Il volto umano che si tenta di dare all’istituzione carceraria non riesce più a nascondere le torture e le atrocità che abitualmente vi accadono.

Le carceri traboccano di diseredati, di gente sradicata e isolata, finanche rassegnata alle punizioni che la società continua ad infliggergli e l’isolamento carcerario è una condizione vissuta da ogni detenuto. I direttori delle carceri sono ormai una figura professionale, un ibrido tra un poliziotto e un imprenditore: ricoprono piena autorità sul regolamento interno e favoriscono l’ingresso delle imprese che si arricchiscono del lavoro dei detenuti o anche solo della loro incarcerazione attraverso appalti interni. L’uso prolungato e sistematico della carcerazione preventiva si realizza per tutti in una condanna in attesa di giudizio.

Nel luogo più alienante che la società abbia saputo costruire, il carcere, esiste un altro posto dove sopravvivere vuol dire affrontare ulteriori umiliazioni, abusi e torture, questo è il carcere speciale, il carcere nel carcere. Nato come art. 90, per volontà del generale Dalla Chiesa, al fine di inasprire le condizioni dei detenuti rivoluzionari, evolutosi in 41bis ed esteso ai cosiddetti mafiosi, è ormai sempre più usato nei confronti di quei detenuti considerati pericolosi, indisciplinati o che semplicemente lottano, anche in carcere, per la loro dignità.

Torture come quelle di Abu Ghraib, privazioni fisiche e sensoriali, isolamento, sono le realtà che stanno dietro ai termini come 41 bis e Elevato Indice di Vigilanza nelle carceri italiane, moduli F.I.E.S in Spagna, celle di tipo F in Turchia e che trova le sue origini negli anni ’70 e nella strategia repressiva utilizzata dal governo tedesco nei confronti della R.A.F.

Negli ultimi due anni, in Italia, sono stati messi a regime di 41bis i nuovi prigionieri BR, condannati per gli omicidi Biagi e D’Antona, ciò vuol dire che non possono ricevere lettere, che i colloqui non durano più di due ore al mese e che la loro condizione è d’isolamento in cella spoglia per 23 ore al giorno. Non succedeva da trent’anni.

I detenuti BR del carcere di Biella, con già una lunga pena alle spalle, hanno subito l’anno scorso un blocco della ricezione di libri e riviste di qualsiasi tipo, attuato dal direttore del carcere su pressione del ministro di grazia e giustizia Castelli.

Sempre negli ultimi due anni, quattro indagini nei confronti di anarchici hanno obbligato alcuni di loro all’isolamento preventivo e ad altre svariate restrizioni. Tutti sono stati dispersi sul territorio in carceri lontane dai loro luoghi di provenienza.

Questi sono solo alcuni esempi del trattamento riservato a chi, nel tempo e nonostante la dura repressione, continua a mostrare alla società il forte sentimento di ribellione nei confronti di un sistema basato esclusivamente su logiche di mercato e di potere.

Le diverse scelte strategiche dei compagni e delle compagne prigionieri, e la prassi che ne consegue, possono essere oggetto di discussione e critiche all’interno del movimento rivoluzionario, ma ciò che a noi preme oggi è parlare dei prigionieri rivoluzionari, parlare di coloro che agiscono per un mondo degno di essere abitato, non solo per se stessi, ma per tutti e tutte gli sfruttati e le sfruttate del presente e per le generazioni del futuro perché in questa lotta rivoluzionaria il nemico presenta conti sempre più salati a chi non si rassegna, a chi non ha paura di dimostrare e praticare la solidarietà, a chi determinato attacca gli uomini e le strutture del dominio.

Per non isolare i prigionieri dalle lotte, perché tutto questo non rimanga circoscritto ai soli che già sanno come si vive in carcere, è nostra intenzione essere solidali ricostruendo attraverso la raccolta di documenti originali e rassegne stampa, la storia di inchieste recenti che coinvolgono diversi prigionieri rivoluzionari, per fornire alle persone informazioni e strumenti critici non viziati dai giochi di potere che muovono la stampa autorizzata. Perché chi accetta la società carceraria non possa più nascondersi dietro la scusa della “pena riabilitativa” e del “carcere modello”, e non possa più illudersi di risolverne i problemi con un pietoso indulto o un’amnistia a celebrazione dei potenti.

Non lasciamo sole queste persone, costruiamo la solidarietà dentro e fuori.

Contro l’isolamento lottiamo assieme per un mondo senza sbarre.

In solidarietà a tutti i prigionieri e prigioniere in lotta, contro il 41bis.

 
 

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