Né clandestini né regolari, né comunitari né extracomunitari

Solidarietà tra tutti gli sfruttati, contro la precarietà e la repressione

MANIFESTAZIONE

sabato 21 dicembre 2002

a Treviso

Partenza: stazione FS ore 15,30

Nessuno senza casa

Opponiamoci a tutte le espulsioni

Chiudiamo i lager per clandestini

Aboliamo la schiavitù dei permessi di soggiorno legati al lavoro

ESPELLIAMO IL CAPITALE

QUI E OVUNQUE UN'ALTRA LOTTA È NECESSARIA


Volantino distribuito in occasione della manifestazione:


SOLIDARIETA' TRA TUTTI GLI SFRUTTATI

Passato l’undici novembre [entrata in vigore della legge Bossi-Fini], la condizione degli immigrati, braccati dalle retate della polizia, sottoposti al pressante ricatto di avere un lavoro "altrimenti si va a casa", rinchiusi nei lager di accoglienza in attesa di espulsione, non è per nulla cambiata rispetto a prima. La situazione che si presenta, qui nel nordest come nel resto d’Italia, sta sempre più chiarendo quali sono le vere intenzioni dei farabutti al governo, stretti compari dei loro amici sinistri.

Ricordiamoci, per esempio, che la tanto contestata legge Bossi-Fini, che riconosce l’immigrato solo come semplice strumento di lavoro è soltanto una "miglioria" della precedente Turco-Napolitano.

È chiaro, dunque, come le leggi, a prescindere dal colore del governo che le concepisce, hanno il solo scopo di favorire il flusso dei capitali.

L’abolizione dell’art. 18 dello statuto dei lavoratori, come i contratti interinali cosiddetti atipici, o la sopraccitata legge Bossi-Fini sono strumenti che producono la precarietà che coinvolge sia gli italiani sia gli immigrati.

È caduta la misera garanzia dello stato sociale, atto solo a placare il diffondersi del malcontento; cade la sicurezza del posto di lavoro fisso, scaraventando migliaia di lavoratori, fino ad oggi sfruttati sempre dallo stesso padrone, in balia del mercato flessibile bisognoso solo di lavoratori ubbidienti e sempre pronti a rincorrere nuovi impieghi. Cade infine la pagliacciata dell'umanitarismo che camuffa lo sfruttamento con la menzogna dell'integrazione in una società multietnica e tollerante (si veda Benetton...).

Finalmente anche l’illusione di poter migliorare le cose affidandosi ad associazioni umanitarie, partiti o rappresentanti di ogni specie sta rovinosamente crollando.

Basti ricordare l’esempio di Treviso dove la questione degli alloggi per gli immigrati vede ogni volta coinvolte le varie banche (Cassamarca), le associazioni di industriali (Unindustria), i gruppi religiosi (Diocesi, Caritas) e laici (Fratelli d’Italia) ecc. che, attenti ai loro immediati interessi politici o economici, non fanno altro che proporre soluzioni derisorie per i diretti interessati.

Rimane invece la necessità, per tutti gli sfruttati, di ribaltare questa umiliante situazione e di imporre finalmente dei rapporti di forza che rompano le catene che ci legano ai piedi di biechi sfruttatori, siano essi politici, industriali o simili.

Occupando case, scioperando e lottando direttamente per ciò di cui si ha bisogno, si può far emergere, come già sta accadendo in moltissimi luoghi, delle forme di lotta auto-organizzate che scardinino i meccanismi di delega e vedano gli sfruttati come partecipanti diretti.

La nostra forza sta infatti nella capacità di contrastare direttamente quelle condizioni e quelle strutture che ci opprimono e di bloccare quei meccanismi produttivi strategici a cui siamo indispensabili.


È necessario oggi assumere in proprio la lotta e contrattaccare all’offensiva del dominio.

Per questo invitiamo a fomentare e sostenere le lotte autogestite che, qui e là, si accendono: per l’occupazione delle case, contro gli sfratti, contro la nuova schiavitù del lavoro interinale, contro la repressione e le espulsioni, contro ogni tipo di prigione o lager di accoglienza.


Nella lotta gli sfruttati non hanno che le loro catene da perdere, e un mondo da guadagnare.


Internazionale precaria

immigratiseccati@libero.it


La precarizzazione generale delle condizioni di vita costituisce la necessità imperativa del moderno sfruttamento capitalista. Di fronte alla sua esigenza di estrarre profitti sempre più esigui in mercati sempre più ristretti, il capitale ha bisogno di una manodopera attiva sempre più sottomessa e disciplinata ai suoi tempi e di un esercito di riserva messo in condizioni tali da risultare sempre disponibile e docile al suo comando, per poter scaricare sugli sfruttati il peso delle fluttuazioni economiche dei mercati. La flessibilizzazione della forza lavoro altro non è che il suo addomesticamento alle necessità del capitale.

Contratti di lavoro atipici, contratti di formazione lavoro, di apprendistato, lavoro interinale o in appalto tramite cooperative, gli attacchi alle tutele minime offerte dallo Statuto dei lavoratori - tra questi all'art. 18, contro i licenziamenti senza giusta causa, che ha lo scopo di sopprimere la differenza tra lavoro a tempo indeterminato e quello a tempo determinato - e, per finire, il ricorso massiccio, soprattutto in Veneto e al Sud, al lavoro "in nero", sono gli strumenti giuridici che rispondono alle esigenze di flessibilità del capitale e inducono questa precarietà.

La manodopera immigrata rappresenta l'apice di tale precarizzazione - altro che poetici migranti! - ed il modello a cui conformare, nel prossimo futuro, tutta la classe degli sfruttati, senza distinzioni. La legge Bossi-Fini ha sancito giuridicamente l'esistenza degli immigrati solo in quanto lavoratori da sfruttare a basso costo e a basso conflitto sociale. Il vincolo posto tra contratto di lavoro e permesso di soggiorno costituisce la migliore garanzia della sottomissione dell'immigrato al padrone: la perdita del lavoro comporta, infatti, la perdita del permesso e spalanca le porte dell'espulsione - previa permanenza nei lager detti di accoglienza - o della clandestinità.

La legge Bossi-Fini, per la sua ambigua formulazione e per gli ampi margini di discrezionalità che concede alle forze di polizia, ha in realtà molteplici risvolti: ha la funzione di racimolare denaro con le domande di regolarizzazione (800 euro per immigrato); ha il compito di operare una gigantesca schedatura degli immigrati; ha l'effetto di favorire lo sviluppo delle agenzie di lavoro interinale e di un mercato nero dei permessi di soggiorno, in mano a cooperative, agenzie e imprenditori italiani; ha lo scopo di scoraggiare ogni tentativo di protesta da parte degli immigrati mediante un asfissiante controllo poliziesco che si traduce in una palese intimidazione a rigare dritto, cioè a obbedire. Il risultato è, in ogni caso, l'aggravarsi della precarietà e della ricattabilità degli immigrati. Proprio per questo, inoltre, è in programma la costruzione di altri CPT (Centri di permanenza temporanea), oltre ai 13 già istituiti nel 1998, con il governo di centrosinistra, dalla legge Turco-Napolitano.

A ciò si aggiunga l'indisponibilità di alloggi pubblici o privati per gli immigrati che li costringe ad abitare edifici abbandonati sotto la continua minaccia poliziesca dello sgombero e delle denunce, o a sottostare all'estorsione di esosi affitti in umilianti dormitori gestiti da associazioni umanitarie, laiche e religiose, che, in combutta con le amministrazioni locali (istituzioni politiche), di destra e di sinistra, speculano sulle loro spalle.

Nonostante, infatti, l'ingente numero di appartamenti privati e case popolari sfitte si preferisce mantenere questa forza lavoro usa e getta in condizioni di vita precarie. Si assiste così, nel trevigiano nella fattispecie, a balletti di competenze, per nulla imbarazzati, tra istituzioni politiche (Comuni, Regione), associazioni di industriali (Unindustria), banche e fondazioni (Cassamarca), associazioni umanitarie (Fratelli d'Italia, Caritas) ed enti religiosi (come la Curia) su chi debba risolvere questa situazione.
In realtà tutti questi soggetti stanno aspettando il momento opportuno per poter approfittare anche in Italia di un processo generale, in atto da tempo in tutta l'Unione europea, di privatizzazione del patrimonio pubblico immobiliare e acquistare a basso costo case da rivendere o affittare ad alto prezzo. Il padronato, in particolare, non attende altro che poter affittare case ai propri lavoratori, legando contratto d'affitto e contratto di lavoro, e reintroducendo, con la duplice minaccia del licenziamento e dello sfratto, una sorta di servaggio nel rapporto di lavoro. Questo è quanto ha già realizzato la Zanussi, ad esempio, costruendo un quartiere di case per i suoi dipendenti immigrati, a ridosso dei suoi stabilimenti, e creando di fatto un ghetto a suo uso e consumo.

Anche questo processo dimostra il destino comune di tutti i proletari, immigrati e italiani. Questi ultimi vengono infatti sfrattati e scacciati, con la forza o con l'aumento degli affitti, dai centri storici delle città per essere progressivamente respinti e controllati nelle periferie o in nuove aree più comode per chi li sfrutta.

  • Opporsi con ogni mezzo a tutte le espulsioni, ai lager di accoglienza per immigrati, a tutti gli sgomberi e sfratti, al controllo e alla repressione poliziesca.

  • Sostenere tutte le forme dirette e autogestite di resistenza, le occupazioni che non scendano a patti con istituzioni, padroni o polizia.

  • allontanare quanti pensano di trarre profitto, economico o politico, sulla pelle degli sfruttati, imbrigliando le loro lotte con fumose promesse, come hanno fatto le tante prese di posizione di vescovi, preti, sindacalisti, intellettuali, magistrati, operatori dei servizi per migranti e associazioni varie che con questi soggetti vanno a braccetto.

  • i CPT non vanno colorati ma abbattuti.

[Testi diffusi sul forum di Indymedia]


A proposito della manifestazione di Treviso del 21 dicembre 2002

Considerata la ridda di interventi e insulsaggini - probabilmente dovute al buon esito dell’iniziativa - scritte a proposito di tale manifestazione ci sembra il caso, in qualità di organizzatori, di chiarire alcune cose.

Sabato 21 dicembre 2002 un corteo di circa duecento persone ha attraversato il centro della città di Treviso per manifestare - a fianco degli immigrati che da sei mesi occupano l’ex seminario di Casier di Treviso - la solidarietà tra tutti gli sfruttati. Realtà differenti provenienti da varie parti d’Italia, aderendo al testo/invito prodotto dall’assemblea degli occupanti di Casier, hanno sfilato insieme in una delle città più opulente e razziste del Veneto uniti da un minimo comune denominatore: lo schieramento rivoluzionario nella lotta di classe.

In nome della solidarietà tra tutti gli sfruttati, il corteo si è espresso a sostegno delle lotte degli immigrati e di tutti i proletari; per la casa, contro gli sfratti e gli sgomberi, contro la precarizzazione e la schiavitù del legame posto dalla legge Bossi-Fini tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, contro i Centri di Permanenza Temporanea (istituiti nel ’98 dal governo di Centro-Sinistra) e tutte le forme di prigione, contro le espulsioni, la repressione e la criminalizzazione delle lotte operate con il ricorso ai reati associativi e al "carcere duro" (legge 41 bis approvata da poco anche coi voti del Centro-Sinistra).

Gli immigrati sono scesi in piazza a ribadire che solo l’autorganizzazione della lotta e il conseguente rifiuto di tutte le rappresentanze e di tutti i leader, da quelli in cachemire rosso a quelli in tutù bianco, spazzano il campo dall’assistenzialismo, dalle speculazioni economiche e dalle strumentalizzazioni politiche di partiti, associazioni umanitarie o gruppi vari che vogliono mettere il loro cappello ideologico. Gli immigrati di Casier hanno appreso sulla loro pelle che solo la lotta autonoma, per la casa e contro la repressione politica e poliziesca, consente loro di ottenere qualche cosa con dignità e senza compromessi. E la conseguenza è che il numero degli occupanti, da luglio, è più che raddoppiato e che molti sono gli immigrati senza casa che abbandonano altre occupazioni a Treviso per venire a Casier.

Al corteo si sono aggiunte mano a mano numerose persone, soprattutto immigrati che hanno potuto far sentire la loro voce direttamente dal microfono. Sono intervenuti anche alcuni studenti medi trevigiani nonostante le infamie sparse dal Professor Lello Voce, insegnante di lettere del Liceo Artistico di Treviso, appartenente ai disubbidienti trevigiani (Collettivo "M21"), che avrebbe cercato di scoraggiare la loro presenza dichiarando la nostra contiguità con Forza Nuova (si veda la nostra replica, Provocatori e professori, al commento di un anonimo disubbidiente al nostro testo/invito sulle pagine di Indymedia). [Vedi sotto, Ndc]

La manifestazione ha inoltre ribadito, con l’estromissione dei giornalisti dal corteo, che il proletariato non ha bisogno di rappresentanze mediatiche e spettacolari, quinta colonna del controllo poliziesco. La sua comunicazione è quella che esso stesso si dà autonomamente nei luoghi della vita quotidiana, rifiutando i codici del linguaggio della classe dominante. Morale: non ci interessa fare le vedette sui giornali o in TV, e consideriamo un nemico chi lo fa.

La solidarietà è nella lotta, senza mediazioni, senza assistenzialismi.

"Nessun miglioramento quantitativo della sua miseria, nessuna illusione di integrazione gerarchica sono un rimedio durevole per la sua insoddisfazione, perché il proletariato non può riconoscersi veracemente in un torto particolare che avrebbe subito, né dunque nella riparazione di un torto particolare, né di un gran numero di questi torti, ma solamente nel torto assoluto di essere gettato ai margini della vita".

Diximus et salvavimus animas nostras.

Immigrati seccati

Internazionale Precaria

PROVOCATORI E PROFESSORI

Caro anonimo disubbidiente (visto che tanto anonimo non sei),

non ci avremmo nemmeno pensato a replicare al tuo commento, stante la sua pochezza, se non ci fosse giunta voce di un tal Professor Lello che, nel Liceo artistico di Treviso, va arringando i suoi alunni sull’opportunità di non scendere in piazza, sabato 21 dicembre a Treviso, a manifestare, accanto agli immigrati, contro lo sfruttamento, la repressione e le espulsioni, per la solidarietà di classe.

Un giovane ma accorto studente di un istituto superiore, di quelli, ormai pochi, che hanno l’orgoglio di poter ancora fare a meno dei portavoce dei movimenti di turno, e pensare e dire la propria in ogni momento, ebbene questo studente, nel senso latino di chi ama la conoscenza, ci avvisa che codesto Lello, con pratica democristiana, ben collaudata nella storia della sua città, dall’alto del suo carisma di insegnante "alternativo" insinua tra i suoi alunni malanimo nei nostri confronti.

Ora, ci immaginiamo che tra te, anonimo estensore della "stentata filippica" - questo il lapidario giudizio dello stesso suddetto studente nei confronti del tuo sudato e ponderato commento al nostro testo - e il poverello Lello, non debba correre molta distanza, né geografica né, tantomeno, ideologica. Per comodità vi considereremo come la stessa persona, nella speranza che, di due teste, giungiate a fare almeno mezzo cervello.

Esimio Professorello - perdonaci se non ti accordiamo la qualifica di Professore, ma ci sembrava, così facendo, di non arrecare un torto al più dissociato e noto, e tuttavia non conosciuto, Professor Antonio Negri da Padova - ci si accusa di essere dei provocatori! Eppure, chi così scrive esordisce esattamente da provocatore, palesando peraltro, nella terminologia, assai poca fantasia, ovvero una totale omologazione, nella misura in cui prende a prestito, dai suoi sublimi portavoce, le esatte parole di una loro lettera pubblicata su questo stesso network [Indymedia, Ndc] qualche giorno dopo: pensiamo si riferisca allo spiacevole episodio del 6 dicembre a Padova, quando i disubbidienti, ubbidienti al principio della proprietà privata degli spazi, hanno impedito al CPO Gramigna di stendere uno striscione in piazza contro la repressione poliziesca. Quel giorno non ci è andata male, come sostiene il nostro anonimo commentatore, semplicemente perché non c’eravamo: è andata male alla lotta contro la repressione, d’altra parte è andata bene al processo di chiarificazione delle forze in campo nello scontro di classe. Allo stesso modo è andata a Torino il sabato successivo, nella manifestazione che si proponeva, in qualità di estremo gesto di disubbidienza, di colorare i CPT.

Tralasciamo le righe successive "Lanciate manifestazioni contro chi fa cose nel territorio, e poi se piove neanche ci andate" sul cui significato e sulla cui logica rimandiamo a numerosi testi relativi all’effetto di un abuso prolungato di qualsivoglia sostanza su menti deboli. Non siamo proibizionisti, né tantomeno distinguiamo tra "pesanti e leggere", però constatiamo che anche la marmellata di prugne alla lunga, anche sui soggetti più riottosi, induce prodigiosi effetti.

Più interessante invece ci sembra l’ultima parte, se non altro perché, più che un’accusa ci sembra una dichiarazione di ciò che fanno peculiarmente i disubbidienti. Non è un caso che il loro inizio storico corrisponda con l’appropriazione strumentale del nome di un compagno: quel Pedro, che da il nome ad un centro sociale patavino, assassinato a Trieste dalla DIGOS non era esattamente un loro compagno, non più di quanto lo fosse Carlo Giuliani sul cui cadavere ora, da bravi avvoltoi, si sono gettati. Ma gli esempi di strumentalizzazione non finiscono certo qui… Vogliamo ricordare chi si è candidato alle varie amministrative, adoperando nei loro spot elettorali l’immagine e le sofferenze di tanti sfruttati e immigrati che in buona fede li hanno incrociati? I vari Casarini a Padova, Farina a Milano, Zulian a Treviso etc. Ma si potrebbe scrivere un libro sulle loro porcherie e chissà che, un giorno, non lo si faccia davvero.

Quanto alle nostre occupazioni contro tutto e tutti vige il principio dell’autogestione, ovvero si decide insieme. Le denunce - argomento che sembra turbare i sonni del nostro anonimello - fino ad ora le hanno prese solo gli italiani. Agli immigrati che chiedevano casa non abbiamo fatto promesse, se non quella di una solidarietà in una lotta comune, anche perché non avevamo e non abbiamo niente di politico o di economico da guadagnare o da far guadagnare. Non abbiamo e non vogliamo avere finanziamenti istituzionali o appoggi privati, né tantomeno scendiamo a patti con la polizia. Su ciò lasciamo campo libero ai disubbidienti: tutto questo è loro proprietà. E noi la consideriamo un’infamia, ai danni del proletariato tutto.

Caro anonimello, vogliamo svelarti una cosa: ce l’hai nel culo.

Ma vogliamo anche darti un consiglio: non agitarti, faresti il nostro gioco.

Per gli immigrati seccati e l’internazionale precaria

Aléx Khayyam

 
 

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