CONTRO LA GUERRA - CONTRO LA SOCIETA’ CHE LA PRODUCE

La guerra, in tutta la sua brutalità, fa emergere il vero volto del sistema economico e sociale che domina l'intero globo. Soprattutto ora, in una fase in cui, per il capitale, non vi sono più nuovi mercati da conquistare, né territori inesplorati dove trovare risorse mai sfruttate o dove fare nuovi investimenti. In tale contesto, lo scontro tra potenze capitaliste per accaparrarsi le fonti di ricchezza o per creare sbocchi alle proprie merci non può che essere aspro. Ben al di là delle dichiarazioni ufficiali, la guerra è ormai una condizione permanente. L'attuale sterminio della popolazione irakena lo conferma. Esso è voluto dagli USA per collocare – nell'opera di ricostruzione di un Paese distrutto – i propri capitali in eccedenza, ma soprattutto per appropriarsi del petrolio irakeno a scapito di altri Stati (Russia, Germania e Francia). L'aspetto preventivo di questa come delle guerre che verranno, rimanda alla volontà di impedire che emergano altre potenze (Russia, Cina, Francia, l'Europa qualora trovasse l'unità) in grado di fare concorrenza agli Usa nello scontro per il controllo del globo. La saldatura fra i capitali mediorientali e quelli dell'Euro, infatti, sarebbe, per il gendarme americano, una catastrofe. Ma la competizione rimane comunque aperta e Stati che si oppongono al massacro in Irak intervengo militarmente in altri contesti (è il caso della Francia in Costa d'avorio, cioè in un avamposto per l'egemonia sull'Africa).

Essere davvero contro la guerra non significa allora sostenere chi, condannando la prepotenza yankee, si rende responsabile di proprie iniziative imperialiste. Tutti quelli che, magari in nome della pace, reclamano un'Europa forte (con il proprio esercito in costruzione) hanno dei cadaveri in bocca.

L'Italia beriusconiana, se da una parte sostiene la politica economica europea fatta di tagli ai servizi e di aumento della precarietà e della repressione sociale, dall'altra strizza l'occhio all'apparato industriale e militare americano. I partiti e i sindacati della sinistra italiana ed europea vogliono per opportunismo cavalcare le proteste nelle piazze e ripulire così la propria faccia, sporca di sangue versato in tutta l'ex-Jugoslavia e del sudore di milioni di donne e uomini sfruttati da un lavoro sempre più disumano.


Non facciamoci illusioni: non basta una parziale e sterile opposizione alla guerra. Bisogna rifiutare questa società in cui la guerra è solo la continuazione del mercato con altre armi. Bisogna alimentare ora, nelle piazze e nelle assemblee, il desiderio di una vita diversa, libera dal produttivismo e dalla rappresentanza. Siamo espropriati di ogni volontà di decidere (come dimostrano i governi che disprezzano manifestazioni di milioni di persone). Su tale espropriazione cresce e si regge quell'apparato di guerra permanente (contro la Terra, contro la specie umana, contro chiunque si ribelli) che è l'ordine statale e capitalista. La possibilità di decidere non ce la regalerà nessuno.

Contrariamente agli slogan dell'ideologia pacifista, non è con proteste democratiche e legali che si ferma una guerra. Così si sancisce solo quella sottomissione da cui nasce la guerra. Non vi dice nulla il fatto che chi si indigna per gli scontri con la polizia, per gli atti di sabotaggio antimilitarista o semplicemente per qualche scritta sui muri viene immediatamente applaudito dai padroni, dai politici, dai bonzi sindacali, dai giornalisti, dai preti? Non vi dice nulla il fatto che chi parla di pace e non-violenza collabora tanto spesso con quelle istituzioni il cui scopo è continuare la guerra? Soprattutto da Genova in poi, il potere ripone non poche speranze sulla dilagante ideologia pacifista per isolare – culturalmente quando non fisicamente – chiunque pratichi la resistenza e la rivolta contro il terrorismo degli Stati e del profitto. Alla polizia poi il compito di fare il resto. L'opposizione reale (quella sui luoghi di lavoro, contro le fabbriche di morte, contro la repressione) lascia così sempre più il posto a una protesta astratta e inoffensiva in nome di un fantomatico "rispetto di tutte le opinioni" (come se la guerra fosse un'opinione e non una realtà materiale, prodotta da uomini e cose, cioè da un rapporto sociale). Quanto all'immondo "rispetto della legalità", occorre ricordare ancora che le peggiori violenze commesse dagli Stati sono perfettamente legali?


Non diamo ascolto alle sirene che ci invitano a fare pace con gli oppressori, con le loro leggi e i loro cani da guardia. Sabotiamo la guerra e la società che la produce. Autorganizziamo dal basso le nostre lotte per autorganizzare le nostre vite.

Rivoltosi senza patria

Lo spazio di via Bezzi 36 a Rovereto rimarrà aperto alla discussione, allo scambio di proposte, alla circolazione di materiale informativo, al costante contatto con altre realtà in lotta, ogni lunedì e giovedì dalle ore 21 (e per quanto possibile anche le altre sere della settimana). Per informazioni telefonare allo 0464-430134

[Rovereto, 1 aprile 2003]