Partita doppia

Quello di seguito è il volantino diffuso nella serata di domenica 6 maggio 2007 a Lecce, volantino il cui scopo era di denunciare le mire della repressione e del Tribunale di Lecce nel processo contro gli anarchici salentini scaturito dagli arresti di due anni fa. Il pomeriggio dopo il volantinaggio – per cui era stato dato regolare preavviso – cinque compagni hanno ricevuto la visita della Digos, che gli ha notificato il sequestro del volantino con la motivazione che “presentava contenuti diffamatori, denigratori ed offensivi nei confronti delle sottoindicate persone:

Lino Giorgio Bruno, sost. Proc. Rep. presso il Tribunale di Lecce; Alfredo Mantovano, Senatore della Repubblica;

Cesare Lodeserto, prelato della Curia di Lecce; Cosmo Francesco Ruppi, vescovo della diocesi di Lecce;

Giudici del Tribunale di Lecce, componenti della sezione del Riesame, non meglio indicati;

Personale di Polizia Giudiziaria, non meglio indicato, chiamato a deporre in dibattimenti penali a carico di anarchici”.

A parte il chiaro intento intimidatorio e la conferma che a Lecce stanno provando a fare piazza pulita degli anarchici utilizzando qualunque mezzo ed attaccandosi a qualunque minchiata pur di creare fastidi, questo episodio è solo la conferma che la verità fa male e che, a fare pubblicamente i nomi e cognomi di certa gente, si toccano dei nervi scoperti che fanno sempre male. È quasi banale dire che domenica prossima saremo nuovamente in piazza, a diffondere lo stesso volantino; l’appuntamento è esteso a tutti i solidali.

Domenica 15 maggio, dalle ore 17.30 alle ore 21, via Libertini ang. via Palmieri (di fronte al Duomo), LECCE, presidio e volantinaggio.

Partita doppia

Da una parte, gli anarchici. Una trascurabile minoranza di persone contrarie a tutto, un sogno nel cuore ed un progetto nella testa. Sono trascorsi esattamente due anni da quando la repressione è venuta a bussare alle nostre porte, portandosi via cinque di noi tra carcere e arresti domiciliari e indagando molti altri per associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordine democratico. Solo dopo un anno e dieci mesi gli ultimi compagni vengono scarcerati, mentre il processo di primo grado è tutt’ora in corso. Che il vero terrorista sia lo Stato è cosa risaputa da tempo.

Dall’altra parte, don Cesare Lodeserto. Con esso anche l’arcivescovo di Lecce, Cosmo Francesco Ruppi e l’intera Fondazione “Regina Pacis”. Contro costoro da anni piovono pesanti accuse alternate a riabilitazioni mediatiche, mentre l’intera gestione di quello che era il Centro di Permanenza Temporanea è stata messa sotto accusa e tutta la “caritatevole” opera svolta dalla Fondazione ha subìto una pesante perdita di immagine.

Oggi, l’ennesimo ricorso contro le scarcerazioni degli anarchici effettuato dall’accusa è stato ancora una volta accolto da un Tribunale del Riesame asservitissimo, che ricalca pedissequamente i dettami del P. M. e contraddice le decisioni della Corte d’Assise, che segue il processo e valuta in base agli elementi processuali, contrariamente ai giudici del Riesame che decidono sulle scartoffie degli sbirri e – come appare sempre più chiaramente –, anche in base a direttive che giungono dall’alto. E rivolgono un chiaro invito a chi dovrà esprimere un giudizio sugli anarchici imputati: quello di cambiar rotta. È certamente un caso, ma questa nuova decisione arriva proprio mentre per don Cesare si chiudono le indagini che lo vedono coinvolto nell’ennesimo gioco di prestigio (avrebbe incassato illecitamente seicentomila euro) e alla vigilia di un nuovo processo che lo vede imputato. Casualmente, anche due anni fa gli arresti degli anarchici arrivarono dopo quello del “caritatevole” prelato…

In mezzo a tutto ciò, tanto altro. Un Pubblico Mercenario, Giorgio Lino Bruno, Accusa nel processo agli anarchici, personaggio schizofrenico, misogino ed ignorante, accecato dall’odio profondo nei confronti di chi ama la libertà; forse solo uno squallido personaggio in cerca d’autore (e di un po’ di gloria) per uscire dal grigiore della sua esistenza, oppure pedina di un progetto più ampio.

Poi, altri Pubblici Mercenari e altri Giudici, tutti – sia detto chiaramente – personaggi squallidi quanto Bruno, perché il loro stesso ruolo si accompagna ad un fetido puzzo di galera e a un fastidioso rumore di catene. Accusano don Cesare di aver rubato qua o malmenato là: per quanto ci riguarda non abbiamo bisogno della sentenza di un Tribunale per sapere che un carceriere è colpevole in quanto tale.

A difendere gli anarchici e solidarizzare con loro, solo i compagni, gli amici, alcuni onesti pregiudicati e altri individui non addomesticati. A schierarsi con don Cesare ed i suoi scherani, tutta la stampa leccaculo, politicanti di destra e di sinistra, senatori al flambé ed integralisti cattolici talmente reazionari da fare impallidire qualunque cosiddetto “estremista islamico”.

Eppure… La sensazione è quella che le parti in gioco non siano solo queste, e che la posta sia ben più alta che non quella di far scontare ad alcuni anarchici salentini un bel po’ di anni di carcere. Certo, già così si otterrebbe il non misero risultato di togliere di torno alcuni individui insuscettibili di ravvedimento, fare il vuoto tutto attorno e provare a chiudere definitivamente il discorso anarchici nel Salento. Ma le mire dello Stato non possono solo essere queste, così come qualche infuocato senatore, ad esempio Alfredo Mantovano quando era al Ministero della Repressione, non può avere orchestrato tutto ciò solo per compiacere se stesso e fare un favore ai suoi compagni di merende della Curia leccese, questa associazione a delinquere di stampo cattolico.

Quello che a Lecce si sta provando ad ottenere è un precedente: una condanna per associazione sovversiva che si possa estendere, come sentenza di Cassazione da citare, a qualunque altro processo venga intentato contro gli anarchici in Italia. È questa manovra che va denunciata ed è in questo contesto che va inserito l’accoglimento sistematico del Tribunale del Riesame di Lecce contro ogni scarcerazione dei compagni pronunciata dalla Corte giudicante. Gli anarchici si sono opposti ad un lager a San Foca gestito da potenti, certo, e questo sarebbe già un valido motivo per fargliela pagare; ma è su scala nazionale (e non solo) che gli anarchici danno fastidio, addirittura pensano, quindi bisogna spazzarli via. A tal proposito nel processo salentino si lavora alacremente a qualcosa che per il momento appare solo in nuce; lo scopo è quello di preparare il terreno ad ulteriori manovre repressive di più ampio raggio – probabilmente a carattere nazionale – negli anni a venire. In questo senso sono da interpretare le testimonianze rese in aula da sbirri di ogni zona d’Italia dove ci siano compagni attivi nelle lotte: testimonianze che sono andate oltre il puro e semplice vaneggiamento poliziesco. Non crediamo sia un caso che deposizioni del genere siano state rilasciate in un processo a Lecce, dove l’assenza di precedenti del genere rende più agevole costruire castelli di carta abitati da fantasmi immaginari.

Denunciare pubblicamente le sporche manovre degli apparati repressivi è il primo mezzo per provare a contrastarle. Proseguire nelle nostre lotte di sempre significa non soccombere alla logica dell’intimidazione mafiosa tipica degli organi di Stato. Essere ancora per strada alla ricerca di complici, riconoscendosi sfruttati tra gli sfruttati, è solo la naturale conseguenza.

Alcuni anarchici amanti del flambé