Il problema della produzione di energia, e del nostro modo di vita che si traduce in un bisogno insensato di energia, si pone con sempre maggiore urgenza. L’utopia delle energie alternative rinnovabili gioca un ruolo fondamentale nel frenare ogni possibile riflessione sulla realtà della società industriale.

Dovrebbe oramai essere risaputo che l’odierno sistema sta distruggendo irrimediabilmente le condizioni di esistenza sul pianeta. La domanda che persone preoccupate del proprio ambiente e dei suoi equilibri dovrebbero iniziare a porsi a questo proposito è: «Energia per fare cosa?». Giacché, ponendosi nell’ottica che «Occorre dell’energia: eccone di pulita» significa porsi deliberatamente all’interno del quadro della società industriale, fingendo di credere che il “modo di vita” che essa promuove sia del tutto naturale, gradevole e ponderato nell’uso delle sue risorse. In questo modo non si fa che occultare che proprio questa società e i suoi mezzi di produzione rappresentano il problema.

Ma è così difficile riuscire a vedere cosa stiamo realmente facendo al pianeta, e che l’attuale modo di vita, particolarmente dispendioso in materia di energia, pregiudica ovunque l’esistente? Prima di preoccuparsi di trovare dell’energia in abbondanza bisognerebbe innanzitutto sapere più precisamente per cosa essa sarà utilizzata, e soprattutto rendersi conto che questo tipo di mondo e i suoi problemi non sono i nostri. Perché i termini in cui la società industriale impone i suoi problemi, per giustificare la sua esistenza e il suo “sviluppo sostenibile”, non sono gli stessi degli individui spossessati come noi, ma piuttosto quelli dei dirigenti e degli amministratori del presente. Termini che giocano il ruolo di accomunare tutti, sfruttatori e sfruttati, sul terreno della gestione del sistema, delle sue nocività e delle sue catastrofi. Impedendo che la riflessione possa spostarsi invece sul terreno della trasformazione sociale, vale a dire di una appropriazione da parte di individui e comunità delle pratiche che consentono di fare a meno, per quanto possibile, di questo sistema e di cercare di uscirne. Ciò che invece dovrebbe essere il nostro campo di riflessione. E sulla questione dell’energia, l’obiettivo di chi ha veramente a cuore la sorte del pianeta non dovrebbe essere soltanto quello di trovare con cosa sostituire le centrali intossicanti, ma anche quello di sperimentare e di riflettere su pratiche in cui l’energia non rappresenterebbe più quella grandezza astratta a cui si consente di fare qualunque cosa ma piuttosto sarebbe, ad esempio, la misura dell’adeguamento dei rapporti tra gli individui e il mondo che li circonda . È a partire da un tale punto di vista che ci si può cominciare a porre delle buone domande – a proposito dell’energia come del resto – e gettare un ponte verso una società rispettosa dell’attività umana, individuale e collettiva, e non più sulla base di megamacchine, automi, esperti e tecnocrati, fossero anche “ecologisti”.

È una menzogna pretendere che si potrebbe avere l’attuale modo di vita con le energie rinnovabili, o che sia possibile una società industriale “pulita”.

Se passiamo a guardare nello specifico all’eolico, innanzitutto bisogna iniziare col dire che è più corretto parlare di eoliche industriali perché queste macchine sono gigantesche e possono essere fabbricate e messe in funzione soltanto da grossi gruppi industriali; non hanno dunque rigorosamente nulla a che vedere con una riappropriazione individuale o sociale della produzione di energia. Si tratta di una appro-priazione privata, quand’anche i poteri pubblici la regolamentino.

Ma se le eoliche industriali di sicuro non servono all’ambiente e ancor meno alla libertà degli uomini e delle donne o all’autonomia delle loro comunità, possiedono invece una funzione ideologica.

In questi ultimi tempi, non sono mancate le catastrofi generate dal modello di produzione industriale e, di conseguenza, il consumatore ha bisogno di essere rassicurato. Vedere delle eoliche sul ciglio della strada o prima di entrare in una zona industriale può contribuire a rasserenarlo. Se è un progressista potrà parlare di “sviluppo sostenibile” ai propri bambini sui lunghi e invadenti tracciati asfaltati mentre accende l’impianto di climatizzazione della sua fuoriserie. E tutto ciò con buona coscienza… Che in alcuni casi la loro costruzione sia auspicata da gente sinceramente preoccupata della preservazione dell’ambiente è cosa che potrebbe essere vera; va semplicemente sottolineato che la soluzione che propongono è un’illusione fintantoché non mettono in discussione il sistema di bisogni che questa società ha creato, innanzitutto per far circolare le proprie merci.

Un altro aspetto della funzione ideologica di queste macchine lo si vede nell’uso del termine parchi eolici. I loro promotori non potevano parlare di “centri di produzione di elettricità eolica”, dato che sarebbe suonato troppo tecnocratico. Ma “parchi eolici” suona più bucolico ed ecologista. Del resto, sono i soliti gruppi industriali che hanno costruito le raffinerie di petrolio, le centrali nucleari, creato gli OGM e molte altre porcherie, che ora cercano di “inverdire” la loro immagine.

Per concludere: le eoliche industriali non servono alla terra, servono solo a sostenere l’ideologia del dispotismo industriale. Non risparmiano la natura, piuttosto permettono di risparmiare la coscienza.

Se vogliamo affrontare il pericolo di morte che la società industriale fa correre all’umanità e al pianeta intero occorre opporsi nettamente alla prosecuzione del suo sviluppo.

 
 

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