A chi giova l’azione diretta?

Quando abbiamo letto che un negozio di un noto fascista è stato attaccato a Verona ci siamo rallegrati: dopo gli accoltellamenti e gli incendi di luglio, dopo gli innumerevoli pestaggi subiti dagli immigrati, finalmente qualche anonimo ha dato un contributo all’autodifesa attiva contro questi nostalgici del duce e servi del potere. Un’azione chiara e mirata, in un contesto ben preciso. Ma per gli amanti della politica, si sa, le cose non sono mai chiare. Così abbiamo letto il comunicato del csoa la Chimica di Verona.

In quel comunicato non ci si limita a prendere pubblicamente le distanze dal fatto in questione (“siamo stanchi di sciupare il nostro tempo e la nostra attività – che vogliamo spendere in maniera creativa e gioiosa – per rispondere a fatti da cui siamo totalmente alieni, idealmente incompatibili”, “noi l’antifascismo lo pratichiamo alla luce del sole”, eccetera), ma si va oltre: “Ci sembra strano che questo arrivi proprio dopo una campagna di richieste di sgombero della Chimica orchestrata da chi dà solidarietà agli accoltellatori di Volto San Luca”. Per poi chiedersi: “A chi fa comodo l’attentato al Camelot?”. Si insinua, insomma, che sia una provocazione.

Perché mai chi vuole servire il potere sceglierebbe un’azione le cui modalità sono assolutamente condivisibili da parte dei rivoluzionari, in una città in cui gli squadristi hanno spazi e coperture evidentissimi? Hanno avuto forse bisogno di essere attaccati, questi luridi figuri, per aggredire, umiliare, pestare? Quando mai la cosiddetta “strategia della tensione” ha usato una violenza che non fosse indicriminata o ambigua? La dietrologia è ghiotta di complotti ma ignora il semplice buon senso.

Il punto, in realtà, è un altro: quando si vuole difendere la propria immagine agli occhi delle “forze politiche”, queste prese di distanza sono necessarie. Si elogia tanto la diversità, ma si considera molto più “alieno” chi pratica l’azione diretta di chi siede in consiglio comunale. Se si fosse davvero per la diversità, infatti, perché non potrebbero essere “idealmente compatibili” le differenti forme della lotta (il volantino, la manifestazione, l’occupazione, l’attacco)?

Se invece si vuole rendersi compatibili con le istituzioni, allora ogni strumento è buono: anche la mistificazione. “Non è nostra pratica né tensione il distruggere, l’emarginare, il colpire nella notte a viso coperto”. Sfasciare il negozio di un fascista sarebbe “emarginare”?

Anche il discorso sull’aspetto notturno e anonimo dell’azione è pretestuoso. Quando un negozio di fascisti è stato attaccato di giorno, ad esempio durante l’ultimo corteo a Verona, l’azione è stata forse difesa? Quando certe pratiche avvengono in contesti allargati non vanno bene, perché si rischia di coinvolgere altri che non le condividono; quando avvengono di notte, senza coinvolgere nessuno, non vanno bene lo stesso: non si sa chi le realizza… Del resto, anche quando c’è una rivendicazione, chi ci assicura che sia autentica? Come si vede, certe forme di lotta non devono proprio esistere: né alla luce del sole né col favore dell’ombra.

Ci domandiamo allora che senso abbia la retorica sulla lotta armata partigiana (nessuno si sognerebbe certo di dire che i resistenti “emarginavano” i nazifascisti…) se poi si arriva a definire “infamanti” le accuse di avere danneggiato un covo della destra radicale. La Resistenza, altri tempi…. E allora lasciamo che gli squadristi accoltellino e incendino, limitando la risposta all’attività controculturale (cultura, si sa, vuol dire cultura di sinistra). Niente male come indicazione a tutti gli sfruttati, agli emarginati, ai ghettizzati che quotidianamente subiscono la violenza dei fascisti (e dei benpensanti). Dovrebbero essere chiaro, poi, che per i benpensanti (anche di sinistra) le dichiarazioni contro certe pratiche di lotta non bastano mai. C’è chi trova estremista anche Rifondazione.

Insomma, “a chi fa comodo l’attentato al Camelot?”. Fa comodo a chi pensa che lotte sociali e pratiche di attacco non siano affatto in contraddizione; a chi ritiene che anche la distruzione sia “creativa e gioiosa”; a chi è stufo di subire la violenza dello Stato e dei suoi servi. A chi, infine, pensa ancora che la sovversione sia incompatibile con questo mondo e tutti i suoi difensori.

17 settembre 2005

alcuni compagni di Rovereto