Comunicato del gruppo anarchico Libertad / periodico Libertad
Buenos Aires, 31 dicembre 2001

Compagni,
in seguito alle notizie che i differenti mezzi di comunicazione diffondono riguardo la situazione argentina e specialmente sulla criminalizzazione in atto dei confronti delle persone che hanno resistito e fronteggiato la repressione poliziesca, vogliamo fare arrivare dal gruppo Libertad queste note riguardo ciò che è realmente avvenuto in questi giorni.
Sebbene lo sfruttamento capitalista è sempre esistito in Argentina, negli ultimi anni la situazione dei lavoratori è andata via via peggiorando, fino ad arrivare, allo stato attuale, ad un punto mai visto prima. L'applicazione del modello neoliberista ha mostrato la faccia più selvaggia dello sfruttamento capitalista, con un altissimo livello di disoccupazione, l'educazione e la salute pubblica in uno stato deplorevole, un alto costo della vita ed i salari più bassi della storia.
Nella prima settimana di dicembre di questo anno, alcuni settori imprenditoriali, finanziari, sindacali e dell'opposizione peronista al governo di Fernando De La Rùa, fecero girare la voce di una svalutazione del peso nei confronti del dollaro, il che generò una corrida bancaria, vale a dire vennero ritirati dalle banche qualcosa come diecimila milioni di dollari, mettendo in crisi il sistema finanziario. Questa mossa dei grandi gruppi economici speculava per ottenere enormi guadagni a causa della sicura svalutazione del peso all'incirca del 50%.
Il governo e il suo ministro dell'economia Domingo Cavallo presero come misura l'annullamento di tutti i pagamenti in contanti mettendo un limite di 250 pesos (o dollari) a settimana per ogni ritiro, tra le altre misure per salvare la convertibilità e riempire il vuoto lasciato dai grandi tesorieri con il denaro dei piccoli e medi risparmiatori. La mancanza di circolazione provocò una caduta a capofitto dell'attività commerciale, dei ritardi terribili nelle banche, e la rottura nella catena dei pagamenti.
In questa situazione di mancanza di liquidità una gran quantità di pensionati non poté ritirare i propri averi, così come molti lavoratori patirono ritardi nella riscossione dei salari, inoltre non poterono riscuotere il debito per la mancanza di contanti. Il malcontento cominciò a crescere, sebbene l'unica manifestazione concreta fino a quel momento, era data dall' alta percentuale di astensioni, di voti nulli e in bianco dell' ultima elezione che arrivò all'incirca al 30% (un dato più che importante tenuto conto che il voto è obbligatorio in Argentina).
Il Partido Justicialista promosse un golpe istituzionale, appoggiato dalla C.G.T. (quella ufficiale e quella ribelle) per tornare al potere lasciato nel '99. Attraverso alcuni sui dirigenti locali incoraggiarono i primi saccheggi ai supermercati, che divennero generalizzati dopo appena due giorni. Ma la mossa gli è sfuggita di mano: lo sappiamo, chi gioca col fuoco alla lunga si brucia.
La crisi economica che vive l' Argentina, prodotto della rapina e dello sfruttamento di cui è vittima il popolo ha generato in tutto il paese una serie di risposte spontanee di rifiuto e di protesta contro la classe dirigente. Tutto è cominciato con una serie di saccheggi isolati nei supermercati del paese, ma specialmente nella provincia di Buenos Aires e Entre Rios, promossi in principio dai peronisti (facenti parte del partito Justicialista, in quel momento all'opposizione) per destabilizzare il governo di De La Rùa ( della Union Civica Radical), proprio come avevano fatto nell' 89 durante il governo di Alfonsin e che effettivamente portò alle sue dimissioni dopo la dichiarazione dello stato di assedio. La cosa, però, gli è sfuggita di mano. In un paese in cui ci sono quattro milioni di persone disoccupate e quattordici milioni che vivono in miseria e dove i negozi ed i centri commerciali ostentano nelle loro vetrine i prodotti più cari, ed i cibi più selezionati per le classi benestanti, i saccheggi si sono trasformati in una azione di massa in tutte la zone escluse; si è portato via dai supermercati tutto il necessario, dagli alimenti agli elettrodomestici.
Mercoledì 19 la polizia ha cominciato a reprimere duramente ed alcune delle grandi catene hanno scelto di distribuire buste della spesa per non essere saccheggiati (borse che costavano meno di 5 dollari ognuna rispetto ai milioni di perdita, ma neanche così passò l'effetto contagio). La situazione si faceva sempre più tesa e all'incirca alle 23 di quello stesso giorno, il Presidente De La Rùa decretò lo stato di assedio in tutto il paese per trenta giorni, la polizia era schierata e la Casa Rosada (sede del governo) ed il Congreso erano protetti da ingenti forze di polizia e da recinti. Immediatamente i cacerolazos cominciarono a suonare dalle finestre dei quartieri di Buenos Aires. Se fino a quel momento l'esplosione si concentrava nelle zone più povere, ora erano anche i quartieri della classe media ad uscire nelle strade, gli uni non avevano soldi, gli altri si, però non potevano disporne. La gente si concentrò in maniera spontanea nelle strade, dalle case scendevano donne e uomini con i propri figli, anziani, giovani ed in una forma anch'essa spontanea, cominciarono a marciare fino alla Plaza de los dos Congresos e Plaza de Mayo.
Il popolo argentino, già provato dalle miserie alle quali è stato sottomesso da anni e per la prima volta, mettendo da parte i suoi dirigenti tradizionali, si
autoconvocò per mezzo dei cacerolazos, dei passaparola, dei giri di telefonate, assemblee di strada ed attraverso la diffusione in radio e televisione delle
manifestazioni spontanee, il che generò un effetto di partecipazione attraverso il contagio. Se ciò che pretendevano con lo stato di assedio era che nessuno si muovesse dalle proprie case, ottennero tutto il contrario. Ma quello che cominciò come una manifestazione pacifica al grido di sfida "che se lo mettano in culo lo stato di assedio", che fece rimbombare la città con il suono dei cacerolas ed i clacson delle auto e dei taxi che decisero di unirsi, terminò verso le 3 di mattina in una fumata di gas lacrimogeni e palle di gomma, distruzioni e centinaia di arresti e con le dimissioni del Ministro dell'Economia (in carica anche durante una tappa della dittatura e sotto la presidenza di Menem, il padre della convertibilità peso-dollaro) Domingo Cavallo.
La mattina seguente, Plaza de Mayo si riempì nuovamente di gente. Cominciò di nuovo come un atto pacifico e insieme ai cacerolazos vi erano anche pensionati e
bambini. Oltre allo stato di assedio ora si ripudiava anche la repressione del giorno precedente. Le grida di disprezzo coinvolgevano tutti i partiti politici, compresa l'opposizione di sinistra e non fu permesso (come nemmeno la notte precedente né successivamente) a nessuno di esporre alcun tipo di bandiera o striscione di partito. Il MAS, PTS, PO e Izquierda Unida (PC e MST) tennero un comportamento vergognoso, mantenendosi ai margini dei fronteggiamenti con la polizia e frenando chiunque intendesse compiere delle azioni di danneggiamento, sebbene diversi militanti di questi partiti non resistettero al contagio e vi parteciparono individualmente, a dispetto dell'immobilismo delle proprie organizzazioni. Entrarono in azione diversi gruppi organizzati, senza alcuna identificazione partitica, ed anche moltissimi compagni anarchici. In Plaza de Mayo il rifiuto era diretto anche nei confronti dei dirigenti sindacali (vere mafie organizzate ed in maggioranza peroniste), il settore imprenditoriale (comprese le banche), tutti i politici ed i funzionari tanto del Governo come dell'opposizione, e le forze della repressione. De La Rùa si trovava nella Casa Rosada ed a mezzogiorno diede l'ordine di ripulire la piazza. La carica si scagliò contro la gente sbattuta in prigione a mazzate e trascinata per i capelli. Per tutta la sera la gente ha resistito in piazza. I manifestanti bloccarono gli accessi scontrandosi con la polizia, mentre, al centro, le Madres de Plaza de Mayo, che come ogni giovedì facevano il giro, ed alcuni gruppi politici furono violentemente sgomberati dalla polizia. Verso le 18 il centro di Buenos Aires era diviso in due, dalla Avenida 9 de julio a Plaza de Mayo la polizia era riuscita a prendere il controllo, e dall'Avenida fino al Congreso la gente riempiva le strade ed alzava barricate. Nella Avenida 9 de julio continuavano gli scontri nel mezzo del fumo delle barricate e dei gas lacrimogeni, sotto il rumore dei motoqueros che passavano in gruppo prendendosi gioco della repressione. Arrivavano blindati e camionette piene di poliziotti che sparavano dai finestrini, con moto, blindati e camion con gli idranti. Ma, malgrado la repressione, la gente si rifiutava di abbandonare le strade, compreso nei dintorni di Plaza de Mayo, totalmente assediata. Già si sapeva che sette giovani erano stati assassinati a colpi di pallottole. Dai balconi tiravano secchiate d'acqua e limoni per aiutare los encapuchados che resistevano (i vecchi ed i bambini si erano già allontanati) ed il clima era di vera comunanza tra la gente, che continuava ad arrivare. Le forze di sicurezza erano
riusciti a malapena a controllare il microcentro (malgrado la gente si difendesse soltanto con pietre e palizzate) ma non giunsero mai a controllare i manifestanti che continuavano, nei dintorni, a distruggere e saccheggiare i simboli ed i maggiori esponenti del sistema capitalista: banche, uffici pubblici, della polizia, AFJP (compagnia di assicurazione privata delle pensioni) e ART (Assicurazioni dei rischi del lavoro), uffici commerciali della compagnia di elettricità EDESUR, McDonald's, Blockbuster, la catena di discoteche Musimundo. Le Avenide di Mayo e Corrientes mostravano un aspetto insolito nel fuoco e la distruzione. Verso le 19:30 le dimissioni di Fernando De La Rùa divennero pubbliche, ma gli scontri ed i saccheggi nel centro città continuarono fino al calar della notte.
Il risultato dopo le giornate del 19 e 20 dicembre fu il seguente: 30 morti (la maggior parte durante i saccheggi a causa degli spari dei commercianti ed
altrettanti nei dintorni di Plaza de Mayo a causa della polizia; la maggior parte aveva una ventina d'anni, ma sono morti anche un uomo di 57 anni ed una
bambina di 13), centinaia di feriti, 3200 detenuti e torturati nei posti di polizia (molti dei quali ancora in carcere), 200 saccheggi o più a supermercati,
1000 milioni di dollari di perdita per le compagnie che sono state attaccate, i cui giganteschi introiti sono in gran parte causa della miseria popolare. Le
sollevazioni sono avvenute in tutto il paese e si moltiplicarono ancor di più quando arrivavano le notizie della ribellione civile a Buenos Aires.
Nel resto del paese, nella Capitale e nel territorio del Gran Buenos Aires i saccheggi sono continuati ed anche la repressione poliziesca. Nel pieno della
contesa, mentre migliaia di manifestanti volevano arrivare al centro della città, entrambi le centrali sindacali cominciarono uno sciopero generale a tempo
indeterminato, non al fine di cavalcare la protesta popolare, ma per far si che -con lo sciopero dei trasporti- i manifestanti non potessero arrivare al centro
della città. La CGT, uniformata per sindacati sudditi del peronismo ed al servizio del padronato, non esigeva una rivoluzione ma un colpo di stato
democratico e legalista al fine di portare al potere il Partido Justicialista.
I peronisti male interpretarono il messaggio del popolo: la protesta era diretta anche contro di loro, i leader sindacali, gli impresari, le banche ed il Fondo
Monetario Internazionale. I sorrisi di giubilo di Menem, Duhalde (ex governatore della provincia di Buenos Aires), Rodriguez Sàa (nuovo presidente eletto dal
Parlamento), Ruckauf (governatore di Buenos Aires) ed altri gerarchi del Justicialismo cominciarono a scomparire la notte del 28 dicembre quando, dopo
alcuni giorni di apparente calma in cui si sperò nel cambio, un altro cacerolazo spontaneo finì con la repressione poliziesca.
La sera di quel giorno, nella stazione ferroviaria di Once, nella Capitale Federale, diversi convogli di treni furono incendiati, i pompieri della polizia
e gli uffici presi a sassate dalla gente. Furia scatenata dalla lunga attesa e dalla non restituzione del costo della tratta dopo aver scoperto che il servizio
era stato interrotto, a causa di un conflitto corporativo che, d'altra parte era scoppiato al di fuori della struttura sindacale. In aggiunta a questo il nuovo
presidente aveva collocato nei posti di governo ex funzionari costretti ad abbandonare gli incarichi, nella passata decade, per le denuncie di corruzione,
ai tempi in cui lui stesso subiva le stesse denuncie. La gente scese nelle strade indignata, per ciò che apparse come una burla e si concretizzò in un
chiaro esempio di mancanza di intelligenza politica. Nuovamente il cacerolazo spontaneo e la gente che si concentrava di fronte al Congresso ed alla Casa
Rosada. Il principale accusato di corruzione, Carlos Grosso, si dimise, ma la notte portò a diverse decine di arresti e alcuni feriti. Durante gli scontri fu incendiata l'ala est del Congresso dai manifestanti che riuscirono ad entrare ed a portare in strada la mobilia ed altri simboli che furono immediatamente incendiati. Alla polizia non andò tanto bene. I manifestanti ferirono una dozzina di repressori a sassate, mazzate e bastonate provocandogli fratture in tutto il corpo; stavolta i feriti gravi toccavano a loro. Anche in questa circostanza la manifestazione fu autoconvocata, non vi furono bandiere partitiche e vi fu una partecipazione attiva di molti compagni anarchici.
Sebbene negli incidenti non vi siano stati morti, lo Stato non poteva andar via a mani vuote: nella notte del 29, quando gli incidenti volgevano al termine, tre
giovani sono stati assassinati da un poliziotto in pensione. L'assassino di Maxi, Christian e Adrian -un ex autista del tiranno Jorge Videla- li ha fucilati
in un bar nel quale il poliziotto vigilava, perché mentre vedevano le immagini dei manifestanti che colpivano uno in uniforme, commentarono con soddisfazione
il fatto che stavolta toccava a loro prenderle. Quando il poliziotto macellaio, di nome Belastiqui, lì udì, li assassinò all'istante, li trascinò fuori dal bar,
gettò un coltello vicino i loro corpi e dichiarò di essere intervenuto per sventare una rapina. Il quartiere di Floresta, indignato per il crimine nei
confronti dei tre giovani, voleva linciare il cane assassino, ma i suoi camerati d'arma lo difesero, scatenando un'altra battaglia campale nel quartiere, che
finì senza altre vittime designate. I giovani assassinati godevano di una profonda stima in tutto il quartiere, erano clienti abituali del bar e non
avevano neppure partecipato ai violenti scontri di quel giorno. Maxi, Christian e Adrian avevano tra i 23 ed i 25 anni.
Il presidente Rodriguez Saà promise in sette giorni l'irrealizzabile, si riunì con tutto il quadro politico di destra e di sinistra, compresi i piqueteros, i sindacalisti della CGT, i combattivi (CCC) e le Madres de Plaza de Mayo di Hebe de Bonafini. Questo collage si disintegrò con le dimissioni di Rodriguez Sàa il 29 di dicembre ed il suo secondo, Puerta, rifiutò l'incarico. Eduardo Duhalde, noto repressore ed autoritario della prima ora, è stato eletto nuovo presidente dal Parlamento il 1 gennaio. Nella sua proposta economica si annuncia una svalutazione controllata che ridurrà i salari reali di un 20 - 30%. E' di nuovo il popolo a pagare la crisi. Nel frattempo diverse centinaia di manifestanti restano detenuti nelle carceri e nei commissariati di tutto il paese.
La situazione attuale resta esplosiva. Le basi hanno scavalcato i loro dirigenti (ora certamente pentiti d'aver incoraggiato la disobbedienza civile ed i saccheggi). Nessun politico, dirigente sindacale o imprenditore gode di prestigio in Argentina. Il popolo è stanco di subire la miseria e i furti ai quali è sottoposto giorno dopo giorno. Le parole d'ordine sono: "in Argentina non si ruba mai più" e "che se ne vadano tutti, che non ne rimanga nemmeno uno".

Il momento che si vive in questo paese è l'inizio di un processo che non sappiamo come si concluderà. Insieme alla furia vi è uno stato di euforia, ed una nuova forma di identità sta nascendo tra NOI e LORO. Da una prospettiva anarchica vediamo che questo è un momento molto propizio per la diffusione delle nostre idee.

Chiediamo a tutti quei compagni che vogliono solidarizzare con la nostra lotta, così come con i compagni detenuti, di comunicarlo attraverso i nostri indirizzi
postali:

Libertad, CC N°15, 1824 Lanus Este, Buenos Aires, Argentina.
e-mail: saludyanarquia@LatinMail.com e saludyanarquia@ciudad.com.ar

Cruz Negra Anarquista dell'Argentina:
cruznegra_argentina@yahoo.com.ar

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