello microscopico dell’individuo responsabile dello sfruttamento. Ma quando un compagno si organizza per passare dalle parole ai fatti, quelli che avanzano dubbi, perplessità, sospetti, incertezze non mancano mai. Ci sono sempre dei compagni anarchici che hanno fatto diventare il loro anarchismo una specie di parabrezza per nascondere le proprie debolezze e i propri compromessi. Evidentemente non possono approvare qualcuno che contribuisce a smascherarli, e attraverso le sue azioni, attaccando il nemico smuove le acque stagne del loro sonno, spesso attirando l’attenzione delle forze repressive.

Critiche del tipo: non è il momento, queste cose si fanno quando la rivoluzione è alle porte, dobbiamo essere sicuri che le masse sono con noi, vengono indirizzate costantemente al compagno che intende agire ora, subito.

Per quanto riguarda le azioni di Sabate, egli, in pratica, fu lasciato solo con alcuni compagni che, di volta in volta, si unirono con lui individualmente per continuare la lotta. Ma queste azioni dovevano aver luogo dentro la Spagna. Quando si cercava di fare qualcosa fuori, sempre per colpire il regime fascista, era subito un mare di disaccordi. E anche più tardi, quando ci fu il ricorso alla solidarietà internazionale (per esempio il sequestro di Monsignor Ussia), non pochi furono i dissenzienti. L’azione doveva essere vista alla luce del suo obiettivo eccezionale, di salvare la vita dei compagni condannati a morte, niente di più.

Il lettore si renderà conto che poco è cambiato dall’epoca in cui Sabate portava avanti la sua lotta in completo isolamento. Anche in tempi molto recenti, quando alcuni anarchici si sono organizzati per attaccare, il cosiddetto movimento ufficiale ha preferito rimanere in silenzio, quando non è uscito in dichiarazioni di dubbio o condanna vera e propria.

È questo l’ineluttabile destino di tutte le organizzazioni? Non credo. Un’organizzazione che si definisce custode delle tradizioni ideologiche del movimento anarchico deve necessariamente diventare conservatrice e guardare a tutte le iniziative d’attacco — specialmente quando queste avvengono al di fuori del suo controllo — con preoccupazione e sospetto. Al contrario, un’organizzazione nata come struttura di attacco, capace di modificarsi secondo i bisogni del momento, che evita la burocratizzazione, e non ha alcuna intenzione di custodire una qualsiasi "memoria", può diventare la base indispensabile per l’azione rivoluzionaria. E, in fondo, è verso questo genere di organizzazione che andarono gli sforzi di Sabate, come di qualunque altro rivoluzionario anarchico che intende attaccare il nemico di classe. È precisamente su questa linea di separazione che i due modelli di intervento si sviluppano.

Da un lato, il modello controinformativo come fine a se stesso, una struttura che si ripete eternamente, che sopravvive nella propria immagine, di volta in volta fornendo le opinioni più avanzate su quello che le forze del potere decidono di mettere in circolazione.

Dall’altro lato, una struttura minima, che si organizza per agire, che si mantiene ben documentata sulla realtà, ma solo per realizzare progetti di intervento e azioni rivoluzionarie, non per distribuirle come merce di consumo. In questa prospettiva tutto prende un’altra luce. In primo luogo la disponibilità di mezzi. Chi si limita alla controinformazione, si basa sulla buona volontà dei compagni e sulle loro sottoscrizioni. Chi ha un progetto preciso di attacco deve andare oltre, espropriando ai capitalisti i soldi necessari . Ma allora, in questo caso, l’impegno è diverso, completo e totale.

Certo, ci sono dei rischi. Non tanto per la vita, che per un rivoluzionario è sempre messa in gioco in tutte le sue decisioni, quanto per la conseguente separazione, per l’isolamento.

L’imbecillità degli altri, la loro cattiva fede nel non volere comprendere, la loro mancanza di entusiasmo: tutte queste cose feriscono mortalmente, spesso più dei proiettili del nemico. Altrettanto dannosa è la simpatia interessata, e la curiosità morbosa.

E Sabate fu ferito da tutte queste dolorose spine nel fianco, prima di essere ucciso dalla Guardia Civil.

Ma non si fermò mai, non si ritirò, non si lasciò sopraffare dal dubbio. E che non si dica (come è stato detto) che le cose erano più facili per lui perché tutti erano d’accordo a combattere il fascismo. Questo va bene per gli ipocriti che si travestono da rivoluzionari, certamente non per gli anarchici. Il fascismo è sempre davanti a noi, anche quando porta il vestito multicolore dello Stato relativamente permissivo della signora Thatcher. [1985].

Ognuno capisce ciò abbastanza facilmente. Meno facilmente decide di agire. Ecco perché un libro di questo tipo è sempre utile: perché leggerlo ci spinge all’azione, sveglia gli entusiasmi. Perché dimostra in mille modi come colpire il nemico, perché non dà spazio alla rassegnazione e al dubbio.

È necessario capire che non possiamo aspettare che gli altri — neanche gli altri compagni —ci diano il segnale di agire, l’indicazione finale. Questa deve venire da noi. Ciascuno di noi, preso individualmente, deve trovare i suoi compagni e costituire piccoli gruppi di affinità che sono l’elemento essenziale per dare vita all’organizzazione di attacco di cui abbiamo bisogno. Le azioni verranno facilmente, come conseguenza naturale della decisione di agire, insieme, contro il nemico comune. Grandi parole, dichiarazioni per andare nella storia, le grandi organizzazioni del passato glorioso, i vasti programmi per il futuro, sono tutti inutili se la volontà del singolo compagno viene a mancare. E in questa prospettiva Sabate non è rimasto solo, la sua lotta continua oggi.

Alfredo M. Bonanno

[Introduzione a: Antonio Tellez*. Guerrilla Extraordinary: Sabaté*, London 1985, pp. 9-12. In italiano su: Alfredo M. Bonanno, A mano armata, Anarchismo, Catania 1998]


 
 

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