IN LOCO D’OGNE LUCE MUTO

Intervento per il convegno

"La psichiatria come forma di controllo"

Parma, 13 aprile 2003

Questo scritto non ha pretese di essere documentato e completo: a qualcuno potrà apparire scontato. Ci è parso che, anche tra i compagni che hanno affrontato la questione della psichiatria con un approccio radicalmente ostile, si presentino molte contraddizioni. Intervenire direttamente nel contrastare la psichiatrizzazione ci ha, con nostra sorpresa, procurato l’ostilità di persone che a parole criticavano gli internamenti e, poi, nei fatti, non si opponevano ma, anzi, intralciavano la liberazione dei loro stessi amici. Aver partecipato ad un intervento contro la costruzione di strutture psichiatriche ci ha svelato l’estrema difficoltà del comunicare le ragioni avverse alla psichiatria. L’intervento è scritto per permetterci di accennare a diversi aspetti, essere comprensibili, e porre chiaramente la nostra posizione.

La bellissima sceneggiatura che la rivoluzionaria Meinhof scrisse per un film sulle carceri minorili ruota intorno alla fondamentale questione posta da una giovane detenuta ad un’umanitaria assistente sociale: "tu da che parte stai ?".

Da che parte state?

Se vi ponete la questione di come risolvere il problema dei malati di mente a chi scrive questo testo non interessa avere nessun dialogo con voi perché siete l’ultima ruota del miserabile carro in cui stanno gli psichiatri, gli infermieri e gli assistenti sociali.

Tra i compagni è purtroppo ancora diffuso l’atteggiamento caritatevole cristiano verso i "più sfortunati": questa non è solidarietà, non è un atteggiamento tra pari che presuppone eguaglianza.

Nessun soccorso ai poverelli!

I poverelli siamo noi, siamo quelli che potrebbero trovarsi al più presto internati, e che si devono difendere, non certo chi vuole discutere come si possa gestire al meglio una galera.



Ho incontrato un solo psichiatra in un reparto. E’ stato quando me ne sono fuggita.
Quando m’hanno offerto di barattare il reparto con droga a pagamento e l’inquisizione di uno psicologo fuori dal reparto, mi sono rifiutata di infamare e svendere la mia memoria, tutta la mia vita con il suo più spregevole mercante. E sono rimasta.


Chiunque, per svariati motivi, può essere sottoposto, per decisione di un medico, ad un trattamento sanitario obbligatorio consistente nell’essere forzatamente prelevato, rinchiuso, sottoposto a somministrazione forzata di composti tossici che provocano la perdita dell’autocontrollo delle azioni e del pensiero, essere interrogato, rilasciato in libertà vigilata.

Chiunque non si sottomette alle imposizioni dei medici, può essere sottoposto a continui ricoveri, reso assuefatto ai farmaci, sottoposto ad una metamorfosi della persona, trasformato nel surrogato di sé stesso, spossessato della propria memoria, del suo appartenersi e rigettato nel "fuori", spoglio di sé, nel peggior stato d’esilio, marchiato da un terrore ineliminabile e da un’alta probabilità di dipendenza dalle droghe, per arrivare a perdere infine la residua autonomia del suo corpo e restare quindi accantonato in una struttura fino alla morte.

Questo è quanto normalmente accade in una struttura psichiatrica. Qual è la cura? La cura è la repressione.

In quanto sfruttati siamo già potenzialmente incarcerati, psichiatrizzati o ammazzati lungo una strada: il nostro unico interesse in merito alla questione psichiatrica è che i reparti si chiudano, le medicine e le cure scompaiano e che, in quanto ai medici, resti valido l’invito del poeta francese ad approfittare di un momento di lucidità per fare fuori al più presto un dottore.



Visto che mi trovo in un corridoio di un ospedale psichiatrico, dove non so che droghe continuano ad iniettarmi, dove le gambe mi reggono poco e le meningi stanno per scoppiare, devo scrivere per trovarmi un appoggio, per non cascare del tutto nella dislessia, per non affondare la mia volontà nel sogno... perché allora distruggerei pian piano la mia memoria installata in un corpo già dolente.
Angoscia, paura, paura non vedo più le parole scritte, non riesco a guardare la tele... forse devo lasciare che qui le cose vadano come devono andare lasciare vivere solo il dolore per me non c’è adesso né poi….perso è il conto del tempo che scorre, sopravvivo ad un interminabile istante che si ripete. Sembra che la mia storia e la mia memoria si stiano sciogliendo nelle contratture del mio corpo… in astinenza di non so che… del mio desiderare ormai polverizzato.


La cosiddetta malattia mentale è un prodotto della società capitalista, prodotto di rapporti sociali, in quanto relazione tra il condizionamento che il sistema produce sugli individui e la sanzione che applica loro per l’incapacità di adattamento ai canoni comportamentali imposti.

Definire malata, malata di mente una persona, indica il rifiuto con cui la società la marchia per spingerla ai suoi margini e polverizzarla: il concetto di malattia mentale e di malattia in toto fa parte del lessico nemico, di ciò che il nemico ha creato come sua letale arma che si dirama poi in un sistema parcellizzato di altre categorie ideologiche e morali. Chi qui scrive disconosce tali categorie già a partire da come vengono nominate.

Permane tra molti compagni un tabù in merito alle scienze intese ancora come sapere inconfutabile e non come prodotto dai rapporti sociali. Per una specie di persistente ubriacatura positivista rimane diffuso un atteggiamento fideista e acritico che la stessa filosofia della scienza ha abbandonato da tempo. Se analizziamo la psichiatria vediamo come questa parta da presupposti non dimostrati per giungere a conclusioni faziose: le pulsioni vitali degli esseri umani vengono definite anormali in base a discrimini derivanti da convinzioni morali relative e poliziesche. Ad esempio, l’omosessualità è stata per questi "scienziati" una malattia fino a che era moralmente condannata, ed ha smesso di esserlo solo di recente per decisione dell’organizzazione mondiale della sanità, una volta che il movimento degli omosessuali ha imposto con forza la propria accettabilità sociale.

Le conclusioni di questa presunta scienza e, quindi, i suoi "rimedi", le cure, sono asservite alle cricche del potere specialistico della ricerca e dell’industria chimico farmacologica, come nel caso della divulgazione che tende ad esasperare il ruolo della genetica nel funzionamento del vivente, e i vantaggi nella possibilità di alterarlo: le esilaranti notizie relative alla scoperta del gene della schizofrenia, del crimine, della bellezza o dell’aerofagia mascherano malamente gli interessi di dominio economico esistenti nella diffusione della manipolazione genetica .

Il condizionamento è la principale forma di controllo sociale e, quindi, la principale forma di repressione; l’ambiente in cui viviamo è modificato per condizionarci continuamente - tanto ci colpisce una manganellata la zucca quanto, con maggiore discrezione, in una determinata situazione un codice comportamentale ci suggerisce l’atteggiamento che è preferibile mantenere. Una svariata serie di specialisti è costantemente al lavoro per mantenere questo controllo. Ai vostri colpi non dovrebbero scampare oltre ai tradizionali padroni, preti, poliziotti e politici anche parenti, psicologi, sociologi, urbanisti, insegnanti, giornalisti, sindacalisti, personaggi dello spettacolo, amici dal facile pensare al vostro posto e tutti i cialtroni indovini di quale sia il vostro proprio bene.

Se non vi và questo sistema o i vostri sforzi per adeguarvi sono del tutto inutili, ad esempio non riuscite ad alzarvi ogni mattina alle sette per fare qualcosa che vi tocca fare, ma a cui non riuscite a dare una giustificazione plausibile siete in pericolo, e siete in pericolo con ogni vostro atteggiamento, anche il più scontato, se non v’è riuscito di imparare qualche ruolo sociale tra i possibili concessi.

Di fronte ad una rottura tra il nostro essere e il mondo che ci circonda ci si pone domande, si assumono atteggiamenti, si prendono decisioni che, in svariati modi, al di là della loro volontarietà, confliggono con l’ordine che ci circonda.

La psichiatria è una delle tante istituzioni repressive che garantiscono l’edificio sociale togliendo di torno chi confligge.



Gli psichiatri non girano nella grande gabbia dei matti, lo fanno eccezionalmente, in casi estremi.
Li si incontra sì, ma fuori dalle porte sbarrate.
Li si incontra nella prescrizione delle dosi di droga, poi gestite ad hoc dai loro secondini infermieri.
Gli psichiatri non ascoltano quello che ti chiedono: blaterano e studiano la dilatazione delle tue pupille per capire quanto li odi. Non ascoltano: hanno già scritta davanti la tua storia ancor prima di sentire la tua voce. La tua storia l’hanno estorta con compiacenza da chi è amorevolmente preoccupato per il timore e il disordine che gli incuti.
La tua storia è la casa che non hai, il tuo conto in banca, il ruolo sociale che, sembra, non riesci a recitare troppo bene, o che addirittura rifiuti.
Lo psichiatra traduce la schedatura sociale in scheda medica, diagnosticando la condanna senza appello del corpo "malato" e del pensiero "malato".


Tramite la psichiatrizzazione l’individuo improduttivo torna economicamente utile in quanti oggetto di cure, garantendo l’esistenza del lucroso traffico di medicamenti e la proliferazione di quella genia di sciacalli portanti il nome di medici, psicologi, infermieri, assistenti sociali. Qualsiasi cosa contenga una mente, non vi è dubbio, sarà premiata se utile alla società e punita se dannosa; il più sanguinario assassino sarà elevato alla gloria, l’anima più gentile e innocente derisa, umiliata e afflitta, a seconda dell’utile prodotto.

Le condizioni di oppressione rispecchiano rapporti di forza e più questo rapporto è sbilanciato più l’oppressione è forte. Lo psichiatrizzato subisce uno dei rapporti di forza più sbilanciati: il campo di sterminio lo supera ma gli elementi di contiguità tra campo di sterminio e reparto psichiatrico sono molteplici e fondati essenzialmente sul fatto che psichiatrizzato e internato hanno perso lo status di persone, ciò autorizzando le peggiori vessazioni, le violenze nascoste sotto l’egida dello strapotere medico: che droga, tortura, blocca nei movimenti, umilia, forza, castra, elettrifica, mutila, fa cavia d’esperimenti, frigge il cervello, porta al coma, uccide, senza processo, senza specifica accusa alcuna, né possibilità di difesa. L’internato è un oggetto, che non può contrattare quasi nulla con il carnefice se non con la sottomissione più umiliante e dolorosa. Basta stare dalla parte giusta per gli aguzzini: i medici di Hitler sono stati cacciati dalla storia, ma i loro degni colleghi democratici, saliti sul carro dei vincitori, hanno vinto il premio nobel per la scoperta della lobotomia.


Nei non luoghi non vi è tempo. Anche il tempo è sospeso come la vita, non è vissuto, ma imposto o cancellato con l’oblio coatto. Ogni istante, reiterato in dolore e ripetizioni forzate, può essere fatale.


La psichiatria, in quanto pratica violenta e oppressiva non è parte eliminabile del sistema.

Non si possono eliminare carceri, C.P.T., reparti psichiatrici, si può solo superare questo ordinamento sociale abbattendolo e, con esso, i suoi indispensabili strumenti di dominio.

La tendenza verso il costante aumento del controllo sociale: più prigioni, più assistenti sociali, più psichiatrizzazione coatta, è collegata alle scelte strategiche fondamentali del capitale in merito alla gestione dei rapporti di classe nell’attuale periodo.

La lotta riformista per una democratizzazione della psichiatria, attuata nei decenni scorsi, non ha portato che a false vittorie, ad una violenza più camuffata e presentabile, quindi, ad una evoluzione degli apparati oppressivi, permettendo, oltretutto, alle tendenze psichiatriche più reazionarie di ritornare a spadroneggiare alla prima occasione come sta avvenendo con l’introduzione della legge Burani.

Non esiste alcuna tendenza progressista della storia: la società non tende ad evolversi verso il meglio e, conseguentemente, la psichiatria non uscirà necessariamente dalle brutture. La psichiatria, come tutte le attività repressive, tende all’efficienza, quindi, a diffondersi, a diversificarsi, a mascherarsi, a giustificarsi, e tende a questo in proporzione allo sbilanciamento dei rapporti di sfruttamento, conseguenza dell’arretramento dello scontro sociale negli ultimi decenni.

Affrontare la critica della psichiatria in senso rivoluzionario ci porta ad affrontare contraddizioni.

Sappiamo che ogni lotta che voglia abolire la psichiatria da questo sistema è destinata a portare delusioni, quindi: si può lottare contro la psichiatria in modo radicale solo se si sa inserire la questione nella prospettiva totale della liberazione dallo sfruttamento. Nella lotta parziale questo avviene acquisendo posizioni di autonomia e attacco alle strutture oppressive.

Sappiamo anche che la rivoluzione lungi dall’essere un cambio della guardia è l’instaurazione di una nuova sensibilità, sensibilità che rende intollerabili aspetti di un vecchio mondo che deve scomparire.

L’odio incorruttibile che preme nei nostri cuori contro l’istituzione totale, è il mondo nuovo che avanza*.

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Bonnie e Claid all’italiana

Venezia, primavera 2003