RECENSIONE Roberto Benigni, E l'alluce fu

[Da "Canenero" - settimanale anarchico, n. 41, 29 novembre 1996]

Roberto Benigni, E l'alluce fu
(Einaudi Tascabili, Torino 1996, 168 pp.)

Eccolo qua, il saltimbanco di Vergaio, mettere su carta monologhi e interviste, caratterizzati dalla mancanza di serietà che solo un comico, incellophanato nel suo ruolo, si può permettere. Citando Duchamp - "l'allegria perde il suo stesso senso di vita se viene presa sul serio" - lancia un messaggio ai comici: guai a chi lancia messaggi. Proprio così, si può far ridere partendo dalla facezia, magari dagli schermi della tivù di Stato, magari permettendosi di sfottere i potenti, i politici, un capo di Stato, il Papa.

Ma giustamente, come egli stesso ci fa notare, la sua non è iconoclastia. È la critica inevitabile all'evidenza. Una critica che, talvolta sfrontata, lo ha reso celebre. Lo spettacolo è talmente bene organizzato che anche un moscone, inquadrato nelle sue fila, non lo può disturbare, ma lo rende più variegato, più completo.

Com'è solito, Benigni sfodera la sua brillantezza specie nei riguardi delle donne, catalizzatrici di ogni sua performance. Dopo il geocentrismo di Tolomeo, l'eliocentrismo di Copernico, ci presenta infatti la sua nuova concezione del mondo e del pensiero: il sistema topacentrico - "l'hanno messa al centro del corpo perché così non si sbaglia mai". Su questi argomenti, si sa, e al solo pronunciare parole celate dal moralismo, parole “scabrose” (di un gusto sopraffino lo "sventrapapere"), con certa gente le risate sono assicurate. Una gran soddisfazione.

Quando narra le vicissitudini della sua infanzia, le sue origini contadine, comuniste, per lo più anticlericali, ci spiega in parte l'origine di molti dei luoghi comuni che ha acquisito, che non ha ancora abbandonato. E la feroce satira sulla religione, sebbene satira rimanga, ma fra le più azzeccate, si distende con un simpatico frastuono. Nonostante la sua faccia non gli appartenga quasi più, per volontà d'immagine, ha sempre rifiutato di prostituirsi a un certo tipo di pubblicità. Inveisce contro i medicinali, molto garbatamente. Addirittura declama Bunuel, riuscito a rimanere ragazzo per tutta la vita. Piccole note di un opaco merito.

Resta nel mucchio, in ogni caso. Come ho detto all'inizio, dai balconcini del Palazzo le invettive al re fanno sogghignare anche lui.

Per il resto, di divertente c'è ben poco.