Il ministro dei temporali in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni

F. De Andrè

Ciò che è accaduto nel carcere di Abu Graib in Iraq, ha suscitato lo sdegno di tutto il mondo, che si è ritrovato a fare i conti con ciò che in altre occasioni omette di vedere. Questa volta anche chi di solito distoglie lo sguardo di fronte a ciò che non lo tocca da vicino, si è trovato sbattuta in faccia l’immagine dell’orrore. I soldati torturatori statunitensi e inglesi compiaciuti delle loro gesta, hanno voluto realizzare delle foto ricordo, per raccontare un giorno ai propri figli come erano stati ligi al dovere nel torturare e umiliare quei "selvaggi" conquistati dalla democrazia. Ed è proprio qui che troviamo il punto della questione. Senza voler ribadire quali sono state le ragioni che hanno portato alla guerra in Iraq, tra l’altro ben note a tutti, mentre la guerra e la guerriglia continuano, nonostante le apparenti svolte burocratiche operate dai vari potenti e dagli organismi internazionali, l’esportazione della democrazia occidentale ha avuto uno dei suoi passaggi proprio negli episodi immortalati da quelle foto; infatti la tortura dei prigionieri nelle carceri, fisica e morale, tesa al loro annientamento, viene elargita con grande abbondanza nei Paesi del Nord del mondo. L’abuso operato nei confronti dei detenuti iracheni, è parso molto simile, seppur in una veste ancor più truce, a quanto accade quotidianamente nelle carceri italiane, spagnole, turche e di ogni altra parte del mondo; in questo forse i vari Paesi democratici o dittatoriali non hanno nulla da invidiare gli uni agli altri. Ma questo non è noto ai più, perché si tenta di tenere nascosto quello che è il volto più violento dei cosiddetti Stati di diritto.

Il carcere serve alla sottomissione di chi vi viene recluso, al suo annullamento psico-fisico, alla sua neutralizzazione come persona capace di pensare qualcosa al di fuori di ciò che le regole dello Stato impongono. E per far ciò si usano tutti i mezzi, dalle umiliazioni, alle torture vere e proprie, ai ricatti. L’eufemismo della rieducazione serve molto bene a mascherare quella che è la finalità della detenzione. L’atteggiamento usato dai militari americani, ha mostrato agli occhi di tutti quale sia il comportamento di chi si attribuisce il diritto e il potere di recludere un altro uomo. Questo viene considerato niente di più che un numero, un rischio da isolare, un essere su cui si può fare tutto ciò che si vuole. Si tenta di spersonalizzarlo, privarlo di identità, unificarlo in una massa di uomini obbedienti e sudditi. Penso al "carcere duro" in Italia previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario, che fa della privazione il suo punto di forza al fine di piegare il detenuto. Privazione degli affetti, della corrispondenza, del contatto con altri detenuti, delle capacità sensoriali.

Penso ai centri di permanenza temporanea per immigrati, dove le persone sono ammassate e recluse insieme perché prive dei documenti giusti. Quale tipo di etica ci si aspetta dallo Stato e dai suoi servi più fedeli in guerra, da sempre maestri nell’uso della violenza più terribile, dallo stupro al massacro, se accettiamo e continuiamo a tacere su questi soprusi intollerabili. Continuiamo a permettere che degli uomini, per il semplice fatto di essere islamici, siano trattati da cavie, privi di qualsiasi diritto, detenuti nel campo di Guantanamo in una condizione che a noi non riuscirebbe neppure di immaginare.

Alcune persone considerano esagerata la definizione di lager che viene data a questi luoghi; ma proprio in riferimento a questo mi preme ricordare quanto affermato da Primo Levi ne "I sommersi e i salvati": …C’è chi davanti alla colpa altrui o alla propria, volge le spalle, così da non sentirsene toccato; come ha fatto la maggior parte dei tedeschi nei dodici anni hitleriani..!

 
 

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