[Volantino distribuito in occasione delle presentazioni del libro Barbari. L'insorgenza disordinata, fatte in diverse città tra la fine del 2002 e i primi mesi del 2003]

Aspettando i barbari?

Perché prendersi la briga di criticare le tesi di Impero, quando la realtà se ne incarica tanto generosamente? Non di certo perché è un libro di successo, di cui si parla nelle università e in televisione. Non ci interessano i dibattiti di opinioni. Critichiamo le idee di Negri (e Hardt) perché sono una forza pratica, in quanto rappresentano oggi la versione più lucida del programma di sinistra del capitale ed influenzano un movimento - quello "disobbediente" - in grado di sostenere tale programma. La politica "disobbediente", infatti, rappresenta un ottimo terreno di sperimentazione per la democrazia a venire. Vediamo a grandi linee perché.

- Di fronte alla crisi della politica militante vecchio stile, la galassia "disobbediente" (in particolare ex tute bianche e Rifondazione comunista) costituisce, con i suoi slogan così adatti alle classi medie, una forza di mobilitazione. I partiti e i sindacati sono spesso a rimorchio delle sue iniziative. È anche grazie alle sue manifestazioni, ad esempio, che la CGIL ha ritrovato una "verginità antagonista". Presi a bullonate dagli operai durante l'ultimo grosso sciopero generale autorganizzato, i dirigenti sindacali ritornano a far finta di combattere i padroni. Lo stesso vale per gli stalinisti dell'ex-Pci, di cui i proletari rivoltosi degli anni Settanta ricordano l'opera costante di delazione. Nessun partito o sindacato avrebbe raccolto i numeri del Social Forum europeo di Firenze, tanto per fare un esempio.

- La pratica "disobbediente" delle azioni spettacolari e dei rapporti con i mass media permette quello che le vecchie segreterie di partito non hanno mai permesso: diventare leader in qualche settimana.

- Grazie ai capi "disobbedienti" lo Stato ha dato il suo ultimatum: o si dialoga con le istituzioni (di fatto è questo che passa per "non-violenza"), oppure si è terroristi da reprimere. Si leggano, in tal senso, i vari accordi internazionali firmati dopo 1'11 settembre. Persino nella gestione delle piazze, l'ideologia pacifista è per il dominio un formidabile terreno di investimento.

- Grazie al "movimento dei movimenti" si ripropone la logica della socialdemocrazia classica: conquista progressiva di spazi istituzionali, mediazione dei conflitti sociali, repressione di chi vuole rompere con il potere. È quella che Toni Negri - di cui i Casarini sono un modestissimo clone - chiama "dialettica fra movimenti e istituzioni".

- Se a questo si aggiungono le proposte internazionali dei "disobbedíenti" (si legga, ad esempio, Europa politica. Ragioni di una necessità, pubblicato l'anno scorso dalla Manifestolibri e curato, tra gli altri, da Negri) ci si renderà conto di come tutto ciò sia funzionale allo scontro mercantile e politico fra Europa e Stati Uniti. L'Europa sarebbe, per il professore, un «contropotere rispetto all'egemonia capitalistica dell'Impero», una «'macchina da guerra' per l'estensione dei nuovi diritti fondamentali ai soggetti dell'Impero». Difendere l'Europa monetariamente e militarmente unita come luogo per una nuova politica democratica dal basso... questo è troppo anche per la dialettica negriana! Se è questo il mondo "altro", non abbiamo alcun dubbio che sia possibile.

- L'impianto di fondo, infine, è quello del marxismo più volgare e trionfalistico: lo sviluppo delle forze produttive è Lui fattore di progresso che i capitalisti non illuminati, cioè la globalizzazione cattiva, stanno ostacolando. Il "movimento", invece, ha dalla parte sua il carattere cooperativo e sociale dell'attuale economia. Se non ve ne eravate accorti, il comunismo sta vincendo.

Ma criticare tutto questo ha senso solo se si approfondisce il proprio progetto sovversivo. Parlare di questi pacificatori sociali significa parlare di violenza e non-violenza, di rivolta e di collaborazionismo, di solidarietà e di dissociazione, di anticapitalismo e della sua controfigura, di azione diretta e di mass media. Mentre gli attacchi padronali si fanno ogni giorno più pesanti, con condizioni di vita che lo Stato può imporre solo attraverso il terrore (all'esterno come all'interno), mentre i fascisti sono giusto un passo più avanti degli sbirri, diventa sempre più urgente farla finita con ogni ipotesi legalitaria e istituzionale. Anche dopo Genova, invece, in troppi hanno mantenuto - in nome di necessità tattiche, dettate da "emergenze" sempre rinnovabili - rapporti di opportunismo con i delatori e pompieri in tuta bianca. Come la morsa giudiziaria e poliziesca ha dimostrato anche di recente, rinunciare oggi all'intransigenza rivoluzionaria non garantisce affatto dagli attacchi repressivi di domani. La posta in gioco è alta, e i padroni lo sanno. Lo Stato e il capitale vogliono sempre di più e sono disposti a concedere sempre meno. Ma, come qualcuno scrisse in altra e più felice epoca: «I padroni non possono forse pagare di più, ma possono scomparire».

Mentre avanza la barbarie capitalista, un'altra barbarie, dal linguaggio sovente incomprensibile, si fa strada - quella che sputa nel piatto della democrazia e vuole mettere al sacco lo Stato, il denaro, le carceri e tutte le gerarchie.

Pensiamo che sia importante confrontarsi su questi temi, anche a rischio di turbare il sonno dei civilizzati.

[Nota a cura degli autori per: Crisso and Odoteo, Barbarians. The disordered insurgence (Venomous Butterfly Publications, 2003), edizione americana di Barbari. L'insorgenza disordinata (Edizioni NN, 2002)]

Toni Negri: una nota biografica

Antonio Negri nasce il 1 agosto 1933 a Padova, capitale culturale di quella regione Veneto tradizionalmente bottegaia e bigotta. Fervente credente, il giovane Toni Negri scopre la miltanza quando entra a far parte dell’organizzazione giovanile religiosa “Azione cattolica”. Gli anni ‘50 in Italia sono gli anni del rilancio economico del paese, prodigioso fenomeno capitalistico che resterà per sempre negli occhi e nel cuore di Negri il quale, dopo aver sostituito Dio con Marx, inizia a frequentare gli ambienti della Nuova Sinistra. Negli anni ‘60 Toni Negri partecipa attivamente all’elaborazione dell’operaismo, come redattore di “Quaderni rossi” prima e di “Classe operaia” poi. Che cos’è l’operaismo? E’ l’ideologia secondo cui la fabbrica è il centro di tutta la lotta di classe e gli operai sono gli unici artefici della rivoluzione perché, con le loro lotte, spingono il capitale a svilupparsi in senso liberatorio. Gli operaisti prendono sì di mira partiti e sindacati ma questi ultimi, più che criticati, vengono rimproverati di non svolgere effettivamente ciò che si suppone sia loro dovere. Quanto a tutte le forme di lotta che esulano dall’ambito della fabbrica, vengono o condannate o snobbate. Inutile dire che nessuno dei vari intellettuali che hanno dato vita all’operaismo, perlopiù fuoriusciti dal Partito Socialista e Comunista, ha mai lavorato un solo giorno in fabbrica. Negri, ad esempio, preferiva di gran lunga insegnare “Dottrina dello Stato” all’università di Padova e lasciare il dubbio piacere della catena di montaggio ai proletari. Quanto alla strategia operaista, al di là di una fraseologia a volte estremista, essa consisteva nel volere “rimettere in moto un meccanismo positivo di sviluppo capitalistico” dentro il quale “fare giocare la richiesta di un più pesante potere operaio” attraverso “l’uso rivoluzionario del riformismo”.

Nel 1969 Negri è uno dei fondatori di “Potere Operaio”, organizzazione che unisce alla solita apologia dell’esistente (“l’intera storia del capitale, l’intera storia della società capitalistica è in realtà storia operaia”) una dichiarata mira egemonica sul resto del movimento, che si concretizza nella condanna dello “spontaneismo” in nome di una più efficiente centralizzazione delle lotte (“assicurare nei fatti l’egemonia della lotta operaia sulla lotta studentesca e proletaria... per pianificare, guidare, dirigere le lotte operaie di massa”). “Potere Operaio” si scioglie nel 1973 senza essere riuscito a centralizzare e dirigere alcunché e dalle sue ceneri nasce l’area politica denominata ”Autonomia Operaia”, anch’essa assillata dai fantasmi leninisti della conquista del potere. Siamo agli inizi degli anni ‘70, quando il movimento rivoluzionario nel suo insieme inizia a porsi il problema della violenza. Nei suoi libri Toni Negri esalta la figura dell’ “operaio criminale”, giustifica il ricorso al sabotaggio ed alla lotta armata, ma sempre all’interno di una visione marxista-leninista dello scontro sociale. In Negri è sempre presente una incondizionata accettazione e giustificazione del capitalismo giacché, come scriverà in un suo libro apparso nel 1977, “il comunismo viene imposto prima di tutto dal capitale come condizione della produzione... Solo la costruzione del capitalismo può darci condizioni veramente rivoluzionarie”, una identificazione che a suo dire bisogna portare fino alle estreme conseguenze: “la forma capitalistica più avanzata, la forma della fabbrica, va assunta all’interno della stessa organizzazione operaia”. Ma, sebbene la sua produzione teorica sia piuttosto proficua, non si può dire che ad essa corrisponda una pari influenza pratica. Le migliaia di rivoluzionari che partecipavano all’assalto armato contro lo Stato, assalto che raggiungerà il suo culmine nel biennio 1977-78, non sapevano cosa farsene delle disquisizioni filosofiche del professore di Padova.

A prenderlo sul serio invece è un magistrato della sua città, Guido Calogero, secondo cui Negri sarebbe stato allora il vero capo delle Brigate Rosse. Ipotesi palesamente assurda ma che comunque bene si adattava alle esigenze dello Stato: portare alla ribalta una parte del movimento, quella più in evidenza, al fine di fare passare sotto silenzio il movimento nel suo insieme. Nell’ambito delle azioni ciò era già accaduto con le Brigate Rosse, le cui gesta sollevarono un clamore mediatico tale da coprire le migliaia di piccole azioni di attacco compiute in quegli anni. Nel campo delle idee perché non ripetere la medesima operazione, utilizzando il nome altisonante del professore di Padova? E soprattutto, perché non collegare i due aspetti? Così l’odissea giudiziaria di Toni Negri inizia il 7 aprile del 1979, quando viene arrestato assieme a decine di altri militanti nel corso di una retata contro gli ambienti dell’Autonomia Operaia. L’accusa è di associazione sovversiva e banda armata, ma nel giro di pochi mesi le incriminazioni contro Negri si moltiplicano, fino a comprendere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato, il sequestro e l’omicidio del leader democristiano Aldo Moro ed altri 17 omicidi (accuse da cui verrà assolto nel corso degli anni successivi). E’ questo il periodo in cui le “confessioni” dei pentiti e le leggi speciali volute dal ministro dell’Interno Cossiga riempiono le carceri italiane di migliaia di militanti, scatenando forti tensioni sociali. Nel dicembre del 1980 scoppia una rivolta nel carcere di Trani, dove Negri si trova detenuto. Vittima dell’immagine mediatica di “cattivo maestro”, Negri viene incriminato con l’accusa di esserne stato uno degli istigatori (cinque anni dopo, a conclusione del processo, verrà assolto). In realtà Negri, oltre a continuare a scrivere libri, è molto più interessato al consolidamento dello Stato che alla sua sovversione. Nei suoi scritti inizia a formulare l’aberrante ipotesi della dissociazione. Privo di ogni dignità, abituato al peggior opportunismo, Negri suggerisce allo Stato di concedere benefici giudiziari a quei detenuti politici che pubblicamente ripudieranno l’uso della violenza e che dichiareranno oggettivamente conclusa la guerra contro lo Stato. Inutile dire che nei confronti di quei prigionieri che non rinnegheranno le loro scelte lo Stato sarà giustificato ad usare il pugno di ferro. L’idea di Negri comincia a diffondersi nelle carceri, il miraggio lontano di una libertà ottenuta con l’abiura trova i suoi mendicanti. Nel 1982 viene diffuso un documento firmato da 51 detenuti politici in cui si dichiara finita l’epoca della rivolta armata contro lo Stato, il primo di una lunga serie. Nel febbraio del 1983 inizia il processo contro Negri e gli altri imputati arrestati durante la retata del 7 aprile ‘79. Approfittando del clamore del processo, il Partito Radicale - che rappresenta quei borghesi “sinceramente democratici” cantori della non violenza e del pacifismo - propone a Negri di candidarsi nelle proprie liste per le imminenti elezioni. In caso di elezione, ci sarebbe per lui la libertà dovuta all’immunità parlamentare. I radicali esigono però che Negri, nel caso in cui il Parlamento gli tolga l’immunità, resti comunque in Italia e continui a combattere dal carcere la battaglia per la sua liberazione. Negri accetta la candidatura e promette ai Radicali che in nessun caso fuggirà all’estero. Eletto alla camera dei deputati il 26 giugno, Negri esce dal carcere l’8 luglio del 1983. La sua liberazione scatena la reazione delle forze politiche conservatrici che lavorano tutta l’estate pur di fissare al 20 settembre il voto sull’abolizione dell’immunità parlamentare a Toni Negri. Alla vigilia del voto, il 19 settembre, Negri si rifugia in Francia. Il giorno dopo il Parlamento, con 300 voti contro 293, gli toglierà l’immunità. Il 26 settembre il processo “7 aprile” si conclude con la condanna di Negri.

In Francia non si può dire che Negri abbia conosciuto a lungo la dura vita dell’esiliato. Docente universitario di fama internazionale, già dal novembre del 1983 viene nominato membro straniero del consiglio del Collegio Internazionale di Filosofia. Dal 1984 al 1997, mentre in Italia lo Stato accoglie il suo suggerimento e vara una legge che premia la dissociazione, Toni Negri insegna all’Université de Paris-VIII e all’Ecole normale supérieure de la rue d’Ulm. Inoltre effettua ricerche sociologiche per conto di alcuni Ministeri ed altre istituzioni governative francesi. Durante questo periodo Negri pubblica diversi libri e scopre la propria affinità con gli intellettuali post-strutturalisti francesi, di cui condivide ad esempio la negazione dell’autonomia individuale. Fra i suoi interventi di questi anni, ricordiamo la sua adesione alla richiesta di un’amnistia che decreti la fine delle lotte degli anni ‘70, la sua simpatia per il nuovo partito della Lega (partito razzista, difensore degli interessi dei piccoli e medi imprenditori, nato non a caso in Veneto), la sua pubblica riconciliazione con l’ex ministro degli Interni Cossiga, principale responsabile della repressione del movimento alla fine degli anni ‘70.

L'1 luglio 1997 Toni Negri rientra volontariamente in Italia e viene rinchiuso nel carcere romano di Rebibbia, dove deve finire di scontare le condanne a suo carico (notevolmente ridotte per effetto di due condoni generali concessi nel 1986 e nel 1988). Nel luglio 1998 Negri ottiene il lavoro esterno presso una cooperativa di volontariato legata alla Caritas, nell’agosto del 1999 ottiene la semilibertà (esce dal carcere al mattino per farvi ritorno alla sera). Nel 2000 Negri torna alla ribalta con la pubblicazione del libro Impero, scritto in collaborazione con Michael Hardt, che riscuote enorme successo. In Italia, dove il suo nome risveglia brutti ricordi ed è per questo vittima dell’ostracismo di una industria editoriale assoggettata al potere politico più conservatore, il suo libro verrà pubblicato solo nel 2002. Toni Negri è oggi il punto di riferimento teorico del movimento dei Disobbedienti (ex Tute Bianche), il cui linguaggio a volte estremista non ha tuttavia impedito loro di entrare a fare parte a pieno titolo della sinistra istituzionale.

 
 

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