I piloti americani e inglesi che sorvolano Baghdad fanno lo stesso mestiere dei fascisti e dei gendarmi nelle strade di Torino. È vero, i primi bombardano intere popolazioni, e riescono a sterminarle a cuor leggero. Gli altri a disposizione hanno solo coltelli, manganelli, manette e pistole, e fanno quel che possono aggredendoti durante i cortei, agli angoli di strada o nelle case. Ma ciò che li unisce è la volontà di seminare il terrore ovunque. Il resto è una questione di misura.

Il terrore è il segno dell’epoca che si sta aprendo di fronte ai nostri occhi. In Iraq serve a garantire agli Stati più forti il controllo delle risorse energetiche e la gestione diretta di un’intera fetta di mondo. Qui, invece, la cappa del terrore vuole coprire una situazione in cui lo sfruttamento è sempre più bestiale e le condizioni di vita sempre più misere e precarizzate. Quando i giornali urlano contro i “terroristi”, contro i “violenti”, contro gli “estremisti”, vogliono solo giustificare il terrore capitalista contro tutti gli sfruttati: quando la polizia attacca, i padroni hanno le mani libere per incatenarci meglio e solo la paura può costringere i poveri ad accettare salari da fame, affitti esorbitanti, ritmi sempre più insostenibili. Al terrore di ritrovarsi senza soldi e senza futuro, i governi aggiungono infine il terrore di essere incarcerati od espulsi.

Se adesso è l’imperialismo americano la potenza più assassina, tutte le bandiere degli Stati sono sporche del sangue degli sfruttati e dei ribelli, simboli della spartizione capitalista del mondo. Essere contro la guerra significa innanzitutto combattere i propri padroni e bruciare le bandiere in nome delle quali opprimono, sfruttano e massacrano. Che sia la bandiera degli Stati Uniti, quella italiana o quella della nuova potenza europea. Ma anche quella dello Stato irakeno, specializzato nella repressione sanguinosa delle sommosse popolari, o quello palestinese, che ancor prima di costituirsi già incarcera gli oppositori, quando non li consegna ad Israele.

Ci sono stati i tempi in cui si poteva scegliere liberamente: meglio morti che schiavi, meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Oggi sono arrivati i tempi terribili in cui chi vive in ginocchio muore in ginocchio, in cui nessuno può essere ucciso più facilmente di uno schiavo. È finito il tempo delle mediazioni, delle piccole riforme, del dialogo con le istituzioni: tutto questo è collaborazionismo con gli assassini.

Dall’Argentina all’Algeria, dalla Palestina alla Corea del Sud, milioni di sfruttati hanno capito che solo nel rifiuto aperto e radicale delle condizioni di sopravvivenza è racchiusa la possibilità di conquistare la vita.

Contro le espulsioni e la repressione nelle strade!

Contro i nuovi collaborazionisti!

Contro la guerra degli stati, per la guerra di classe!

Torino - mARZO 2003

 
 

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