Droga: che fare?
Quelle che seguono sono alcune considerazioni che vengono da un’abituale consumatrice di “droghe”. E in quanto tale, la mia risposta alla domanda posta nel titolo di questo intervento è: farsi.
Infatti, al di là dei pareri dei molti esperti e delle leggi che via via vengono emanate per regolare la materia, la libera scelta di disporre della propria vita come meglio si crede, nel bene come nel male, resta secondo me il punto più importante.
Di recente mi è capitato di trovare su un noto giornale inglese l’ennesimo articolo demonizzante nei confronti della mia droga preferita: “L’uso di cannabis aumenta di almeno il 40% il rischio di contrarre schizofrenia”. La ricerca scientifica alla base di questa affermazione stabilisce che fumare cannabis può causare disturbi mentali perfino dopo molti anni che se ne smette l’uso e che un campione di 800 persone malate di schizofrenia non avrebbero contratto la malattia se non avessero mai fumato cannabis. Non a caso, questi dati vengono pubblicati all’indomani della proposta del nuovo governo inglese di riclassificare la marjuana da droga di “classe C” a droga di “classe B”, cioè più pericolosa e soggetta a maggiore criminalizzazione. Ma non è di questo che voglio parlare, del resto si sa come lo Stato abbia interesse a penetrare in ogni aspetto della vita degli individui per tenerne sotto controllo tutte le emozioni. E si sa anche di come lo Stato sia invischiato con le varie mafie dello spaccio di sostanze stupefacenti e di come il suo approccio nei confronti di queste ultime sia sempre stato ipocrita e ambiguo. Quanto a quest’ultima illuminante ricerca scientifica, la sua fondatezza è totalmente compromessa dal fatto che ogni ricerca è com-missionata dagli uomini di Stato e rappresenta quindi un’ulteriore soffocante intrusione del potere nella vita individuale e collettiva delle persone. Quando si parla di cannabis, poi, si dovrebbero fare delle distinzioni essenziali che nessuna ricerca e nessun articolo di giornale mettono mai in evidenza. Esistono vari tipi di marjuana: le svariate specie che io chiamo chimiche, come la “skunk” e altre sue consorelle, e la buona cara erba piantata e coltivata in modo naturale con semi naturali, i cui effetti non possono che essere benefici. E qualsiasi eminente scienziato che affermi il contrario è solo un impostore, uno che non ha mai fumato una canna di buona erba in vita sua e che blatera senza avere la minima conoscenza della questione di cui sta trattando.
Vorrei ora sottolineare come la classica distinzione tra droghe “leggere” e “pesanti” sia fittizia, unicamente funzionale alle esigenze dei legislatori.
Che alcune droghe facciano più male di altre è un dato di fatto innegabile ma è altrettanto innegabile che altre, anche tra quelle che fanno male, procurano piacere. Questa non è un’apologia delle sostanze stupefacenti, anch’io ne ho visto gli effetti devastanti... e non su di me, giacché ne ho sempre fatto un uso cosciente e consapevole e mai ho permesso che la mia libera volontà ne fosse in alcun modo condizionata. Il punto centrale è infatti proprio questo: il rapporto che i consumatori di sostanze stabiliscono nei confronti delle stesse. Ogni droga può portare alla rovina di chi la consuma, se questo qualcuno ne diventa dipendente e fa di essa un uso smodato e inappropriato. Gli scienziati del potere probabilmente lo sanno, ma preferiscono ignorare il fatto che la causa principale degli effetti negativi provocati dalla droga dipende non tanto dalla stessa ma dalla persona che la assume. Ed ecco che in Italia come in altri Paesi vengono ipocritamente adottate posizioni proibizioniste nei confronti di tutte le sostanze stupefacenti e vengono istituiti programmi di riabilitazione per tossicodipendenti, quando questi ultimi non vengono sbattuti direttamente in carcere. Tutto a tutela della salute individuale e collettiva dei così detti cittadini. Come se lo Stato non fosse esso stesso il diretto responsabile di mille altre nocività che a mio avviso sono ben più dannose di qualsiasi droga. E che dire, inoltre, di tutte quelle sostanze perfettamente legali prodotte dalle industrie farmaceutiche col pretesto di curare malattie provocate dallo stile di vita imposto, ancora una volta, dal potere?
Altrettanto deprecabili sono le posizioni anti-proibizioniste e tutte le parate a favore della legalizzazione delle droghe “leggere”. Da fumatrice appassionata, non posso che respingere con tutte le mie forze l’idea di una legge destinata a regolare il mio piacere e a stabilirne le quantità e le modalità. In nessun caso, poi, scenderei in piazza, come si suol dire, per reclamare l’emanazione di una qualsivoglia legge. Inoltre, quei pochi governi “progressisti” che legalizzano, fino a un certo punto, l’uso di sostanze stupefacenti non sono a mio avviso molto diversi dai governi più reazionari: si tratta pur sempre di Stati il cui interesse principale è conservare se stessi ed i rapporti di potere su cui sono fondati.
Non posso certo negare che esista un problema sociale legato al consumo di sostanze stupefacenti. Nelle grandi città e nei piccoli paesi di provincia, molti giovani e meno giovani preferiscono evadere dalla realtà quotidiana attraverso lo “sballo” e fanno delle sostanze di cui diventano dipendenti la ragione principale della loro esistenza. Questo, però, non significa che le droghe con cui annullano la loro vita siano la causa della rovina che infliggono a se stessi. Ci tengo a ripetere che nessuna droga, comprese quelle definite pesanti, può mai sottrarre ad un individuo la consapevolezza di se stesso e di ciò che lo circonda. Vi sono infatti consumatori di sostanze che restano perfettamente coscienti dei meccanismi di sfruttamento su cui si basa la realtà presente, meccanismi che tra le altre cose producono lo spaccio delle droghe e la loro compra-vendita in un mercato che molti governi hanno tutto l’interesse affinché resti clandestino. E pur essendo dei “drogati”, conservano la capacità e la voglia di agire secondo un determinato progetto. Vi sono poi consumatori che perdono ogni cognizione della realtà, ma questo dipende esclusivamente da loro e dalla loro debolezza, di cui sono gli unici responsabili e che condizionerebbe la loro vita anche se non fossero consumatori di sostanze.
Se dunque esiste un “problema droga”, la sua soluzione non sta certamente nelle leggi repressive o nelle varie comunità di San Patrignano, né tantomeno nella legalizzazione delle sostanze: la soluzione può venire solo dalla distruzione dello Stato e del potere.
Questa mia convinzione non è minimamente intaccata dal fatto che anch’io sono una “drogata”, secondo la definizione che gli scienziati del potere mi attribuirebbero se mi conoscessero.
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