RECENSIONE

[Da "Canenero" - settimanale anarchico, n. 39, 15 novembre 1996]

Re Nudo, Rivista mensile, ottobre 1996, numero uno
(Re Nudo edizioni, 96 pp.)

Denudare i re, all'epoca dei figli dei fiori, era cosa che veniva assai naturale. Spogliati della loro severità e intoccabilità, li si guardava con scherno, come a dire: “sotto sei nudo anche tu, sei come noi”. E' rinata, per la gioia di fricchettoni ed ex-militanti della sinistra extraparlamentare, una rivista vissuta negli anni settanta, carta impregnata d'incensi e misticismi. La rivista torna alla luce in veste rinnovata, con una grafica di lusso, un prezzo pesante e pretese altisonanti. Come ci fa notare Majid Valcarenghi, il direttore, il mensile si propone una scommessa, quella di estrinsecare un nuovo modo di fare giornalismo, una collaborazione continua e interattiva, un'oasi liberata dai luoghi comuni dell'informazione normale, una tribuna per penetrare in fondo a se stessi e per raggiungere nuove dimensioni.

Quella che proclama essere una delle vere ricchezze della rivista è la diversità di coloro che ne prendono parte, una diversità tutta a favore del confronto e della crescita spirituale di ognuno. Di una gran bella fatta, questa diversità, non c'è che dire: il santone Osho che svela l'impossibilità di dare risposte giuste perché la vera risposta è nel non sentire più il bisogno di domandare, la rockstar Vasco Rossi che consiglia lo Stato di occuparsi del traffico e di far pagare le tasse, l'editorialista
progressista Michele Serra, quel pretaccio del Dalai Lama, il redivivo Giorgio Gaber tagliente come un grissino, gli psiconauti, gli affermati psicologi, le pubblicità dei centri di meditazione che pensano a come spiritualizzare gli adepti per materializzare il proprio conto in banca.

Ricorrente fino all'asfissia il tema dell'Oriente come mondo incontaminato da cui trarre i benefici dell'anima e la pace interiore. Una pace interiore che è distacco dalla realtà, rifiuto di un intervento deciso mirato al suo abbattimento, critica flebile e quasi inesistente alle cause di qualsiasi schiavitù. Tante parole, intrecciate, ricamate, dolci e mielose. Fra uno spinello e l'altro sale in aria insieme alle capriole di fumo tutto quello che la rivista si propone: il proprio distacco dalla realtà. Cercate pure voi stessi, pregate se volete. Concludo con Gaber, abile parolaio: “Di tutte le parole dette inutilmente dovrete rispondere nel giorno del giudizio”. Che
vi piomberà addosso nel bel mezzo di una meditazione.

 
 

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