Oltre agli ormai famigerati Cpt, la legge Bossi-Fini sull’immigrazione del 2002 ha istituito anche centri di identificazione; essi sono strutture detentive dove lo straniero richiedente asilo è trattenuto fino a che una commissione territoriale deciderà della sua sorte, solitamente 20 giorni, in seguito ai quali, se non è intervenuta nessuna decisione, otterrà un permesso di soggiorno temporaneo, fino al termine della procedura. Con la loro istituzione la legge ha inteso affrontare la questione immigrazione irregolare esclusivamente da un punto di vista detentivo, inserendo anche tali enti nel perverso meccanismo delle espulsioni degli indesiderati.

L’idea che si è voluto far passare è che tutti gli immigrati, irregolari o rifugiati, qualsiasi sia il motivo per il quale giungono in Italia, guerra o povertà, sono un problema che si può risolvere solo controllandoli e privandoli della libertà. Normalmente l’esame delle richieste d’asilo politico, che possono essere presentate qualora vi sia il grave rischio di essere perseguitati nel proprio Paese d’origine, o l’esame delle richieste dello status di rifugiato presentate qualora nel Paese di provenienza vi siano situazioni di guerra, genocidio ecc, sono esaminate con molta superficialità, sempre che l’immigrato conosca o venga messo a conoscenza di tale possibilità. Se la sua domanda viene respinta, sarà rimpatriato ed un eventuale ricorso non sospenderà l’espulsione. Il centro di Otranto in particolare, finora ha funzionato come “zona d’attesa” per il Regina Pacis, in quanto oltre ai richiedenti asilo venivano rinchiusi anche coloro che erano in attesa di espulsione ma a cui ancora non era stato notificato il decreto, fino a quando non si sarebbero liberati dei posti al Cpt di San Foca dove, una volta trasferiti, il decreto sarebbe stato quindi notificato. Esso inoltre ha “ospitato”, trattenuti in attesa di rimpatrio, in particolare cittadini albanesi imbarcati dal porto di Otranto, e trattenuti “a disposizione dell’autorità giudiziaria”, dimostrando come la differenza tra un centro di identificazione e un centro di permanenza temporanea sia veramente sottile. Pensiamo che l’unica fine possibile per strutture di questo tipo sia la loro chiusura e il loro totale abbattimento; la chiusura del Regina Pacis ha dimostrato che questi luoghi non sono intoccabili, e che si può provare a cambiare la rotta di questa società galera, che vorrebbe rinchiusi tutti coloro che le sono sgraditi, ribelli, poveri o immigrati che siano.

Nemici di ogni frontiera

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