La ragione dell’imminente attacco degli Stati Uniti all’Irak è una sola: il petrolio. Le risorse petrolifere americane, al ritmo attuale, potrebbero durare – dati ufficiali – undici anni. Le riserve di greggio irakene si stanno invece rivelando le maggiori a livello mondiale.

Ecco perché l’ex collaboratore della Cia Saddam Hussein è diventato un "nemico dell’umanità": nelle alleanze statali e mercantili, i Buoni diventano Cattivi e i Cattivi diventano Buoni alla stessa velocità con cui cambiano gli indici della Borsa. Quello delle "armi di distruzioni di massa" in possesso dello Stato irakeno è uno spudorato pretesto. Anche il più piccolo degli Stati dispone di simili armi. Il sistema capitalista in quanto tale è una quotidiana distruzione di massa.

Con o senza Onu, addirittura con o senza Nato, gli Stati Uniti sono determinati a una guerra per la conquista e il controllo delle zone petrolifere irakene. Questa volta non si limiteranno a bombardare una popolazione già stremata dalle 250 mila bombe sganciate nel ’91 e poi da dodici anni di embargo, a causa del quale sono morti 500 mila bambini (non è forse, questa, una "distruzione di massa"?). Agli altri governi il gendarme americano "chiede", anche con il ricatto dei prestiti del Fondo Monetario Internazionale, un aiuto logistico e un giro di vite interno contro le lotte sociali (ovviamente in nome del "antititerrorismo"). Le grandi potenze europee non hanno interessi diretti in questa guerra: ecco il motivo dei loro caroselli sulla pace.

Il governo Berlusconi, servile come al solito, si è già messo l’elmetto. I partiti e i sindacati di sinistra, gli stessi che hanno bombardato (o giustificato chi bombardava) in Kosovo, scoprono i girotondi pacifisti. Ipocriti.

La faccenda del petrolio dimostra chiaramente una cosa: chi difende la società industriale di massa, difende la distruzione di massa.

Quello che possiamo fare noi, senza-voce e senza-potere, dominati e sfruttati, è inceppare la loro macchina assassina. Dai luoghi di lavoro alle scuole, dalle piazze alle vie di comunicazione, generalizzando quei blocchi che in tempi recenti hanno cominciato a fare gli operai della Fiat. Sotto forma di licenziamenti o di controllo poliziesco, saremo noi a pagare questa guerra, se ci faremo complici con la nostra passività.

Dall’Argentina alla Palestina, dall’Algeria alla Corea, milioni di poveri sono in rivolta contro questo "migliore dei mondi possibili" che gronda sangue dalle sue merci. Ecco la preoccupazione dei padroni, quella che li fa tutti alleati: dietro le schiere dei loro rambo si potrebbe affacciare lo spettro della guerra sociale.

CONTRO LA LORO PACE

Rovereto, 5/2/03

 
 

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