INDAGATI
per il reato di cui all’art. 270 bis C.P., per aver costituito e diretto una associazione, denominata C.R.A.C. - CENTRO di RICERCA per l’AZIONE COMUNISTA, che si proponeva il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo e eversione dell’ordine democratico ed in particolare di compiere delitti con uso di violenza contro l’incolumità personale allo scopo di svolgere attività politica e di propaganda diretta a combattere il capitalismo e a distruggere lo stato.

Con queste parole inizia il decreto di perquisizione emesso dal Tribunale di Bologna, con il quale venerdì 11 luglio 2003 i carabinieri del ROS hanno bussato alle porte di più di cinquanta persone in diverse città d’Italia. A Torino viene perquisita la casa di un compagno del centro di documentazione “Porfido”, e sequestrati computer, floppy disc, corrispondenza e carte varie.

Tanto per parlar chiaro, non solo evitiamo, come molti usano fare in questi casi, di “prendere le distanze”; al contrario, confessiamo che se il CRAC fosse realmente un’associazione in grado di tali pregevoli opere (“eversione dell’ordine democratico” … “combattere il capitalismo” … “distruggere lo Stato”), sicuramente non avremmo esitato a farne parte. Peccato però che non sia così. E non certo a causa di incapacità degli amici e compagni del CRAC; quanto per il semplice fatto che la rivoluzione sociale non è la messa in atto di un progetto elaborato da un gruppo politico, da un’avanguardia, da un partito, armato o meno che sia, quanto piuttosto un processo storico, una catastrofe epocale, frutto dell’esplosione delle contraddizioni insite in una organizzazione sociale in declino.

“Il comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente”, si è detto.

È all’interno di questo movimento che individui e gruppi si sforzano di accelerarlo, di parteciparvi, cercando di dare forza e consapevolezza alle forze sociali deputate alla sua realizzazione, al superamento della società, alla realizzazione della comunità umana. In questo sforzo si pone Porfido, nel suo piccolo, come i compagni del CRAC.

Nessuna dissociazione, dunque, anche perché in realtà c’è ben poco da cui dissociarsi. Nell’indagine in questione, addirittura, non c’è proprio nulla. Le uniche cose che vengono contestate agli indagati, a quanto risulta dagli atti, sono assemblee pubbliche, presentazioni di libri, riunioni.

Del resto sembrerebbe alquanto assurdo, ma evidentemente non agli occhi di carabinieri e Procura, costituire un’associazione eversiva con il suo bel sito internet, i suoi giornali, un recapito pubblico, ecc. Ma tant’è.

Quel che viene sbandierato negli atti è una presunta analogia con le posizioni dei “gruppi eversivi dichiaratamente autori di atti di violenza e terrorismo, quali le Brigate Rosse partito comunista combattente…”. Quel che è certo però è soltanto che i compagni di CRAC, in seguito all’omicidio di Marco Biagi, hanno pubblicamente rifiutato di “unirsi alla canea di voci di coloro che, per opportunismo e infamia, fanno a gara per essere 'i più lontani', 'i più democratici', 'i migliori antagonisti delle BR-PCC'”.

E visto che questa indagine, anche se indirettamente, in qualche modo chiama in causa anche noi, confessiamo senza pudore che per la morte di chi ha speso la propria vita al servizio dello sfruttamento di classe non abbiamo versato una lacrima. Sarà perché siamo degli estremisti senza cuore, forse. O forse sarà che ne versiamo già abbastanza di lacrime, tutti i giorni, per le vittime di tale sfruttamento, per tutti i ragazzi uccisi sulle strade dalle pallottole della polizia, per tutti i proletari morti di lavoro o rinchiusi e torturati nelle patrie galere; per non parlare di tutti i bombardati, affamati, ammalati, del resto del mondo, e affondati o deportati quando cercano di fuggire dalla sorte che il capitalismo gli ha riservato a casa loro.

Comunque, se da un lato questa indagine è demenziale tanto da far sorridere, dall’altro è preoccupante in quanto spia del clima di cui è figlia. E non ci riferiamo, o per lo meno non esclusivamente, alla repressione nei confronti del “movimento”, ma della generale recrudescenza della repressione a livello mondiale. Chiamare in causa un governo di destra è soltanto un insulso tentativo di rovesciamento causa-effetto.

Il clima di guerra infinita permea prepotentemente tutta la vita sociale, anche nelle metropoli della “fortezza occidente”. La guerra internazionale al terrorismo si traduce in un attacco a ogni spazio di libertà e autonomia in tutto il pianeta, dove le frontiere, blindate per i migranti, non esistono più per soldati e polizie; gli Stati baluardo delle “libertà democratiche”, candidamente, costruiscono lager, applicano la tortura sistematica sui prigionieri, calpestano i trattati internazionali, ecc.
A capo della polizia USA in Iraq si insedia colui che ha combattuto la criminalità nelle strade di New York, braccio destro di Rudolph Giuliani, eroe della “tolleranza zero”; così come a dirigere i pestaggi nelle strade di Genova i giorni del G8, c’erano gli stessi carabinieri che avevano diretto i massacri in Somalia, tanto per ricordarci come sia venuta meno ogni separazione tra tempi di guerra e tempi di pace; “zona di guerra” è ormai l’intera vita sociale. L’amministrazione dell’ordine capitalista si sta sempre più risolvendo in una guerra civile quotidiana, una guerra permanente contro gli uomini per il mantenimento coatto della pace mercantile.

Non è proprio quel che si dice una situazione rosea… sembrerebbe piuttosto il disperato tentativo di scongiurare il crollo di una società in agonia, a qualsiasi prezzo. Non sappiamo quanto potrà reggere, certo non in eterno. Nel frattempo, comunque, confessiamo che non abbiamo intenzione di stare seduti sulla riva del fiume, aspettando di veder passare il cadavere del mostro mercantile.

14 luglio 2003 - centro di documentazione “Porfido” - via Tarino 12/c, 10124 Torino

 
 

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