#lang it #title Breve resoconto delle iniziative a Rovereto Sabato 12 marzo [2005] si è svolta a Rovereto una manifestazione contro ogni fascismo. Il corteo, a cui hanno partecipato circa centocinquanta persone, si è caratterizzato per il tentativo di intrecciare il passato con il presente, il ricordo della resistenza e delle violenze fasciste nella storia locale con le lotte generali di oggi. Si è passati dalle riflessioni su 60 anni di democrazia reale al ritorno dello squadrismo neofascista in diverse città italiane, dal genocidio e dalla rivolta in Iraq alla solidarietà con i compagni detenuti. I manifesti affissi, le diverse scritte sui muri, la vernice contro le banche, un paio di telecamere sfasciate e i nomi delle vie cambiati in omaggio ad anarchici e antifascisti locali e non, hanno un po' migliorato l'arredo urbano. La manifestazione, che concludeva un ciclo di incontri sulla Resistenza sconosciuta, è stata anche un momento di solidarietà con i due compagni di Rovereto sotto processo per un pugno contro un consigliere di AN ("un pugno al fascismo per mille pratiche di libertà" diceva, infatti, lo striscione di apertura). Al termine del corteo si è svolta un'assemblea sui limiti e le prospettive dell'antifascismo rivoluzionario in cui, vista anche la stanchezza, ci si è scambiati soprattutto i prossimi appuntamenti di lotta. Giovedì 17 marzo si è tenuta la prima udienza del processo contro Juan e Massimo. Il processo è stato aggiornato al 9 giugno perché mancavano l'accusatore e una sua teste. Fuori dal tribunale e poi in città si è svolto un presidio di solidarietà con i due anarchici a cui ha partecipato una trentina di compagni. Massimo e Juan hanno fatto delle dichiarazioni in aula che poi sono state distribuite sotto forma di volantino. Per chi fosse interessato, le riportiamo di seguito. *alcuni compagni* **DICHIARAZIONI DAVANTI AL TRIBUNALE** Per prima cosa voglio esprimere la mia massima solidarietà e il mio completo accordo con Massimo Passamani e qualunque altra persona reagisca, si difenda o attacchi qualsiasi forma di potere, in questo caso il "signor Enrico Pappolla", consigliere di Alleanza Nazionale. In secondo luogo dichiaro che dal posto in cui mi trovavo, il giorno dei fatti, non potevo vedere nulla. Questa è l’unica cosa che dirò in questo tribunale e non risponderò a nessun’altra domanda che mi venga rivolta. Rovereto, 17 marzo 2005 *Juan Antonio Fernandez Sorroche*
Con questa mia dichiarazione voglio precisare brevemente i fatti per cui sono imputato e il loro senso. Il modo migliore per non capire alcuni eventi è quello di toglierli dal loro contesto. Quel lunedì 7 luglio 2003 non sorge dal nulla. La settimana precedente, la nostra terza occupazione in meno di un anno — il Bocciodromo di via Parteli, cioè l’ex Collodo — veniva sgomberata dopo un mese di dibattiti, lotte, concerti e vita collettiva. Avevamo trasformato un edificio vuoto da anni (e tuttora inutilizzato) in un luogo abitabile, libero dal denaro e dalla gerarchia. Una breccia contro la speculazione immobiliare, contro gli affitti sempre più esorbitanti, una critica pratica dell’isolamento sociale e della privatizzazione degli spazi. Per il sabato Alleanza Nazionale, Forza Italia e la Gioventù trentino-tirolese avevano indetto un presidio davanti al Bocciodromo per chiederne lo sgombero all’autorità e pretendere più repressione contro gli anarchici. Lo sgombero arriva il giovedì, con un considerevole spiegamento poliziesco. Non contenti, i fascisti di AN organizzano ugualmente per sabato 5 luglio un gazebo in città per chiedere una maggiore repressione degli anarchici in vista del vertice di Riva di settembre. Una decina di compagni scende in strada per manifestare il proprio dissenso verso quest’ulteriore iniziativa forcaiola. Nel giro di qualche istante, una trentina di fascisti e neonazisti, soprattutto del Veneto Fronte Skinhead, sbuca con tanto di bastoni, saluti romani e «Boia chi molla». Sono i cani da guardia chiamati dai consiglieri "postfascisti" di AN, i picchiatori dalle teste rasate venuti in aiuto ai loro padrini in doppiopetto. Qualche compagna finisce per terra, gli altri resistono fin che possono, poi partono tutti in corteo spontaneo. Anche Pappolla, alla fine, giunge sul posto. Il lunedì dopo, mentre siamo in città a distribuire volantini e a spiegare al megafono cos’è accaduto sabato, vediamo passare Pappolla. Da solo, lo avvicino e lo apostrofo a proposito dei mastini neonazisti che il suo partito ha chiamato in piazza. Costui si gira, farfuglia che lui non c’entra nulla (quando si dice il coraggio delle proprie idee…) ed alza, maldestramente, per primo le mani. Si prende un pugno in faccia. Nessun altro compagno lo tocca, non cade per terra né viene pestato. Il volantinaggio continua. A differenza del consigliere fascista, io mi assumo le mie responsabilità. Gli ho dato un pugno, e me lo rivendico. Ciò che confermo oggi l’abbiamo detto e scritto — i miei compagni ed io — fin dall’8 luglio del 2003. L’ho io stesso più volte affermato in piazza e ribadito in testi pubblici. Preciso ulteriormente che Juan Sorroche non c’entra nulla. Non si è mai avvicinato a Pappolla, né tantomeno lo ha colpito. Ogni tentativo di coinvolgerlo è un’odiosa falsificazione. Il fatto riguarda solo ed esclusivamente me. Per finire vorrei sottolineare ancora una volta, invece, il senso del mio gesto. A diciassette anni ero già un anarchico attivo. Più o meno negli stessi anni, Pappolla era segretario del Fronte della gioventù, l’organizzazione giovanile del MSI. Le mie sono state scelte antimilitariste, di rivolta contro ogni dominio e di solidarietà con gli oppressi. Le sue, scelte razziste, di giustificazione della guerra, di repressione nei confronti dei più poveri e marginali, di attacco contro ogni libertà di dissenso reale. Non ricordo qui tutto ciò che hanno fatto lui e il suo partito, perché sarebbe troppo lungo. Il mondo che costoro costruiscono giorno per giorno — questo mi interessa ribadire — non è una generica opinione, bensì una concreta, materiale, visibile gabbia per milioni di dannati della Terra. Quel pugno è stato solo un piccolo gesto di amore verso i miei compagni scesi in piazza quel sabato 5 marzo, un atto di solidarietà verso tutte le donne e gli uomini che si battono per un mondo senza frontiere, senza documenti, senza Stati. Una forma di rispetto, infine, verso tutti i partigiani caduti per cancellare il fascismo dalla storia. Il vergognoso linciaggio mediatico che ha trasformato un pugno in un pestaggio di sette contro uno e il relativo coro politico di condanna nei nostri confronti non cambiano la realtà dei fatti. Nessuna sentenza di tribunale cambierà mai le mie convinzioni. Rovereto, 17 marzo 2005 *Massimo Passamani*