La popolazione Mapuche ("Gente della terra") in Argentina conta circa 100.000 membri localizzati soprattutto nelle province patagoniche di Neuquèn, Chubut, Rio Negro. Prima che venisse conquistato, il territorio Mapuche ("Wall Mapu") si estendeva da entrambe i lati della Cordigliera delle Ande, ma con la costituzione degli stati del Cile e dell’Argentina, iniziarono le campagne di sottomissione della comunità.

In Argentina la colonizzazione comincia circa un secolo e mezzo fa a causa di Garcia, Rosas e Dorrego con la relativa politica dell’integrazionismo, e del generale Roca con il suo "piano di colonizzazione indigena" e la "campagne nel deserto". Questa colonizzazione ed invasione, a opera quindi dell’esercito nazionale argentino, tesa a guadagnare ampie estensioni di territorio per poter impiantare attività agricole e di allevamento meccanizzate allo scopo di servire il mercato agroallevatore esterno, ebbe come conseguenze l’INCORPORAZIONE definitiva del territorio Mapuche alla sovranità dello stato argentino e l’ASSOGGETTAMENTO di questi alle autorità dello stesso. L’oppressione si realizzò attraverso la privazione della terra, trasferimenti forzati, eliminazione fisica dei membri della comunità ma soprattutto attraverso la sottile POLITICA DELL’INTEGRAZIONE che, allo scopo di uniformare e annullare le diversità, impose nuove forme di vita, nuovi valori, sistemi e lingue (lo spagnolo). Attraverso questa invasione militare venne imposto un nuovo ordine: un ordine in cui l’uomo è il centro, e la natura, al suo servizio, è qualcosa che egli può dominare e quindi trasformare in oggetto di lucro. Questo ordine sancisce l’esistenza di esseri superiori ed inferiori, di gerarchie che la comunità mapuche non ha mai, in tutta la sua storia, percepito e condiviso.

"C’e chi crede che la terra gli appartenga…noi sappiamo di appartenere alla terra"

Questa invasione soprattutto ideologica continua e, anche se non si è ancora arrivati alla sparizione fisica dei Mapuche, nell’attuale sistema è di sicuro possibile. Lo scopo dello stato argentino è infatti quello di disintegrare l’ordine proprio dei popoli originari.

Lo stato, non volendo riconoscere l’esistenza della Nazione Originaria Mapuche, e il suo diritto al territorio, afferma invece l’esistenza di un solo popolo chiamato argentino; questo però non è altro che un artificio giuridico risultato di un insieme di idee frutto di un'altra cultura: cultura le cui leggi permettono il furto e lo sfruttamento delle risorse naturali del "Wall Mapu". Tutto ciò fornisce allo stato il potere di assegnare concessioni minerarie, energetiche (gas e petrolio) e forestali all’interno del territorio mapuche; poteri che la comunità non ha mai assegnato a nessuno.

La biodiversità minacciata dalle compagnie petrolifere

La più recente aggressione al territorio Mapuche è cominciata dal momento in cui la REPSOL-YPF (REPSOL è la compagnia petrolifera spagnola che ha acquistato l’YPF – Yacimentos Petroliferos Fiscales) ha messo piede nel Wall Mapu.

I metalli pesanti, frutto dell’estrazione del petrolio (tra cui cadmio, arsenico, piombo e mercurio), sono fra i componenti più tossici: oltre ad avere effetti diretti sulle persone, a causa della loro capacità di accumularsi biologicamente negli esseri viventi (irritazione della pelle, cancro, difetti congeniti e di sviluppo cellulare, danno al sistema nervoso, al midollo osseo, anemia e leucemia, allergie, asma, problemi allo stomaco) danneggiano i cicli alimentari negli ecosistemi.

In particolare, in relazione al piombo e al mercurio, nel 1996, il ministero di salute pubblica della provincia di Neuquèn ha fatto fare analisi del sangue e delle urine su un campione di popolazione nelle comunità di Paynemil e Kaxipain, per controllare il livello di contaminazione da metalli pesanti nei loro organismi: i valori interessati erano doppi rispetto a quelli considerati normali. Questo già era evidente per i membri della comunità visti i sintomi sopracitati, ma di fronte all’allarme della popolazione, il ministero ha occultato gli esiti!

Non dobbiamo dimenticare che questo disastro, attraverso il vento e l’acqua viene esteso e diffuso anche tra popolazioni ed altri ecosistemi. Inoltre, durante l’esplorazione sismica (che prevede l’apertura di piste, costruzione di piattaforme di perforazione, accampamenti, pozzi, oleodotti, serbatoi, etc..) si producono intensi rumori generati da esplosione di dinamite, da veicoli e macchinari che fanno scappare gli animali i quali, mutando il loro comportamento, migrano alterando la catena alimentare. Gli agenti contaminanti derivano anche dall’estrazione di gas i cui composti, essendo volatili, compromettono, oltre che la salute umana, la biodiversità aerea.

Il brevetto dei geni

Il Proyecto de diversidad del genoma humano (PDGH), disumano e razzista, cerca di appropriarsi delle risorse e dei corpi anche dei membri della comunità Mapuche; il PDGH (composto da scienziati, antropologi, sociologi, avvocati, intellettuali in grado di disporre di un Comitato Esecutivo Internazionale di 13 membri provenienti da Stati Uniti, Europa, India e Giappone e, dal ’96, un comitato regionale in America Latina) è stato pianificato in 4 fasi: raccolta, conservazione, analisi, creazione e gestione di una banca dati.

Su 8.000 popolazioni culturalmente differenziate, il PDGH vorrebbe ottenere 500 campioni. I campioni (sangue, radice di capello, unghie, frammenti di pelle) vengono custoditi in depositi e la maggior parte viene congelata; ogni elemento umano che contiene informazioni genetiche dei popoli indigeni selezionati sarà di proprietà di questo progetto.

L’obbiettivo dichiarato è la preservazione delle diversità genetiche: perché tutto questo interesse nel salvare geni di popoli indigeni abbandonati e repressi?

"Consideriamo il progetto di brevetto genetico un prodotto di un sistema malato, capace di generare una scienza che divide l’uomo, che lo isola, non solo dalla sua famiglia e dal suo popolo, ma lo suddivide in particelle sempre più piccole, con una chiara attitudine suicida. Crediamo che la questione non debba essere trattata come un dibattito sulla proprietà, sull’appartenenza, sul diritto legale sulle particelle del nostro corpo, né porre enfasi su chi debba amministrare i guadagni. Non è questa la sostanza del dibattito che vogliamo proporre. Questo modo di agire è l’usurpazione perfezionata, sempre più tecnica del XXI sec. Ieri ci hanno usurpato la nostra terra per il nascente progetto agricolo e di allevamento, oggi ci usurpano le ricchezze della terra e del sottosuolo e, la nuova usurpazione, che è già cominciata, è delle nostre conoscenze, della nostra sapienza e dei nostri geni… lo stato ci definisce razzisti perché vogliamo vivere secondo la nostra storia e perché rivendichiamo il nostro diritto di vivere nel nostro Wall Mapu!"

El señor Benetton

Nel 1991 i fratelli Benetton acquistarono in Argentina (a prezzi irrisori) 8 latifondi per un totale di 900.000 ettari, di cui 7 localizzati in Patagonia. Su questi ettari pascolano e si allevano circa 900.000 pecore che forniscono alla multinazionale circa 6.000 tonnellate di lana. Le terre acquistate non erano affatto disabitate: sono quelle sulle quali vivono da sempre i Mapuche che, vista l’invasione, sono stati confinati in una striscia di terra, chiamata Reserva de la Compañia, nella quale sono costrette a vivere, in situazione di sovraffollamento, le famiglie sfollate. La comunità mapuche ha sempre vissuto di pastorizia che è ora impraticabile visto l’insufficienza della terra e la recinzione che Benetton ha fatto mettere, dopo averne deviato il corso, attorno alla maggior parte del fiume Rio Chubut, al quale si può accedere solo con la presenza di un avvocato. L’amministratore di uno dei latifondisti dichiara a questo proposito che non è proibito pescare, poiché il fiume è di proprietà dello stato. Però è vietato il passaggio visto che i terreni attorno sono proprietà privata.

Molti contadini sono stati costretti a vendere i propri appezzamenti di terreno a prezzi irrisori, dandosi poi alla migrazione, e altre terre sono state abbandonate. Un ulteriore problema è causato dalla siccità che colpisce duramente soprattutto durante il periodo estivo; l’unico fiume in cui continua a scorrere l’acqua anche in periodi critici è il Rio Lepe, ma anche qui le tenute Benetton (padrone quindi non solo delle terre ma anche delle acque) hanno sbarrato l’accesso con cancelli e fili spinati.

L’organizzazione Mapuche-Tehueleche "11 de octobre" ha denunciato che i membri della comunità Mapuche vengono sfruttati come mano d’opera a basso costo; essi ricevono un salario pari a 200 euro al mese per turni di lavoro che vanno dall’alba al tramonto.

I latifondisti Benetton naturalmente negano sia di essere proprietari di una tenuta abitata da indigeni costretti ad allontanarsi dal territorio sia di fare discriminazioni tra i membri della comunità e gli altri dipendenti della ditta.

Lo stato argentino non solo — com’è ovvio — finge di non conoscere le denunce dei Mapuche ma, per mezzo dell’Istituto Nazionale Contro la Discriminazione, la Xenofobia e il Razzismo, promuove la mostra dei cartelloni pubblicitari Benetton nel centro culturale della Recoleta.

"Marici weu"

(dieci volte vinceremo)

Il "caso Turchia"

L’Osservatorio Benetton ha collegato questi due fatti a quello che da sempre è il marchio del gruppo veneto: lo sfruttamento presente nei tanti laboratori del nostro centro-sud che lavorano a cottimo per questa e le altre grandi firme della moda italiana. Segnaliamo le gravi carenze igieniche, il vecchio fenomeno del "fuoribusta", il licenziamento delle ragazze incinte, gli incentivi produttivi che, in pratica, costringono le lavoratrici a turni sempre più massacranti. Il tutto sotto il ricatto di quello che Luciano Benetton chiama "decentramento produttivo", ossia il trasferimento della produzione nei paesi dell’Europa orientale, dove un lavoratore costa meno di 100 dollari al mese. Tutte queste denunce hanno costituito il materiale di un paio di dossier che molto hanno infastidito Luciano e compagnia. Tralasciamo le insulse farneticazioni di Oliviero Toscani — "il libertario", come ama definirsi — che ha la sola funzione del pagliaccio di corte, in compagnia degli altri giullari della "Fabrica". Ciò che si è riusciti a mettere in discussione è, in fondo in fondo, lo stesso miracolo capitalistico del nord-est, quello che tanto piace alla sinistra alternativa. Non è un caso che lo stesso Toni Negri, quand’era ancora in Francia, lodò lo stile Benetton e non è un caso che il "decentramento" si avvicina abbastanza a quelle teorizzazioni pseudo-autogestionarie care all’interno del pianeta non-profit.

Il gruppo Benetton ha reagito come in altre occasioni. Ha cercato di trarre profitto, dopo aver incassato il colpo, con un rilancio della sua immagine. In Turchia ha comprato i sindacalisti, non senza aver fatto licenziare chi più si era esposto, ed ha avviato la "clean production", accordo di facciata per tener fuori i bambini dalla fabbrica. In Patagonia sta cercando di dividere le comunità mapuche, con regalie varie. Ancor più ipocrita è la campagna d’immagine avviata in Italia: da noi ha sponsorizzato alcune organizzazioni non governative che sono andate in Albania durante la guerra in Kossovo. Al contempo ha cercato di influenzare, diciamo pilotare, una serie di articoli su pubblicazioni con delle grandi menzogne. Ad esempio quella secondo la quale ha riconosciuto i diritti della comunità mapuche, avvalorata dal coglione di turno: "Dopo due anni di lotta la multinazionale di Treviso ha riconosciuto i diritti di questa comunità e contribuirà economicamente a migliorare le infrastrutture abitative, scolastiche e sanitarie di cui dispone" (José Flores sul giornale dei Verdi "Erba" del marzo ’99).

 
 

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