RECENSIONE Ernesto “Che” Guevara, Guerrilla

[Da "Canenero" - settimanale anarchico, n. 35, 18 ottobre 1996]

Ernesto “Che” Guevara, Guerrilla
(Mondadori, Segrate 1996, pp. 183)

Il mercato editoriale italiano - come avrà notato chiunque abbia avuto la sventura di entrare negli ultimi tempi in una qualsiasi libreria - è saturo ormai di libri sulle gesta ed il pensiero del comandante Che Guevara. Dalla primissima infanzia alla morte in Bolivia, tutto è stato scritto, ogni momento è stato scandagliato. Come non ricordare Mio figlio il Che dell'inconsolabile Ernesto Guevara Lynch - il padre -, le interviste alle varie mogli, alle figlie, le toccanti memorie di Alberto Granados -
l'inseparabile compagno di viaggio - e quelle dei compagni sulla sierra?

L'ultima puntata è questo Guerrilla, un tascabile Oscar Mondadori col bel faccione-manifesto del Che sulla copertina. Una patacca, niente di nuovo: non si tratta di altro che del trito manuale La guerra di guerriglia, diffusissimo in Italia ed ancor più in America Latina, trent'anni fa. La Mondadori sfrutta il filone, sì, ma pudicamente: Guerrilla è nome molto più esotico e un poco meno inquietante, e poi lo sguardo intenso del Che garantisce le vendite.

Ecco, questo pudore mi sembra che ci possa dire qualche cosa in merito alla resurrezione nei cuori dei giovani della sinistra - e sulle loro magliette e sulle loro bandiere - del barbutissimo guerrigliero di Rosario, obliato fino a pochi anni fa.

Guerrilla: nome che non evoca neanche più echi di spari lontani, in un altro continente. Solo il volto del guerrillero eroico rimane nelle memorie, solo lo spettacolo del sacrificio. Il foco guerrillero - la teoria che propugna Che Guevara in queste pagine - fa parte dei sogni definitivamente naufragati nell'immenso mare latinoamericano; i dieci, cento, mille Viet-Nam da creare sono rimasti nel cassetto di qualche politico rivoluzionario e la rivoluzione continentale ancora aspetta tempi migliori.

Non è un caso allora che lo spettacolo della rivoluzione tropicale ed i suoi cantori ritornino di moda dalle nostre parti. Qualsiasi sommovimento sociale lontano nel tempo - la sierra e i barbudos - o nello spazio - il Chiapas di Marcos oggi come il Nicaragua quindici anni fa - non possono che essere ben visti.

La rivoluzione deve essere sempre e comunque lontana - possibilmente sotto le palme. Poi ci servono i campesinos - i guajiros, nella versione cubana -, ci serve la sierra, ci serve la United Fruits e qualche dittatore di provincia.

E se dalle nostre parti sono merce rara, non c'è problema. I poster e le magliette del Che abbondano e sognare le rivoluzioni, si sa, è quasi meglio che farle. E intanto che sognamo, non dimentichiamoci di dare il nostro voto a Rifondazione.