INVERTIAMO LA ROTTA!
A Milano, alcuni militanti dei centri sociali vengono aggrediti da fascisti armati di coltello. Un compagno dell’O.r.so. muore, un altro rimane gravemente ferito. Qualche ora dopo, all’ospedale San Paolo, le forze dell’ordine si scatenano furiosamente contro compagni e amici delle vittime venuti a chiedere notizie, massacrandoli senza esitazione.
Di fronte a questi avvenimenti, le reazioni degli appartenenti a questa nostra titanica società in rotta verso il naufragio sono apparse sì contrastanti fra loro, ma ciascuna a suo modo rassicurante.
Gli ufficiali di bordo e i loro tirapiedi hanno minimizzato i fatti accaduti, liquidandoli come “rissa tra balordi” e giustificando “l’intervento delle forze dell’ordine necessario ad impedire il furto di una salma” (decisamente non c’è peggior sordo di chi ha orecchie solo per la voce del padrone). Tutto procederebbe per il meglio, insomma, la nave fila spedita verso destinazione e non è il caso di fare tanto clamore per qualche piccola ed innocua vibrazione: continuate a lavorare, a ballare, a suonare, di tanto in tanto a protestare senza troppo rumore, che al resto ci pensiamo noi.
Nei passeggeri invece serpeggia una certa preoccupazione, ma i loro occhi di vedetta sono puntati solo sulla superficie delle acque. La cieca fiducia nella perizia tecnica dell’equipaggio, nonché la fitta nebbia massmediatica che avvolge e copre il paesaggio circostante, li rende sensibili solo alle scosse che turbano il viaggio di cui pensano avere il diritto di godere. Oggi, dopo aver urtato contro dei fascisti dichiarati, in molti hanno messo in funzione la sirena di allarme dell’”antifascismo militante” (soddisfatti poi nel vedere gli assassini messi ai ceppi, esito previsto da ogni società punitiva). I primi, nella loro presunzione di onnipotenza, sono certi di essere in grado di travolgere ogni ostacolo; i secondi, nella loro correttezza politica, sono certi che sia sufficiente avvistare gli ostacoli per evitarli. Nessuno o quasi pare avere da ridire sulla rotta obbligata da seguire.
Ma il coltello che ha ucciso Davide è solo la punta dell’iceberg. Sotto le acque c’è tutta una vita di miseria, di sopraffazioni, di delusioni, di noia, di arroganza, di brutalità. Una vita che, se non vale la pena di essere vissuta, non può che trascinarsi nella sopravvivenza. E' per nascondere questa spaventosa evidenza che si minimizza, o che si strilla per distogliere l’attenzione. Bisogna ripulire le tracce di sangue, o al limite ricordare solo quello sparso sui Navigli, sangue antifascista. Mentre quello versato nelle corsie dell’ospedale S. Paolo è meglio che sia dimenticato, perché è lo stesso sangue dei lavoratori sfruttati fra cui fanno strage gli incidenti sul lavoro, è lo stesso sangue degli immigrati che vengono arrestati ed espulsi, è lo stesso sangue della popolazione irachena e palestinese, ma anche statunitense e israeliana. E' il sangue di chi muore ogni giorno, nell’indifferenza generale, ucciso dall’”esercito del bene” o dall’”armata del male”, puerili nomi dati alle facce della stessa medaglia: quella del potere e del denaro.
Finché non butteremo a mare tutti i comandanti di bordo, in carica o aspiranti tali. Finché non decideremo di invertire la rotta.
Antiautoritari anonimi
20/3/03
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