Adesso - Foglio di critica sociale - Rovereto, 9 marzo 2004 - speciale

E QUESTA FIAMMA, NON SI SPEGNERÀ CHE CON LA VITA

Questo numero di Adesso è come un dono offerto per ringraziare di un prezioso dono ricevuto. Si tratta di una lettera che ha una lunga storia, scritta da un nostro compaesano più di sessant’anni fa. Il suo autore si chiamava Emilio Strafelini.

Nato a Rovereto nel 1897 da famiglia piuttosto ricca, Emilio, ribelle e amante del sapere, nel 1915 è già disertore dell’esercito austrungarico (il Trentino sarà annesso all’Italia solo dopo la prima guerra mondiale). Nel 1916, a Roma, entra nel Partito Socialista Italiano. Convinto antimilitarista, ritorna a Rovereto solo nel 1919, anno in cui fonda assieme ad altri compagni la sezione roveretana del P.S.I. Collaboratore dell’Internazionale, consigliere della Camera del Lavoro e della Fraternità Sociale, Emilio conosce assieme a tanti altri le prime violenze delle squadracce fasciste, le quali devastano per ben due volte la locale Camera del Lavoro (in piazza Rosmini). La sede, punto di ritrovo degli antifascisti roveretani, diventa la casa paterna di piazza S.Marco. Perseguitato e senza lavoro, dopo un primo arresto a Milano, Emilio si rifugia in Francia nell’Isère, quindi a Lione, a Terrenoire fra i minatori di carbone, poi a Saint-Etienne fra i vetrai. Segretario per la Loira del Comitato intersindacale della C.G.T.U. (la Cgil francese), firma il manifesto dei sindacalisti all’estero contro il fascismo. Alla fine del 1925 rientra clandestinamente in Italia, allo scopo – sembra – di attentare alla vita di Mussolini, come hanno cercato e cercheranno di fare, purtroppo invano, numerosi altri anarchici. Scoperto a Roma nel 1927, viene bastonato a sangue e seviziato durante gli interrogatori della polizia fascista. Condannato a cinque anni di confino, li trascorre a Lipari. Da sempre animato da spirito libertario, Emilio è su posizioni apertamente anarchiche. Nel 1932 torna a Rovereto, sorvegliato speciale e diffidato. Sottrattosi ai controlli, è attivo in Vallagarina per organizzare clandestinamente una sezione locale dell’Unione Sindacale Italiana, il sindacato libertario messo fuori legge nel 1925. Da un rapporto che Emilio indirizzerà – da Parigi, nell’agosto del 1933 – all’Associazione Internazionale dei Lavoratori tramite il Comitato d’emigrazione della capitale francese, si capiscono sia la febbrile attività sua e dei suoi compagni sia la situazione sociale di Rovereto. Diffusione di manifesti clandestini, agitazione nelle fabbriche e nelle campagne contro il tesseramento nei sindacati fascisti, contro le tasse, i pignoramenti e le aste degli oggetti sequestrati ai poveri. In una fabbrica affiliata al gruppo Pirelli trentuno operai sono licenziati per aver rifiutato il contributo al sindacato fascista; solo due tipografi su sessanta accettano la tessera. La sezione di Rovereto è in contatto con quelle di numerose altre città italiane, attive nonostante gli arresti, il confino e il numero crescente di esiliati. Cerca persino di creare una tipografia clandestina ai Molini di Nogaredo. In questo rapporto, Emilio allega una nota (che riportiamo dopo la lettera) sulle azioni armate anarchiche contro il fascismo dal 1923 al 1933.

Rischiando di essere arrestato, Emilio, nell'aprile del 1932, si rifugia appunto in Francia passando dall’Austria e dalla Svizzera. Membro dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori e della Concentrazione Antifascista, è amico e collaboratore dei gruppi clandestini di "Giustizia e Libertà", l’organizzazione fondata dai fratelli Rosselli. Nel 1936 è tra i primi ad accorrere in Spagna a difendere la rivoluzione anarchica contro gli eserciti di Franco, Hitler e Mussolini. Saranno diciassette i trentini a partire nelle Brigate garibaldine. In Spagna, Emilio, militante del sindacato libertario C.N.T., conosce, oltre al terrore franchista, i tradimenti e le fucilazioni di anarchici e comunisti non ortodossi da parte dei sicari staliniani, i quali temono una rivoluzione anarchica ben più di quanto non temano la vittoria di Franco (non a caso nel ’39 ci sarà il famoso patto tra Hitler e Stalin). Dopo la disfatta antifascista in Spagna, Emilio si rifugia, assieme a moltissimi miliziani (così si chiamavano i combattenti spagnoli) in Francia, dove ad attenderli ci sono i repubblicani… campi di concentramento. Emilio sarà internato prima ad Argeles s. M., poi a Gurs. È proprio dal campo di concentramento di Gurs che egli scrive questa lettera. Imprigionato, il 6 giugno 1940, a Dunquerke dai nazisti, viene portato a Bruxelles e poi a Trento. Qui, dopo cinque mesi di detenzione, viene condannato a cinque nuovi anni di confino, quindi deportato nell’isola di Ventotene. Invitato di continuo a far atto di sottomissione al regime, rifiuta sdegnosamente. Dopo l’8 settembre del ’43, non riceve alcun condono da Badoglio e viene inviato – assieme a 190 compagni indesiderabili sia per i fascisti sia per gli antifascisti di partito e di governo – a Gaeta e poi nell’infame campo di Renici (San Sepolcro). Riesce a fuggire e raggiunge Livorno, dove con i compagni dell’Ardensa e di Empoli comincia la resistenza armata contro i nazi-fascisti. Arrivato in Trentino, fonda il Comitato di Liberazione Nazionale di Zambana (località sopra Trento). Nel 1945 è segretario generale della Camera del Lavoro. Nel 1948, pur animato ancora da spirito libertario, si presenta alle elezioni nelle file del Fronte Democratico Popolare, un raggruppamento di vari movimenti e partiti di sinistra. Crede che il grande fermento sociale spinga la politica di palazzo lontano dalle clientele e dal conservatorismo, ed è pronto a portarvi il proprio contributo non-conformista e ribelle. Ma così non è. I capitalisti hanno cambiato in fretta bandiera per continuare a sfruttare, i giornalisti sono i vecchi servi del regime riciclati, i fascisti rimangono nelle questure e nelle caserme. Vince la Democrazia Cristiana, ed Emilio, sempre più stanco e disgustato dal collaborazionismo di una sinistra che intona il funesto canto della "ricostruzione nazionale", è impegnato in una personale battaglia contro… la fame. Per qualche tempo lavora come custode in un museo di Trento. Muore a Fai della Paganella, nel dicembre del 1964.


Qualche parola a proposito della lettera. Si tratta di una missiva personale a Lionello Buffato, antifascista roveretano e militante del Pci. Dopo aver conosciuto il carcere, la diffida e per due volte l’"ammonizione" della Questura – un provvedimento in base al quale era vietato frequentare locali pubblici, uscire di casa prima dell'alba e dopo il tramonto e persino camminare sul marciapiede – Lionello decide, nel 1938, di rifugiarsi in Francia con la moglie e il piccolo Uliano (di qui il riferimento a «le centinaia di piccoli Uliani» nella lettera di Emilio). Lionello – che assieme ad altri compagni aveva nascosto Emilio ai Molini, dopo che questi si era sottratto alla sorveglianza fascista, e lo aveva aiutato ad espatriare – cerca di mettersi in contatto con lui una volta arrivato a Parigi. Ma Emilio è in Spagna. Solo l’anno dopo riuscirà a rintracciarlo nel campo di concentramento di Gurs. Questa è la risposta alla seconda lettera di Lionello. Una corrispondenza densa di riferimenti vissuti e storici (il cenno a Livorno rinvia alla costituzione del Pci, fondato nel 1921 nella città toscana), e contrassegnata dai vezzi dell’epoca («Staline», ad esempio, scritto alla francese, o «tzarismo»), eppure in grado di parlarci ancora, più di sessant'anni dopo. Si tratta di una lettera che, come le altre, non è mai stata pubblicata.

Ce l’ha donata Lionello, novantasei anni, tipografo, antifascista indomito, «comunista di educazione anarchica», come si definisce, ricordi lucidissimi, parole e vita che sono uno sprone all’azione e alla bontà. È un dono prezioso, un omaggio alla memoria dell’anarchico Emilio Strafelini.

Lo offriamo ai diffidati, ai sorvegliati speciali, agli espulsi, ai prigionieri di questa democrazia «nata dalla Resistenza», perché sappiano affrontare queste ed altre battaglie, disertori nella rivolta e nella libertà.

Lo offriamo anche a chi si prostra alle attuali ortodossie – politiche o di mercato, poco importa –come all’epoca altri si prostravano al potere degli Stalin, perché rifletta.

Agli autoritari che ciarlano di anticapitalismo, ma che non hanno mai voluto vedere ciò che gli anticapitalisti conseguenti avevano visto perfettamente sessant’anni (e più) fa, scagliamo sul viso la fierezza antiautoritaria di chi ci ha preceduto sui sentieri della rivoluzione anarchica.


Insuscettibili di ravvedimento

Fedeli nei secoli. Si tratta, come noto, del motto dei carabinieri. Motto davvero appropriato se è vero che gli uomini dell’Arma (ma la cosa si può estendere a tutte le forze dell’ordine), da Giolitti a Mussolini, dal fascismo alla democrazia, hanno sempre difeso il padrone di turno, fedeli ogni volta allo Stato e alla classe dominante. Ricordo che un carabiniere, tanti anni fa, mi disse: «Guardi che noi non abbiamo nessun pregiudizio contro gli anarchici. Se al potere foste voi, noi vi serviremmo, è la maggioranza che decide». A parte la sua evidente idiozia (gli anarchici rifiutano ogni potere e la maggioranza, è risaputo, non decide un bel niente), quella frase rendeva bene l’idea. «Gli ordini non si discutono, si eseguono».

Lo stesso discorso, in quanto a continuità storica, vale per le leggi. Molte norme introdotte dal fascismo contro i ribelli sono ancora in vigore, talvolta con gli stessi nomi («associazione sovversiva» «incitamento all’odio fra le classi sociali» «apologia sovversiva», eccetera), talaltra con nomi diversi.

Un buon esempio è quanto è successo negli ultimi mesi a Rovereto. A dicembre 11 anarchici – tutti residenti in comuni limitrofi, come Isera e Villalagarina – si sono visti notificare un foglio di via per tre anni dalla città. Persino un ragazzo che frequenta il locale liceo è stato raggiunto dallo stesso provvedimento. Proprio come ai tempi del Ventennio, basta essere definiti, anche in assenza di condanne e finanche di denunce, «insofferenti alle leggi» per venire banditi per anni. Si tratta di misure di polizia che lo Stato applica quando non trova altre soluzioni repressive. Chiunque risulti indesiderabile – si tratti di dissidenti, di prostitute, di tossicodipendenti o di giramondo – può essere allontanato anche solo perché, a detta della polizia, «non ha alcun motivo per soggiornare» in una città. Si tratta di misure che potrebbero riguardare chiunque abbia una vita un po’ più movimentata di un perfetto conformista. Nel caso degli anarchici si vuole bandire una presenza scomoda, non potendo ancora arrestarli tutti o mandarli al confino. Due compagni, uno spagnolo e uno svizzero, sono stati addirittura espulsi a vita dall’Italia (potere che nessun questore, in teoria, avrebbe). Qualche ricorso ha temporaneamente sospeso i fogli di via, altri sono stati confermati, altri ancora saranno esaminati a breve. Pur essendo inserite in un clima repressivo più generale, a Rovereto come nel resto d’Italia, queste misure sono state il biglietto da visita e la lettera d’addio di Colucci, il massacratore e torturatore del G8 (all’epoca questore di Genova e massimo responsabile della piazza) divenuto poi questore di Trento. Per non essere da meno, il suo successore D’Agostino si è fatto subito conoscere, prima difendendo un direttore di banca che aveva reagito con le armi a un tentativo di rapina, poi caricando a freddo un presidio di studenti contro la Moratti. È al nuovo questore che si devono altri provvedimenti contro gli anarchici. È in corso contro una ventina di loro la notifica di quella che i fascisti chiamavano diffida (come si legge nella nota su Lionello ed Emilio) e che il sistema democratico chiama, a dispetto di ogni logica grammaticale, «avviso orale» (che però è… scritto). Il questore, con questa ammonizione, in realtà ti diffida dal perseverare nella tua condotta «insofferente alla leggi», «riprovevole», «tendente alla devianza e al crimine», eccetera, altrimenti minaccia varie forme di «sorveglianza speciale» (eccola di nuovo, limpida, la formula fascista!). Chissà se potremo continuare a camminare sul marciapiede. Che dire? Cercheremo anche noi, nel nostro piccolo, di meritare il giudizio che le autorità in camicia nera riservavano ai ribelli irrecuperabili come Emilio: «insuscettibile di ravvedimento».


Campo di Gurs 1-8-39

Caro Lionello,

la corrispondenza che lega e conforta idealmente i lottatori, i soldati d’una medesima idea è cosa sacra, e non ci può essere né prigioniero, né pidocchioso miliziano, che non saluti con sussulto di gioia l’arrivo d’una lettera, d’un rigo. Né l’ignavia, né l’ozio mi tarlano; perciò grazie e subito rispondo.

Io non sono e non sarò mai settario. Osserva e nota ch’io non sono mai categorico, dogmatico, assiomatico nelle mie affermazioni; espongo semplicemente il mio molto modesto giudizio, il mio pensiero.

Per me, l’individuo dev’essere una molecola animata d’un’energia propria. Su comando, per ordine, non esiste né genio, né talento. L’arte stessa vive di libertà, di licenze, d’esperienze fracassate o di successi, di fantasie individuali.

Quando penso a Staline vedo lo spettro dello tzarismo, anzi, l’autocrazia medievale d’Ivan il Terribile. Il marxismo di Marx e di Engels non è una filosofia sociale. È una religione: una religione secolare, un materialismo deificato. Del messianesimo. E questo carattere speciale è dovuto all’origine ebrea di Marx. Era un profeta in possesso d’una certezza, al punto d’adoperare l’eloquenza feroce della Bibbia. Attendeva l’età dell’oro, dell’uguaglianza, il paradiso sulla terra, e la rivoluzione, il fuoco, il sangue gli parevano legittimi e necessari per fare forzosamente la felicità dell’umanità. Premessa questa mistica, Marx fondò il suo sistema economico e la sua lotta di classe. Non distrugge il capitalismo, lo conserva e lo trasferisce allo Stato-paradiso, annullando la proprietà e la libertà individuale. Il marxismo sorpassato o smentito per molti fatti del mondo moderno, non si modifica o si corregge, perché è una religione; e come tutte le religioni, il marxismo ritiene eretici coloro che lo smentiscono, e deforma atti ed esseri per adattarli ai suoi bisogni. Sempre meno sperimentale, inventa miti ideologici. Sono astrazioni i tipi "borghese" e "proletario" come il "buon selvaggio nato virtuoso e corrotto dalla società", di Bernardin e di Jean-Jacques. La vita non offre esempi esatti e molti casi sfuggono a una psicologia sociale così sommaria.

Lenin è venuto da Marx e per essere nato molto dopo l’Inquisizione, non è stato né meno fanatico, né meno ferocemente convinto della necessità di punire le anime ribelli ed apostate col ferro e col fuoco.

La Russia tiene i suoi santi rivoluzionari… e l’icona delle icone è la mummia di Lenin offerta alle genuflessioni della folla. Una religione che esclude ogni carità. Lenin ha sempre esecrato i filantropi, i consolatori, i benefattori come esseri ipocriti che ritardavano la formazione del suo paradiso; dovuto, dopo i massacri, alla forza inevitabile della sola dialettica.

Staline ha abbandonato questa mistica ed instaurato un neo-tzarismo: ha proscritto o sterminato i trotzkisti, i capi, i collaboratori di Lenin ecc. con inflessibile crudeltà.

Ma al bando le polemiche.

E… questo famoso proletariato, che fece di pratico per la Spagna? E… non si conoscono le fucilazioni in massa in Catalogna ed altrove? E… quando per questi motivi e per altri più gravi, in Parigi, la S.I.A. invitò ad un comizio-protesta, quanti furono i partecipanti? Un 2000; ma quasi un milione, corsero ad applaudire la parata militare del 14 luglio. Qui sta il grano: l’effetto. Questo è il senso internazionale di classe, inculcato sotto l'influenza della propaganda staliniana, social-patriota e di preparazione alla guerra imperialista.

E… non ti parlo della guerra di Spagna. Quello che ho visto laggiù è terribile. Puoi credermi, perché ti parlo triste ma col cuore in mano. Tu sai ch’io ho cercato sempre l’unione: a Livorno, e dopo, sempre. Ma con rispetto reciproco, e senza pugnalate a tradimento. Credo nel socialismo, ma senza compromessi, senza opportunismi, senza credere che i borghesi mi aiuteranno a realizzarlo. Solo da noi dipende il nostro avvenire.

Tu che conosci la mia vita, potevo io muovermi, lottare, per conquistare un piatto di spaghetti in più? Solo la libertà, il senso del giusto, dell’umano, potevano darmi la forza di affrontare serenamente ciò che ho sofferto. E questa fiamma, non si spegnerà che con la vita. Ecco perché né posti, né onori, né ricchezze, né privilegi, mi hanno mai corrotto. Ho accettato il mio posto nei ranghi degli sfruttati, degli umili, cosciente dei pericoli… e tiro avanti, perché è doveroso dar l’esempio e forgiare una società migliore, per le centinaia di piccoli Uliani.

Io non sono un conformista. Non mi adatto. Sono refrattario. Non credere con questo, ch’io mi illuda di fare l’anarchia; oppure che noi non sbagliamo; oppure che tutti quelli che si dicono anarchici, siano buoni, o sappiano quel che devono sapere. No, no! gli uomini sono quel che sono; ma però ti prego, di ritenere, di osservare le azioni di un uomo, la sua vita, prima di credere a sussurramenti, ai giornali di parte od a consegne prestabilite di un partito. Che l’uomo, metta in pratica più che può, quello che predica. L’etichetta non serve, può essere réclame di bottega.


Grazie delle informazioni. Sono col cuore e col pensiero, fra i monti trentini, spesso. Lassù ho molto sofferto, lassù ho una parte del mio cuore.

Un bacio al tuo piccolo. Saluti ai buoni ed alla tua famiglia. A te, fraternamente.

tuo,

Emilio Strafelini


«Alcuni attentati antifascisti nel decennio 1923-1933.

Il 3 settembre 1923 a Parigi, l'anarchico Mario Castagna, in seguito ad un'aggressione, uccide a rivoltellate il fascista Gino Jeri.

Nel febbraio 1924, serie di attentati in Francia contro "case del fascio" e consolati.

Il 20 febbraio 1924 a Parigi, l'anarchico Ernesto Bonomi elimina il sansepolcrista Nicola Bonservizi, segretario dei fasci italiani all'estero.

Nel 1926, l'anarchico Vincenzo Capuana viene condannato in America per un attentato contro la sede del Corriere d'America diretto da Luigi Barzini a New York.

Nel settembre 1927, attentato contro il conte Nardini, console fascista a Parigi, per opera dell'anarchico Di Modugno.

Nell'agosto 1928, attentato anarchico a Saint-Raphael (Francia) contro il console fascista Di Muro.

Nel novembre 1928, il giovane anarchico Angelo Bartolomei uccide con una rivoltellata il prete Cavaradossi, vice-console fascista a Nancy (Francia).

Nel '29 muore presso Parigi, in seguito alle privazioni e alle torture subite in carcere, il giovane anarchico Malaspina, imputato (ed assolto per insufficienza di prove) di un attentato esplosivo contro la Casa del Fascio di Juan-les-pins.

Il 24 ottobre a Bruxelles, il socialista Fernando De Rosa spara un colpo di pistola contro il principe Umberto.

Negli anni 1930 e 1931, serie di attentati in Italia contro sedi ed esponenti fascisti, a Barrafranca, Antignano d'Asti, Piacenza, Poggio Catino, Varalle, Milano, Montevecchio, Verona, in Puglia, Bologna, Torino e Genova.

Nel 1930, viene eliminato un aguzzino della Milizia fascista nel Faentino. In una successiva sparatoria 9 fascisti sono feriti.

Il 7 ottobre 1930, l'anarchico Giovanni Cavolcoli spara contro il Podestà e il segretario del Fascio di Villasanta (MI).

Il 2 aprile 1931, l'anarchico Doro Rossoni uccide a Sarzana l'industriale Di Biasi per vendicare il padre da questi e da altri fascisti trucidato anni addietro.

Nel maggio 1931, viene arrestato ad Arezzo l'anarchico Tranquillo Pusteria a cui si attribuisce l'intenzione di compiere attentati terroristici; gli altri 4 coimputati, tutti operai, fuggono in Svizzera ma vengono riconsegnati alle autorità fasciste e condannati per tentata strage e detenzione di armi ed esplosivi.

Nel 1932, vengono arrestati a Parigi tre anarchici sorpresi a trasportare una valigia piena di esplosivo.

Sempre nel 1932, attentato anarchico contro la sede di Marsiglia degli ex-combattenti.

Nell'estate del 1933, serie di attentati esplosivi a Livorno ad opera di anarchici e comunisti contro la caserma della Milizia ed alcune sedi fasciste. […]».

Elenco di azioni allegato in nota al citato rapporto segreto che Emilio Strafelini indirizzò, nel'agosto del 1933, all'Associazione Internazionale dei Lavoratori tramite il Comitato d'emigrazione di Parigi (all'epoca Emilio si trovava nella capitale francese). Queste azioni, assieme ad altre ed ai più noti tentativi di uccidere Mussolini da parte degli anarchici Lucetti, Sbardellotto, Zamboni e Schirru, confermano una volta di più che la rivolta armata contro il fascismo non cominciò certo l'8 settembre 1943, come la storiografia liberale e stalinista ha sempre preteso. Ci furono compagni che non attesero alcuna consegna di partito né alcuna collaborazione delle truppe alleate per insorgere, armi alla mano, contro il capitalismo in camicia nera.