Lettera aperta all’ImPAZiente
«La carta è un materiale troppo tollerante.
Le puoi scrivere sopra qualunque enormità,
e non protesta mai»
**Primo Levi, *La chiave a stella***
Avremmo preferito esimerci, ma poiché le menzogne proprio non riusciamo a mandarle giù, soprattutto se contornate da ignoranza, abbiamo deciso di dare una risposta all’articolo “Gli anarchici e il Monsignore”, apparso sulla rivista “L’ImPAZiente” n° 11, dell’ottobre – novembre 2006, a firma di Melissa Perrone.
Tale articolo appare il frutto evidente di un grossolano processo di riduzione, che prende le mosse dal più classico luogo comune di sinistra, ed è degno dell’approssimazione del peggior Marinazzo (scribacchino del Quotidiano di Puglia). Ci stupisce davvero, in realtà, che si sia scelto di affrontare questo argomento, definendolo per giunta “Il caso anarchici”. Ma andiamo per ordine.
Per iniziare, precisiamo che non stiamo subendo un processo per «anarco-insurrezionalismo», ma per l’art. 270 bis del Codice Penale, ovvero “Associazione sovversiva con finalità di eversione dell’ordine democratico”. Seppure i giornali, locali e non, vogliano farlo credere, essere anarchici, di per sé, non è ancora un reato. Almeno in teoria. Che poi gli anarchici siano particolarmente odiati dal potere, non è certo un dato recente, tenuto conto che da sempre sono tra i suoi nemici.
Tornando a quanto accaduto a Lecce, le indagini della Digos sono iniziate ufficialmente nel 2003, quindi non «a soli due mesi dalla condanna di don Cesare Lodeserto», come afferma l’articolo su citato. È certo vero: il momento scelto per arrestare gli anarchici, non è stato casuale, ed è servito ad occultare quanto accadeva ai gestori del Centro di Permanenza Temporanea “Regina Pacis”, e a mettere alla gogna i suoi più acerrimi contestatori. È un dato talmente lampante da abbagliare chiunque.
Secondo l’autrice gli anarchici avrebbero reso un «provvidenziale» servizio ad un Lodeserto in pessime acque: «i pezzi della scacchiera tornarono allo schieramento originario: i buoni da una parte, (…) i cattivi dall’altra». Tuttavia , in questo mondo alla rovescia, in cui le guerre sono chiamate missioni di pace, e i lager centri di accoglienza, secondo la neolingua del potere, di essere considerati noi i cattivi, non può che farci piacere. Ma che gli anarchici si distinguano per le loro «divise, piercing e tatuaggi compresi», a quanto pare, non è solo un luogo comune che circola fra i carabinieri di provincia e la buona società un po’ bacchettona. Pare che anche una certa “colta società di sinistra” la pensi così e, pur dichiarandosi rivoluzionaria, è ingabbiata in quell’ambiente culturale fatto di supponenza e moderno bigottismo, e in cui, del resto, si sente così tanto a casa propria!
Un secondo luogo comune, pittoresco almeno quanto il primo, è che gli anarchici – per definizione – abbiano il pallino fisso di scagliarsi contro tutto e tutti, indiscriminatamente e con metodi sempre brutali e cafoni. Insomma, trogloditi dalle teste vuote. Tesi frutto di una banalità, che più che dell’opinione pubblica, è prerogativa di chi contribuisce a formarla, perché come scrisse Stendhal: “l’opinione pubblica, è fatta dagli imbecilli”.
Che dire poi dell’arrogante presunzione e autocompiacimento, in base ai quali Perrone ritiene che la chiusura del Regina Pacis sia stata conseguenza della «faticosa opera di controinformazione» effettuata dall’«ostacolo Social Forum», mentre gli anarchici sarebbero stati solo «un gruppetto di facinorosi che disturbavano il quieto vivere con qualche scritta e qualche corteo». Ci asteniamo dallo scendere ad un livello così basso per dichiarare o “rivendicare” chi ha fatto cosa, e in che modo abbia contribuito alla chiusura del Regina Pacis. Abbiamo decisamente un’altra opinione al riguardo, dettata dalla costante presenza in strada, di chi coglieva ogni occasione per ribadire che il Regina Pacis, così come ogni altro Cpt, doveva chiudere, e di quella struttura non doveva rimanere neanche il ricordo. Il processo contro i gestori del centro, sicuramente ha contribuito a smascherare cosa all’interno di quella struttura si perpetrava, ma noi – che della magistratura non ci fidiamo affatto e che crediamo che la giustizia non si trovi in tribunale –, riteniamo che i principali motivi di chiusura del Cpt di San Foca siano stati le proteste, le fughe, gli scioperi della fame, le rivolte degli immigrati al suo interno. L’estate del 2004, in particolare, è stata significativa da questo punto di vista, mentre in piazza, del cosiddetto «ostacolo Social Forum», non si avevano più notizie da almeno un anno! Secondo l’arguta opinionista, l’azione del Social Forum sarebbe annegata nei fiumi d’inchiostro versati per criminalizzare gli anarchici e così, i naufraghi, anziché ribadire quali fossero i veri colpevoli (pur dichiarando le evidenti divergenze con la pratica anarchica) hanno preferito annegare nel silenzio perdendo il palcoscenico… salvo poi cercare di riemergere con articoli pieni di rancore come quello in questione. Se, con rammarico di alcuni, gli anarchici hanno “rubato” loro la scena, ce ne duole, perché è qualcosa che non ci interessa affatto. La società dell’immagine svuotatrice di contenuto e di sostanza, la lasciamo volentieri ad altri. D’altronde ciò che cerchiamo lottando, mettendoci in gioco, lontani da salotti e poltrone, sono dei complici e non certo del consenso sociale. Se si andasse per la propria strada, ognuno con i suoi metodi e le proprie idee, la chiusura dei Cpt sarebbe probabilmente più vicina.
Non si capisce bene, poi, chi abbia «delegato ai soli anarchici il ruolo di contestatori delle strutture detentive per migranti», arrivando «di fatto (…) a soffocare un fenomeno che rischiava di diventare incontenibile», ma dire che ciò sia avvenuto «con gran sospiro di sollievo della destra come di una certa sinistra», è indubbiamente il frutto del peggiore substrato culturale impregnato di ideologia stalinista, che identifica in ogni anarchico un controrivoluzionario, riconoscendo in lui – di fatto! – un nemico dell’autorità.
Secondo Perrone, la rincoglionita società dei lettori e telespettatori, si sarebbe attestata su posizioni ostili agli anarchici e al loro operato, ed il soffocamento di quel fenomeno “incontenibile”, avrebbe fatto «passare in fretta quell’ondata di coscienza critica» che si era andata formando, grazie al Social Forum, negli ultimi mesi.
Davvero poco cosciente questa critica e poco critica questa coscienza, se è bastata la fanfara mediatica a spazzare via molti mesi di lavoro e a beatificare agli occhi del pubblico pagante, una Curia notoriamente spregiudicata e avida di denaro.
Forse, quando Perrone parla di «opinione pubblica» pensa a un gregge di pecore ben vestite e con carta di credito che bisogna «accattivarsi» e assecondare. Secondo questo modo di procedere, non tutti gli individui potrebbero avere capacità di pensiero valide e quindi si renderebbe necessaria la figura dello specialista dell’opinione, del confezionatore di analisi sociali… dell’intellettuale moderno, appunto.
Al contrario è stata proprio la certezza che ogni individuo possa autodeterminarsi e far seguire razionalmente l’azione al pensiero, che ha mosso e muove la lotta degli anarchici, ai quali non interessa nessun posto in prima fila. Inoltre pare evidente che se l’immagine dei «facinorosi» ha bloccato l’opera certosina dei controinformatori, ciò potrebbe essere dovuto alla limitatezza di quest’opera… gente che parla di solidarietà ai migranti ma che si guarda bene dal dirlo troppo forte; non certo per non perdere la poltrona nel salotto dei contestatori, ma perché così «porgerebbero ingenuamente su un piatto d’argento alle autorità gli espedienti per essere incriminati». Dovrebbe, a questo punto, risultare chiaro il perché del sistematico allontanamento dei giornalisti da cortei e manifestazioni. Ce lo dice la stessa Perrone quanto questi venditori di parole siano interessati a diffondere informazione e verità: una volta respinte le telecamere dai cortei e dalle assemblee, quelle «non si spengono (…), ma spostano l’obiettivo su ciò che, se pur non rispetta il criterio della verità della cronaca, offre comunque lo spettacolo più pittoresco».
Ad onor del vero, sullo stesso numero de l’“ImPAZiente”, leggiamo un ulteriore articolo, dal titolo “L’odissea giudiziaria”, più obiettivo e vicino alla realtà dei fatti, non fosse altro perché quella realtà è stata ricercata alla fonte. Infatti l’autrice di questo articolo assiste a ogni udienza del processo “Nottetempo” e nessuno ha pensato di ingiuriarla o costringerla ad andarsene.
Tra l’altro dobbiamo continuare a smentire quanto affermato da Perrone, sul fatto che le varie azioni a noi contestate, messe tutte insieme, costituiscano per gli inquirenti l’azione di una rete nazionale. È da quasi vent’anni, ma negli ultimi dieci con una certa insistenza, che lo Stato italiano sta cercando di zittire gli anarchici con decine di inchieste per associazione sovversiva, su tutto il territorio nazionale. Seppure i numerosi tentativi si esauriscano quasi sempre in bolle di sapone, per gli zelanti inquirenti delle varie questure e per i vari procuratori in cerca di carriera, è sufficiente avere un certo tipo di conoscenze e leggere determinati libri, per aprire delle indagini di questo tipo, puntellate dal lavoro di quei media, di cui forse Perrone si sente parte, che creano allarme e infondono terrore basato sulla menzogna.
Infine, ricordiamo alla signora Perrone, che seppure gli anarchici hanno dovuto tristemente rinunciare alla solidarietà di gruppi antagonisti e di sinistra leccesi, non sono certo rimasti soli: da tutto il mondo è arrivata la solidarietà di coloro che si sentono vicini e complici di una lotta giusta e necessaria, quella contro l’esclusione e il privilegio, lotta che storicamente è portata avanti dagli sfruttati, non dai dirigenti, né dai riformatori. La solidarietà per cui i compagni si sono sentiti circondati di affetto, si è espressa nel moltiplicarsi e nel rafforzarsi della consapevolezza della necessità dell’agire. Mai contro tutto e tutti indiscriminatamente, ma certamente contro i responsabili diretti dello sfruttamento.
Un’ultima questione ci preme affrontare, dal momento che in coda all’articolo di Perrone – e non ne capiamo il motivo, dato tutto il veleno che da esso fuoriesce –, sono stati inseriti degli stralci di una lettera diffusa su internet.
L’esperienza detentiva, seppure a volte nella sua durezza, è stata l’occasione per poter meglio comprendere e realizzare ciò che da tempo andiamo dicendo, e cioè che tutte le galere vanno distrutte. Come i quasi 60000 detenuti italiani, ci siamo dovuti rapportare con l’assurdità del carcere e del mondo che gli è attorno. In galera non abbiamo «marcito», ma a testa alta abbiamo continuato la nostra lotta; appreso quanto sia doloroso staccarsi dai propri affetti e dalla propria vita, ma quanto sia necessario resistere ad uno stato di cose che cerca di annichilire e rendere docili.
Il tribunale di Lecce poi – come ogni tribunale – nel suo essere «troppo zelante e troppo a sinistra», agisce in maniera vile e arbitraria, usando la carcerazione preventiva e la detenzione come un’arma di ricatto.
Ancora una volta abbiamo motivo di rifuggire dai salotti buoni dell’antagonismo democratico… non perché ci sentiamo più illuminati, ma perché la strada è il nostro luogo più congeniale.
Anarchici salentini
ottobre 2006
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