“L’aggressività del popolo rumeno è indiscutibile”

Cosmo Francesco Ruppi, Arcivescovo di Lecce


Istigazione all’odio razziale. Solo così può essere definita l’affermazione che il Vescovo metropolita di Lecce si è sentito in dovere di esprimere, accodandosi alla canea mediatica di questi giorni in merito alla cosiddetta “emergenza rumeni”. Peccato che il Monsignore non abbia voluto parlare dell’aggressività – quella si, indiscutibile – del suo braccio destro, don Cesare Lodeserto, dei medici e di tutti gli sgherri che gestivano il CPT “Regina Pacis” a San Foca, di proprietà della Curia da lui governata.

L’aggressione di una donna ad opera di un Rom, a Roma, è giunta nel momento opportuno per il Governo, che grazie ad una enorme campagna di speculazione terroristica, volta a criminalizzare la fascia indesiderata di un intero popolo, punta ad ottenere due risultati in un colpo solo: da una parte, l’approvazione del cosiddetto “Pacchetto Sicurezza” approntato dal ministro Amato, e dall’altra il via libera alla deportazione di uomini e donne stranieri, seppure di Paesi appartenenti all’Unione Europea.

Negli stessi giorni, sempre a Roma, un Capitano dell’Esercito Italiano, ex tiratore scelto, spara all’impazzata dal balcone della sua abitazione, uccide due uomini e ne ferisce altri sette. Nessuno, in questo caso, ha però avanzato l’ipotesi di sciogliere l’Esercito. Anzi, se il Capitano avesse sparato da un balcone di Baghdad, non sarebbe stato tratto in arresto, ma con ogni probabilità gli sarebbe stata conferita una medaglia.

Parlare dunque di una “questione rumeni” non è solo fuorviante, ma risponde ad una logica ben precisa. Le misure inserite nel Decreto Legge sul “Pacchetto Sicurezza” dovrebbero rappresentare un giro di vite contro i soggetti che, a quanto ci dicono, destano maggiore “allarme sociale”. Questi sarebbero coloro che per campare vendono merce o lavano i vetri delle auto ai semafori, gli ambulanti abusivi – in particolare quelli che vendono merce contraffatta – ed ancora, i graffitari e chi chiede l’elemosina. I provvedimenti contro queste due ultime categorie sono paradigmatici delle mire del governo e degli Stati, che puntano a sopprimere sul nascere il dissenso sociale, che può esprimersi appunto per mezzo di scritte sui muri, per le quali ormai si rischia l’arresto, come accaduto circa un mese fa a Bologna. Le misure coercitive contro chi elemosina, invece, richiamano alla mente le grida del Medio Evo, che prescrivevano che gli elemosinanti fossero trascinati fuori dalle mura della città. Ora, a distanza di alcuni secoli, le mura sono quelle della Fortezza Europa e quelle interne, non geografiche ma tangibili, della eterna divisione in classi: da una parte gli sfruttatori, dall’altra gli sfruttati. Da un lato gli inclusi, dall’altro gli esclusi.

Si criminalizza il lavavetri e l’ambulante, in una società in cui la guerra è dappertutto; dove squadracce xenofobe vanno in giro impunite ad incendiare i campi Rom e ad accoltellare e pestare immigrati, omosessuali e “diversi”, con la protezione e la complicità delle forze di polizia; si arresta chi fa una scritta sui muri in un Paese dove circa 1300 persone all’anno muoiono di lavoro; si rinchiude e si espelle chi chiede l’elemosina per strada, perché non ha accettato di prendere l’elemosina nel proprio Paese, sotto forma di un salario da fame elargito dall’imprenditore occidentale di turno.

Appare chiaro come il problema non sia quindi etnico o religioso, bensì sociale. Di classe, appunto. C’è allora un’unica strada da percorrere: quella del riconoscere i propri fratelli ed identificare il reale nemico. Non più la guerra degli italiani contro gli stranieri, ma quella delle vittime contro i propri carnefici, degli sfruttati contro gli sfruttatori.

Non resta che soppiantare l’intolleranza e l’odio xenofobo con la guerra di classe.

 
 

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