Giuseppe Rensi, Filosofia dell'autorità
[Da "Canenero" - settimanale anarchico, n. 39, 15 novembre 1996]
Giuseppe Rensi, Filosofia dell'autorità
(De Martinis & C., Catania 1993, 232 pp.)
La Verità, di questi tempi, non gode molta fortuna. Lo scetticismo, al contrario, sembra offrire ogni virtù. Si è scoperto che la pretesa del vero è parente stretta della volontà di dominio. I dogmi, le ideologie e ogni odore di ortodossia sono dunque in svendita. Si è tutti relativisti, perché così vuole la libertà.
Ben venga, allora, questo libro di Rensi, in cui si mostra come lo scetticismo sposi infine la causa dell'autorità. La tesi, svolta con tagliente consequenzialità e con quella chiarezza e quel gusto della digressione che furono dei grandi moralisti classici, è semplice. Non esiste il bene. Esiste solo la parola “bene” dietro la quale ognuno mette quello che vuole. L'universalità del bene - il fatto, cioè, che tutti siano favorevoli a questo valore - è un accordo nominale e niente di più. Sotto il nome, non è che lotta e conflitto continui. Questo vale anche per la verità, la libertà, la bellezza e tutti gli altri universali etici ed estetici. Il giusto, il vero e il bello che dominano in una società sono sempre determinati dalla forza, cioè dall'arbitrio, con buona pace di tutti i fondamenti assoluti della morale. Ora, senza arbitrio non vi sarebbe la possibilità di imporre a chicchessia un giusto e un vero comuni, non vi sarebbe la possibilità di leggi e, dunque, di alcuna vita associata. Ma, essendo quest'ultima necessaria agli uomini, necessaria diventa anche l'autorità, cioè la forza. Lo scettico, quindi, accetta l'autorità in carica, convinto che ogni cambiamento non farebbe che sostituire un bene ad un altro bene, arbitrio ad arbitrio. Ecco il ragionamento di Rensi.
Detto di sfuggita, non si capisce perché, in questo quadro, egli rimproveri a Kant o a Rousseau di aver voluto dare - imbrogliando il pensiero - un fondamento universale al bene. Dal suo punto di vista la giustificazione razionale dell'universalità dei valori non dovrebbe essere che un'arma di guerra. Perché mai chi difende l'autorità - cioè l'arbitrio necessario - non dovrebbe usare, oltre alla forza, la menzogna? Oppure solo il filosofo è il custode del retto ragionare, cioè di quella Verità la cui pretesa non è che vuoto nominalismo, cioè pura “irrazionalità”? Insomma, in battaglia ogni strumento vale. Tanto più che se si togliesse all'autorità il potere di rappresentarsi come collettività, cioè di mostrare come comuni interessi che in realtà sono di gruppo, di casta, di classe, la si priverebbe di un suo fondamentale sostegno: l'ideologia.
Da quando Rensi scrisse questo libro (1920) sono passati più di settant'anni. A trionfare oggi non sono più il razionalismo e lo storicismo di un Croce e di un Gentile, ma un pensiero che della presunta critica ai valori assoluti ha fatto la giustificazione del potere democratico, delle “magnifiche sorti e progressive” della tecnologia. Le sue tesi scettiche non porterebbero certo il nostro filosofo, come gli capitò durante il fascismo, ad essere incarcerato. L'obbedienza del “saggio” all'autorità è la sola conquista che si è generalizzata, per di più con l'alibi della libertà.
La democrazia, mentre ha abbandonato la Verità ai “reazionari”, ha confezionato opinioni per tutti. E in questo spettacolo (la chiesa da un lato e i laici dall'altro, tradizionalisti in disuso contro progressisti senza progresso) l'unica verità indiscutibile è l'esistente. Non so cosa penserebbe il “relativismo” di Pirrone o di Protagora, certo è che rispetto alla polis l'unico progresso della democrazia è nel numero degli schiavi.
Oggi non è possibile parlare di menzogna rispetto, ad esempio, ai mass-media, senza essere accusati di avere ancora fede in un'obiettività da difendere. Criticare - nei discorsi e nella pratica - la sofisticazione dei cibi e dei rapporti, rivelerebbe il sogno di un'autenticità estorta dal capitale, dunque avrebbe il senso di una pretesa veritativa. Per farla breve, la rivoluzione, la quale si appoggia su questo mondo come una lima si appoggia alle sbarre da segare, sarebbe una nostalgia metafisica!
Come si vede, non c'è che un modo di sbarazzarsi della Verità: quello di accompagnare nella rovina anche i suoi falsi nemici.
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