Nemico interno

Il clima di guerra pervade l’intera vita sociale. La “minaccia terrorista” riempie giornali e televisioni. Sotto l’estivo solleone il Governo serra i ranghi di un fronte interno che non ammette smagliature. Così, dal Nord al Sud Italia, si scatena l’apparato repressivo dello Stato, perquisendo e imprigionando decine di compagni. Alcuni - in Sardegna - incriminati per avere incendiato una sede di Forza Italia; altri - a Genova e Lecce - accusati di essersi “messi in mezzo” durante uno dei quotidiani rastrellamenti di immigrati o per averne appoggiato la rivolta e la fuga da un C.P.T.; altri ancora - a Rovereto - arrestati per aver reagito a un’aggressione fascista avvenuta due anni prima. Ultime, in ordine di tempo, le due indagini - tra Roma e Viterbo una, a Pisa e dintorni l’altra - che hanno portato in carcere o agli arresti domiciliari diversi compagni, per associazione sovversiva con finalità di terrorismo. Alcuni di essi, in carcere, stanno attuando uno sciopero della fame che ha già fatto perdere loro circa 10 kg.

Lo Stato, da sempre, reprime senza indugi chi gli è dichiaratamente nemico, non è certo una novità di cui sorprendersi o scandalizzarsi. Oggi però, l’accanimento poliziesco, accanto a un bombardamento mediatico al limite della paranoia, testimonia una situazione sociale sempre più esplosiva, su cui incombe la minaccia del malcontento e della disperazione, e a cui lo Stato risponde preventivamente attaccando chiunque non si adegui. Le “attenzioni” della Polizia, infatti, non riguardano più esclusivamente i “soliti sovversivi”, ma chiunque si trovi a scontrarsi, anche incidentalmente, con gli imperativi della merce. Dalle manganellate agli operai in sciopero alle precettazioni dei ferrotranvieri, dagli internamenti e deportazioni di immigrati alle denunce contro chi lotta per difendere la propria salute dai veleni industriali, dagli sgomberi di case e campi nomadi al controllo tecnologico e militare di quartieri, paesi, stadi e città, tutto assume, sempre meno metaforicamente, i connotati di un fronte interno di un Paese belligerante.

Un’organizzazione sociale che non sa produrre che catastrofi, epidemie, guerre, paura, precarietà e disperazione, sa anche di doversi difendere dalla rabbia di ritorno. Quando si vuole dare un giro di vite le leggi si trovano, si inventano, o si ignorano, come candidamente dichiarato dal ministro Pisanu rispetto alla repressione degli anarchici. Se mancano le condizioni per inquadrare pratiche di rivolta che sfuggono ai canoni del codice penale, ciò non impedisce di dispensare anni di galera, con buona pace delle anime belle democratiche e garantiste. Spaventare, isolare e fare terra bruciata intorno a chi non si sottomette, magari al fine di convincere qualcuno a “pentirsi”, è diventata la prassi per contrastare una ribellione, in atto o potenziale, che rischia di essere contagiosa.

È allora tempo per tutti i nemici interni di prendere coscienza di sé, di coltivare la collera che questa quotidianità sempre più invivibile genera, per riversarla contro il dominio. Rompere l’isolamento tra le lotte, superare le separazioni, fare della solidarietà un’arma, promuovere l’autonomia e l’azione diretta. È questa l’unica possibile difesa dalla repressione, una difesa che è già una risposta, una risposta che è già un attacco. Chi semina miseria raccoglie collera.

*Alcuni nemici interni***
** Agosto 2004