IMPIANTI DI MORTE: A proposito di una questione comune

Anche in Puglia le istituzioni, da tempo hanno cercato di propinare delle soluzioni per risolvere quella che, a loro dire è “l’emergenza rifiuti”. Una di esse prospettata nel piano regionale per la gestione rifiuti era la realizzazione di numerosi inceneritori, che lasciava carta bianca agli imprenditori di turno, nella scelta del sito e per le dimensioni della struttura. Con la motivazione che i rifiuti non potevano essere contenuti nelle discariche, la Regione aveva previsto da Lecce a Foggia la costruzione di ben venti impianti di inceneritori, chiamati eufemisticamente “termovalorizzatori”.

Questi impianti, al contrario di quanto si vuole far credere alla gente, non riducono la quantità di rifiuti, perché necessitano di enormi quantità di rifiuti da bruciare, tali da coprire i notevoli costi. Quanto è avvenuto a Brescia è esemplare, dove l’esistenza di un grande inceneritore ha portato all’aumento del doppio della spazzatura prodotta dagli abitanti. Ma la più grave menzogna riguarda i reali rischi sulla salute, rischi sottovalutati e addirittura dichiarati inesistenti da coloro che sostengono il progetto e l’utilità di questi generatori di morte. Infatti, una vasta documentazione, derivante da alcuni studi effettuati in zone dove sono attivi inceneritori, prova il legame tra malattie polmonari, tumori e malformazioni genetiche con le sostanze contaminanti da essi emesse. Nel Basso Salento inizialmente, la scelta di costruire uno di questi impianti era caduta su località Giorgilorio, ma grazie alle proteste degli abitanti, l’allora commissario delegato per l’emergenza ambientale di Puglia, R.Fitto, aveva spostato l’attenzione su altri siti proposti dalle stesse amministrazioni locali, tra cui Melpignano e infine Cerrate (nord Salento). Sempre grazie alle proteste dei cittadini del luogo, è stata fugata anche l’eventualità di realizzare l’inceneritore nella sede della Biosud, il “bruciatore” a circa un km da Cerrate. Nel Basso Salento però, resta il progetto di realizzare un impianto di CDR (combustibile derivante da rifiuti che andrà ad alimentare l’inceneritore), nell’attuale discarica di Cavallino, il sito proposto dal consorzio di aziende salentine COGEAM, mentre l’aggiudicazione per l’inceneritore è infine caduta in territorio di Modugno e Trani; in quest’ultimo paese la ribellione della popolazione ha bloccato il progetto e costretto l’amministrazione comunale di Trani ad affidare a un referendum popolare la decisione di costruire l’impianto. Tra l’altro, il comune di Trani è socio unico di AMET S.p.a, (il cui presidente è Alfonso Maria Mangione), una delle società di imprese che, insieme alla Noy Vallesina Egineering di Dalmine di Bergamo e alla A.M.I.V di Trani, avrebbero intrapreso le attività preparatorie per la sua realizzazione sulla strada Trani-Andria (a quattro km da Trani e a cinque km da Andria). Per quanto concerne la località di Modugno, i lavori di costruzione dell’impianto ( già avviati dalla società ECOENERGIA S.r.l., presso la zona industriale di Bari-Modugno) erano stati in un primo momento bloccati dall’amministrazione comunale e successivamente, dopo aver fatto ricorso al TAR Puglia, la stessa società ha riottenuto il nullaosta per la loro esecuzione.

Prospettando all’”opinione pubblica” numerose falsità come l’aumento del livello occupazionale, il contenimento dei rischi per l’ambiente e la salute (grazie alle nuove tecnologie); la riduzione dei costi delle bollette (tra l’altro molto irrisoria) e nuovi sbocchi di mercato per i materiali recuperati, i promotori e i fautori di questi impianti di morte omettono di rivelare quali sono i reali danni che i fumi e le sostanze tossiche emesse dagli inceneritori causano sulla salute. Omettono di dire alla popolazione che in alcuni Paesi come gli Stati Uniti, dal ’98 essi non vengono più costruiti e anzi vengono bonificate le aree sulle quali erano ubicati; omettono di dire che la costruzione degli inceneritori gioverebbe solo a un tornaconto economico di pochi e favorirebbe le lobbies che sostengono la creazione di tali impianti e che si sfidano ad accaparrarsi la gara di appalto, altrimenti perché un’azienda americana con sede in Italia, la Foster Wheeler, sarebbe disposta a investire ben cento milioni di euro per la realizzazione e per la gestione dell’inceneritore nel bacino Bari 1, contro il finanziamento stanziato dalla Regione di appena 500 mila euro!? Ovunque si scelga di costruire tale struttura, nessuna tecnologia potrà impedire al vento di spostare nubi di gas velenose o evitare che sostanze inquinanti penetrino il terreno e inquinare le falde, tra l’altro già inquinate per gli scarichi industriali. Non esistono soluzioni facili per risolvere il problema dei rifiuti, perché esso fa parte di un modello di vita di un sistema sociale che fa del CONSUMO la ragione della sua stessa esistenza. L’opposizione ad un inceneritore come a qualsiasi struttura di morte è una questione comune, che non può limitarsi alla richiesta che venga costruito lontano da casa nostra, perché la loro realizzazione non è tollerabile né qui né altrove.

PER UNA REALE OPPOSIZIONE SENZA DELEGHE. LOTTA CONTRO GLI INCENERITORI E I SUOI FAUTORI.