LE NOSTRE LOTTE, LE LORO PRIGIONI

Due incontri pubblici, a Rovereto, palazzo Balista, corso Rosmini, 13

Solo colpendo i nervi scoperti dell’organizzazione sociale, in questo caso il sistema dei flussi del traffico pendolare, solo sviluppando forme di collegamento territoriali direttamente gestite da noi lavoratori e relativi strumenti di comunicazione diretta, solo coordinandoci per aumentare l’impatto della nostra azione e scaricare il costo della lotta sui padroni, potremo dare un’alternativa reale al peggioramento delle nostre condizioni di vita! Facciamo pagare la crisi ai padroni! Sviluppiamo la nostra forza sociale! Pratichiamo l’azione diretta, sabotiamo i piani di ristrutturazione!

(Da un volantino del febbraio 2002)

Con questi intenti, centinaia di lavoratori delle pulizie ferroviarie hanno lottato a più riprese contro i licenziamenti, la drastica riduzione di salario e le condizioni di lavoro, imposti dalla ristrutturazione delle ferrovie. Fra tante difficoltà (ad esempio le divisioni tra "fissi" e precari, questi ultimi spesso immigrati e dunque ancora più ricattabili, l’assenza di forme autonome di collegamento), hanno scioperato, impedito l’impiego di crumiri, bloccato stazioni e strade in più momenti e in diverse città del Nord, del Centro e del Sud. Gli "accordi-bidone" fatti passare dai bonzi sindacali, che prevedono tagli di personale e di salari, hanno fatto capire a questi lavoratori che la precarietà diffusa unisce sempre più le loro condizioni di vita. La protesta ha scavalcato i sindacati, i quali hanno reagito, come al solito, dividendo i lavoratori, falsificando le informazioni e vendendo gli operai più attivi alla polizia politica. 130 lavoratori sono infatti sotto processo per i blocchi della primavera scorsa. Solidarietà attiva con le loro pratiche è stata espressa anche da operai delle ferrovie e da altri lavoratori delle pulizie. La "lotta sporca" continua.

I blocchi realizzati da questi lavoratori si uniscono (come significato, anche se non ancora di fatto) a quelli degli operai della Fiat, e questi alle pratiche dei piqueteros argentini e degli operai coreani. Esprimono in potenza un fatto: l’organizzazione capitalista si può inceppare. Attraverso un uso sovversivo delle sue mille diramazioni, le fabbriche rimangono senza materie prime o "pezzi" da assemblare, i supermercati senza merci, gli uffici senza impiegati... Tutte queste lotte, sempre più forti a livello internazionale, cominciano – in alcune zone apertamente, in altre più timidamente – a mettere in discussione il monopolio statale della violenza, lanciando l’offensiva e organizzando l’autodifesa. È quanto mai significativo che il pubblico ministero (Pomarici) responsabile dell’inchiesta contro i lavoratori delle pulizie sia lo stesso di alcuni processi contro gli oppositori al G8 genovese. Le leggi "antiterrorismo" si applicano a tutte le lotte sociali, dalle fabbriche alle piazze. Il terrore del capitale e dello Stato si manifesta, all’interno, nelle ristrutturazioni brutali, nel controllo poliziesco, nella criminalizzazione di un numero sempre maggiore di comportamenti illegali, nella crescente carcerazione; all’esterno, nella guerra, come nel caso del petrolio irakeno.

Ecco perché non ha senso separare la guerra militare da quella combattuta quotidianamente nei quartieri, nelle piazze e sui luoghi di lavoro. Ecco perché non ha senso separare gli attacchi repressivi contro i dissidenti dalle nuove forme delle lotte operaie e sociali. La guerra di classe non ammette frontiere.

Venerdì 28 febbraio, ore 20.30: PRESENTAZIONE DI LOTTA SPORCA (video e libro sulla lotta dei lavoratori delle pulizie: chi ha partecipato racconta. Si parlerà anche delle lotte operaie e sociali attuali).


Una gabbia resta sempre una gabbia. Una prigione non può essere umana, anche se ne ha l’apparenza.

Jacques Mesrine

Basta solo notare da chi è composta la maggioranza dei detenuti per capire a chi e a cosa serve il carcere. Le galere sono una polveriera che accumula le contraddizioni della società, un sismografo che ne registra i cambiamenti più profondi.

La nuova ondata di carcerazioni nel corso degli anni Novanta è diretta conseguenza dell’inasprimento legislativo e di una maggiore produttività del sistema repressivo, che colpisce sistematicamente i giovani poveri delle metropoli. La stragrande maggioranza dei detenuti – incarcerati per lo più per reati contro la proprietà o per la violazione delle norme sulle droghe – non ha assolto l’obbligo scolastico o è in possesso solo della licenza media-inferiore e quasi i 4/5 di coloro che svolgevano una qualsiasi professione, prima di essere sbattuti in cella, facevano l’operaio. Aggiungiamo a questo tutti gli immigrati senza documenti arrestati per via di leggi fasciste (promulgate dalla destra come dalla sinistra), e apparirà ancora più chiaro come il carcere sia essenzialmente un rapporto sociale, l’ultima ruota, assieme alla guerra, di un modo di vivere sempre più precario e repressivo.

Se i detenuti, come i lavoratori, i disoccupati, gli studenti, hanno tirato a campare per anni, in assenza di lotte collettive e solidali, la situazione sta rapidamente cambiando. In ogni parte del mondo, i poveri rialzano la testa, spinti da condizioni economiche e sociali sempre più disastrose. Anche nelle carceri riaffiorano, ora timidamente, ora con la forza della rivolta, le proteste. Le rivendicazione espresse negli ultimi tempi (riduzione del sovraffollamento, abolizione dell’ergastolo, migliori cure mediche, liberazione dei detenuti gravemente malati, accesso automatico e non premiale ai benefici, abolizione del 41 bis, il cosiddetto "carcere duro", ecc.) testimoniano se non altro il confronto piuttosto ampio tra i detenuti sulla propria condizione. Da destra come da sinistra, dopo tante campagne elettorali in nome della "sicurezza" (quale? Quella di non sapere come si pagherà l’affitto o quanta diossina ci ritroveremo nel piatto?), la risposta sull’indulto o l’amnistia - con buona pace del Papa - è stata: picche. Anzi, il sovraffollamento viene utilizzato come giustificazione per costruire… altre carceri. Di fronte ad una situazione poco gestibile, qualcosa magari lo Stato concederà con una mano, mentre con l’altra sta perfezionando l’esclusione totale per i prigionieri ribelli o linciati mediaticamente (41 bis applicato ai rivoluzionari e agli "islamisti"). Quello che rafforza il carcere per gli uni, peggiore le condizioni detentive di tutti. Ci separano nelle galere come ci separano nelle fabbriche, nei quartieri, nelle piazze.

Che le lotte sociali incontrino quelle carcerarie è l’unica promessa di liberazione – e in molti stanno riscoprendo questa vecchia verità.

«Che il mondo appaia così com’è, dovrebbe bastare a definirne l’infamia. Quando Dante scrisse L’Inferno non ha chiesto che vi si apportassero delle riforme!». L’inferno di donne e uomini chiusi a chiave non si può "umanizzare", ma solo distruggere.

Un saluto solidale a tutti i prigionieri che lottano. Un invito ad amici e famigliari a discutere assieme di carcere e repressione, a portare le proprie esperienze.

Sabato 1 marzo, ore 15.30: ASSEMBLEA PUBBLICA SU CARCERE, ARTICOLO 41 BIS, REPRESSIONE

Con interventi di un avvocato sulle leggi "antiterrorismo" - in particolare sui reati associativi - e sul 41 bis - il cosiddetto "carcere duro" - e di una compagna dell’Associazione amici e parenti dei rivoluzionari prigionieri e di altre realtà attive contro il carcere e la repressione.

Per contatti: Adesso – C.P. 45 – 38068 Rovereto. Ci incontriamo ogni lunedì dalle 21 in poi, in via Bezzi 36, a Rovereto