Le note che seguono vanno lette come un primo piccolo contributo per evidenziare il legame che intercorre fra questi due progetti nocivi. Un legame sottolineato spontaneamente, a Trento e a Rovereto, nel corso delle iniziative in solidarietà con la lotta in Val Susa ed emerso nelle discussioni durante gli stessi presidi valsusini.

Il progetto dell'Alta Velocità in Europa, all'interno del quale si inseriscono sia la linea Torino-Lione (parte del cosiddetto corridoio 5) sia quella del Brennero (parte del cosiddetto corridoio 1), serve alla circolazione sempre più rapida delle merci; sulla tratta italo-francese si parla infatti ormai solo di treni per le merci, benché il progetto sia rimasto quello iniziale, previsto anche per i passeggeri. Ebbene, il nesso fra il trasporto sempre più veloce delle merci e il loro incenerimento è fin troppo chiaro: le merci attuali sono i futuri rifiuti. C'è un solo motivo per cui i prodotti fabbricati in una regione o in un paese fanno il giro dell'Europa (o del mondo) prima di essere usati o consumati in quella regione o in quel paese: il profitto. Ciò che è perfettamente razionale dal punto di vista degli affari (la logistica e i trasporti costituiscono ormai un gigantesco mercato a sé), è semplicemente demente dal punto di vista umano. L’Alta Velocità è l’equipaggiamento tecnologico di questa demenza.

Lo stesso sistema che si arricchisce attraverso la circolazione dissennata delle merci, fa poi dello smaltimento delle merci-rifiuti un altro mercato. Le grandi quantità di plastica per gli imballaggi (indotte e favorite dai lunghi trasporti) alimentano in seguito gli inceneritori, in un ciclo che brucia il petrolio per produrre alla fine diossina.

La menzogna sull'Alta Velocità ferroviaria come alternativa al traffico su gomma (raccontata mentre si costruiscono nuove strade e autostrade con i relativi trafori) raggiunge quella sugli inceneritori come alternativa alle discariche (raccontata da chi sa benissimo che gli impianti di incenerimento hanno bisogno di grandi quantità di plastica da bruciare, alimentandone quindi la produzione).

Tanto il problema dell’inceneritore quanto quello del TAV, insomma, rinviano a una questione di fondo: cosa produrre, come e perché. Chi si oppone al primo, così come chi si oppone al secondo, si trova di fronte sempre lo stesso luogo comune: “Il progresso è necessario e non lo si può fermare”. Ciò che si dà per scontato è che il progresso tecnologico sia anche un progresso sociale, mentre salta agli occhi che lo sviluppo delle tecniche può accompagnarsi con le peggiori regressioni dal punto di vista dei rapporti umani, degli usi, dei costumi, delle mentalità. La logica delle Grandi Opere, ad esempio, al di là del devastante impatto per l’ambiente e per la salute, è risolutamente antisociale, nel senso che allontana sempre di più gli uomini dagli strumenti che usano, i problemi che si pongono dalle soluzioni di cui sono capaci. Un apparato di tecniche è antisociale quando le sue conseguenze sono irreversibili, quando le sue concatenazioni sfuggono a qualsiasi capacità di previsione e di controllo, quando i danni che provoca sono strutturali e non accidentali, quando l’estrema specializzazione dei ruoli rende gli uomini irresponsabili rispetto al proprio agire. Un sistema tecnologico diventa totalitario quando sopprime le condizioni per un confronto ragionato tra le tecniche del passato e quelle del presente, quando impedisce la creatività di base delle comunità umane, quando gli esperimenti che svolge sono già esperimenti sul mondo (nel senso che non permettono di tornare indietro una volta compiuti: ad esempio, il nucleare o le manipolazioni genetiche). Un sistema tecnologico è totalitario, insomma, quando si rende autonomo rispetto alle ragioni per cui è nato, diventando un fine in sé. Le Grandi Opere, con la loro gara al risparmio sui materiali e al gonfiamento dei finanziamenti necessari, con la loro glaciale indifferenza rispetto alle conseguenze sulla vita degli umani e degli animali, con il deserto che creano nello spazio intermedio tra un polo di sviluppo e l’altro, sono un concentrato di questo sistema.

Prendiamo il caso degli inceneritori. La causa sociale della cosiddetta emergenza-rifiuti è il nostro modo di vivere, il quale produce scarti che non sappiamo gestire. La soluzione, quindi, deve essere altrettanto sociale (benché l’inceneritore sia una pessima scelta anche dal punto di vista tecnico). Allo stesso modo, i sostenitori del TAV mentono sulla necessità tecnica dell’Alta Velocità (dal momento che il potenziamento delle linee ferroviarie esistenti e un cambiamento nella logistica, attualmente pensata quasi soltanto per il trasporto su gomma, risolverebbero il problema in modo più economico e sensato); così come mentono sulla crescita dei trasporti nei prossimi anni, dal momento che i loro stessi esperti ci avvisano che l’esaurimento del petrolio nel giro di un decennio presenterà il conto a un sistema ormai incapace, senza “oro nero”, di produrre persino le patate. Ma la questione di fondo è un’altra. Perché dovremmo bere a Trento l’acqua minerale imbottigliata a Berlino, e viceversa? Solo per alimentare il mercato dei trasporti? Che vita è quella che ci porta a comprare l’acqua in bottiglia perché non possiamo bere quella di casa nostra? Lo sviluppo tecnico, sottratto ad ogni considerazione etica e sociale, è pura tracotanza (ciò che i Greci chiamavano hybris e che potremmo rendere con “dismisura”).

Il mondo delle merci vive ormai in una costante fuga in avanti che brucia le risorse, impoverisce i rapporti e corre verso il collasso. Quella delle Grandi Opere è, in tal senso, una logica da cannibalismo economico: l’importante è garantirsi gli appalti e spartirsi i guadagni prima che la festa sia finita. E l’aria, le falde acquifere, le montagne, gli animali? “Perdite collaterali”, come si dice nel gergo militare per i civili uccisi in guerra. Non solo. I decisori economici e politici sanno perfettamente che per le loro opere faraoniche mancheranno persino i finanziamenti – eccoli allora costretti a fare i giochi di prestigio per presentare come privati fondi che sono pubblici. Mettere in discussione questa “dismisura” antisociale non è più soltanto una scelta di libertà e di dignità, ma anche di sopravvivenza.

Penso che uno spazio aperto contro l’inceneritore e contro il TAV – nell’immediato in solidarietà con i valsusini in lotta, in prospettiva contro il progetto TAC per il Brennero – sia un’occasione importante per confrontasi, scambiarsi idee, esperienze, contatti e proposte. Uno spazio mensile, autonomo dalle istituzioni, in cui discutere nel rispetto reciproco. Sono convinto che i problemi diventeranno via via sempre più interessanti, arricchendosi del contributo collettivo. Senza trascurare l’importanza di un’accurata documentazione anche tecnica (in Val Susa l’informazione sui rischi effettivi del TAV ha svolto un ruolo di primo piano), la questione di fondo non è più occultabile: o riusciremo a reinventarci collettivamente un modo di vivere che sappia padroneggiare le proprie basi materiali e tecniche, oppure andremo verso la catastrofe, trascinati da un sistema di cui non controlliamo più niente. Come si vede, si tratta di un problema ecologico e sociale allo stesso tempo, la cui portata si può definire anche così: chi decide e come della nostra vita? La sola definizione di “politica” che può suggerirci delle risposte è quella di cura comune del bene comune. La politica come professione, come apparato, come specialismo da burocrati fa parte della catastrofe.

Le lotte dal basso, con i loro tempi di maturazione, sono l’ambito in cui questa coscienza può emergere e darsi i mezzi di cui ha bisogno. Nessun programma da votare con una crocetta ci salverà. Insomma, come dicono dall’altra parte delle Alpi, “sarà düra”. Ma anche affascinante.

Rovereto, gennaio 2006

Massimo

 
 

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