Adesso - Foglio di critica sociale - Rovereto, 4 agosto 2001 - Numero 8

      Il volto della polizia

      Il "movimento" di Genova

      Eppure qualcosa...

      E qui?

Nell'editoriale del numero scorso avevamo annunciato che l'ottavo numero di Adesso sarebbe stato sul turismo, visti i non pochi disastri che gli imprenditori e i loro amministratori stanno provocando sulle montagne e nei villaggi (basta pensare agli impianti che vogliono costruire sul Rolle). Altri avvenimenti hanno cambiato i nostri progetti. Parleremo anche noi dei fatti di Genova, del loro contesto e del loro seguito. Ne parleremo anche noi, ma dicendo le cose che finora, per lo meno qui, nessuno ha detto. Ne parleremo perché ci sentiamo direttamente coinvolti, nelle nostre lotte come nelle nostre idee.

Non essendo giornalisti, affrontiamo le questioni che cerchiamo di risolvere nella pratica, cioè discutiamo, in modo più o meno diretto, di quello che stiamo facendo. Proprio per questo il prossimo numero del foglio sarà dedicato alla critica della psichiatria, impegnati come saremo in discussioni e iniziative contro l'apertura di una "struttura per psicopatici" (come la definiscono gli psichiatri sostenitori del progetto), insomma un manicomio, nel quartiere di Man-Madonna bianca a Trento. Ma di questo, appunto, la prossima volta.

Il testo che pubblichiamo (Per farla finita con l'ordine dei molti e il disordine dei pochi, eccetera) è circolato nei giorni scorsi [23 luglio 2001] in Italia a firma di "alcuni anarchici". Lo riproduciamo perché lo condividiamo appieno. Seguono alcune nostre considerazioni e un breve resoconto di iniziative autonome realizzate dalle nostre parti.

PER FARLA FINITA CON L'ORDINE DEI MOLTI E IL

DISORDINE DEI POCHI, OVVERO NON E' STATO IL

BLACK BLOC AD AVER MESSO A SOQQUADRO GENOVA

Erano in quattrocento. No, erano almeno un migliaio. Macché, erano molti di più, diciamo duemila, forse tre. Ma hanno fatto troppo casino, dovevano essere almeno in cinquemila. Ed è tutta colpa loro. Per poche mele marce, il bel cesto della disobbedienza civile è stato rovinato.
Colpa loro, di quelli del Black Bloc. Le tute nere. Loro e solo loro hanno distrutto Genova. Cosa sono? Sono anarchici. Anzi no, per la precisione anarchici insurrezionalisti. Ma anche un po' squatter. E casseur. E punkabestia. E agenti provocatori. E infiltrati dei servizi segreti. E amici dei carabinieri...

MA LA VOGLIAMO FARE FINITA CON QUESTO CUMULO DI IDIOZIE E DI MENZOGNE?

Breve premessa terminologica. Pochi significa "di limitata quantità, di numero ridotto". Con valore generico, questo termine viene spesso usato in sostituzione di «piccolo», di «breve», di «insufficiente» e «inadeguato». In senso eufemistico può significare «quasi nessuno». Molti, invece, è direttamente contrapposto a pochi ed indica "misura notevole", o "grado elevato", oppure ha significato affine a «grande».

Ebbene ogni forma di dominio ha sempre definito le manifestazioni di ostilità nei suoi confronti come un fenomeno relativo a pochi.

Organizzazione sociale che si pretende sempiterna, lo Stato ha le sue ovvie ragioni per diffondere ed imporre ovunque l'idea che la sua origine non è storicamente determinata - non è cosa da mettere in discussione, insomma - ma è un fenomeno naturale ineludibile. Si vive sotto l'imperio dello Stato così come si vive sotto la luce del sole. Per questo motivo chiunque si batta contro di esso non può che essere pazzo, folle, demente. Inutile aggiungere che nel mondo dello Stato la normalità è la regola seguita dai molti; ne consegue che la follia deve essere l'eccezione dei pochi. Il discorso dominante presenta quindi ogni trasgressione al suo codice come un fatto piccolo, breve, insufficiente, inadeguato che viene compiuto da pochi, da quasi nessuno. Chi volete che si ribelli alla luce del sole? Solo pochi pazzi lo possono fare.

Eppure tutta la storia è caratterizzata da rivolte che hanno visto la partecipazione di molti, non di pochi. Per neutralizzare e rimuovere il significato di queste rivolte contro il mondo del denaro - e cioè che tutto è possibile, anche l'impossibile - il dominio è sempre ricorso ad uno stratagemma semplice quanto efficace. Attribuire a pochi ciò che era di molti, circoscrivere e delimitare le espressioni di dissenso. Un obiettivo facile da raggiungere, soprattutto oggi, quando l'onnipresente chiacchiericcio dei mass media non si limita a riportare il fatto accaduto, ma lo costituisce, lo crea appositamente in funzione delle esigenze di chi detiene il potere. Davanti ad ogni movimento di protesta, soprattutto se si esprime in maniera antistituzionale come è avvenuto a Genova, i media non devono fare altro che scegliere al suo interno una componente, eleggerla rappresentante del movimento stesso, parlarne continuamente, intrattenersi sui suoi aspetti più folcloristici e spettacolari, ed ecco che tutto il movimento sociale assumerà i tratti di quella singola componente.

Gli esempi che si potrebbero fare sono infiniti, ma ci limiteremo ai più noti o ai più recenti. Il movimento scoppiato in Francia nel maggio del 1968 viene presentato come una «contestazione studentesca». Il più grande tentativo rivoluzionario avvenuto in una democrazia occidentale nel dopoguerra, che dopo essere partito all'interno delle università si estese rapidamente al resto della società raggiungendo il suo culmine con l'adesione allo sciopero generale selvaggio da parte di oltre undici milioni di persone, viene così banalizzato e storicizzato sotto forma di movimentata protesta giovanile. La rivolta armata esplosa in Italia negli anni '70 viene fatta passare come opera di alcune «organizzazioni combattenti». Un movimento sociale vasto e composito, il cui assalto al cielo si espresse con migliaia di azioni
compiute quotidianamente, è stato così ridimensionato alle sue sole forme più eclatanti. Le organizzazioni combattenti, che erano solo una minuscola parte di quel movimento, sono state trasformate nell'intero movimento. Questo meccanismo riduttivo è stato applicato anche in tempi più recenti, come nella rivolta di Los Angeles del 1992 - ricordata per la sua «natura razziale» - o nell'insurrezione in Albania del 1997 - dove un intero popolo in armi è stato dipinto come «poche bande armate». Qui in Italia l'esempio più recente è probabilmente dato dai disordini scoppiati a Torino tra il marzo e l'aprile del 1998, in seguito all'arresto di tre anarchici e al suicidio di uno di loro in carcere. All'epoca erano gli «squatter» a venir indicati sui giornali come il pericolo pubblico numero uno, sebbene proprio coloro che si definiscono squatter si siano distinti per i loro sforzi di placare gli animi e prevenire i disordini, prodigandosi nel gettare acqua sul fuoco ogni qualvolta ne hanno avuto la possibilità, a salvaguardia della propria bella vita.

A Genova, quando l'aria che si respirava non era ancora densa del fumo dei lacrimogeni, la protesta era rappresentata dall'icona delle «tute bianche». Dopo, quando il clima si è fatto incandescente, è stata la volta del Black Bloc, degli anarchici insurrezionalisti, addirittura delle «tute nere» (ah, la fantasia dei giornalisti!). La cosa non manca di essere paradossale, e per diversi motivi. Innanzitutto perché vede la fine dell'infatuazione della sinistra europea per il Black Bloc.
Portato sugli allori dopo la risonanza mediatica dei fatti di Seattle, il Black Bloc viene attaccato brutalmente oggi per aver fatto a Genova all'incirca ciò che aveva fatto a Seattle. Ma la sinistra europea radical-chic, in doppiopetto o in tuta bianca, ama coloro che indossano i passamontagna, imbracciano i fucili o devastano le banche solo quando sono lontani, molto lontani, possibilmente ad un oceano di distanza. Altrimenti si tratta solo di bastardi, agenti provocatori, infiltrati.
Più o meno quanto la sinistra statunitense ha detto e scritto sul conto del Black Bloc dopo i fatti di Seattle. Chissà se adesso le Tute bianche di Bologna sono ancora pronte a confermare le commoventi parole di un loro vecchio comunicato: «Noi ci rifiutiamo di salvarci l'anima sulla pelle del Black Bloc, riconosciamo la loro piena legittimità nel movimento e rifiutiamo la logica dei "buoni" e dei "cattivi" ». Poi, gli insurrezionalisti. Ecco, gli insurrezionalisti sono perfetti per cucir loro addosso questa parte. Da un lato sono apertamente favorevoli alla distruzione, dall'altro sono additati da tutti, dalle forze dell'ordine come dal resto del «movimento». Cosa si può pretendere di più? Peccato che parecchi anarchici insurrezionalisti non fossero nemmeno presenti a Genova, essendosi dichiarati il più delle volte contrari a seguire le scadenze imposte dal nemico e a partecipare alle sue iniziative. E per gli anarchici insurrezionalisti, il nemico non era solo quello chiuso dietro la linea rossa ma anche molti di quelli che volevano sfondarla.

Ma allora, a chi attribuire tutta questa violenza? é questa la preoccupazione che vi assilla, vero? Voi politici, giornalisti, sinistri recuperatori, fate veramente schifo. Gli scontri di Genova hanno visto la partecipazione di migliaia di persone. Siamo spiacenti di comunicarvi che no, non erano tutti anarchici insurrezionalisti. No, non erano tutti del Black Bloc. No, non erano tutti stranieri. E' inutile che andiate a cercare in qualche angolo recondito e oscuro ciò che avete sotto gli occhi. Proprio il fatto più grave avvenuto a Genova, l'assassinio di un dimostrante da parte dei carabinieri, dovrebbe ben suggerirvi qualcosa. Malgrado gli odiosi tentativi da parte dei giornalisti di farlo rientrare in una comoda etichetta prestabilita, Carlo Giuliani non era "vestito di nero". Non era un anarchico insurrezionalista. Non era uno squatter. Non era un punkabestia. Era solo un ragazzo arrabbiato contro questo mondo, che si è difeso uccidendolo. Non era uno dei pochi, era uno dei tanti. La rivolta non è una rara tara genetica. La rivolta è nell'aria, pronta a manifestarsi dappertutto e in chiunque.

Chi si indigna per la devastazione di banche e uffici finanziari - ovvero le sedi dei criminali fra i più feroci che esistono - è solo chi è degno di questo mondo ed è ovvio che intende difenderlo con ogni mezzo necessario. Casarini, che ha perso un'occasione d'oro per mostrare al mondo il suo già collaudato show di scontri simulati, e Agnoletto, che tante volte gli ha sottratto la luce dei riflettori, entrambi si sono adoperati per difenderlo non disdegnando di ricorrere alla delazione e alla richiesta di iniziative più dure e decise da parte delle forze dell'ordine; peccato per loro che costoro lo abbiano fatto in maniera indiscriminata. Questi due pezzi di merda sono stati costretti a mettersi a nudo, ad ammettere di non poter controllare e rappresentare un intero movimento di protesta.

Le vostre certezze sono finite. I vostri calcoli politici pure. Gli insorti di Genova erano pochi rispetto ai manifestanti pacifici, è vero, ma erano molti, troppi, rispetto alle vostre speranze. E' inutile che continuate a strillare contro «pochi scalmanati». E' inutile che continuate a cercare parafulmini per proteggervi dalla tempesta quando questa vi travolge.

Il volto della polizia

A Genova è stato quello di sempre. Spiacenti per chi invoca lo Stato di diritto e parla di Costituzione violata. Polizia e carabinieri sono sempre stati fedeli nei secoli nel difendere le classi dominanti, nel controllare, nel reprimere e, all'occorrenza, nell'uccidere. Le cariche erano premeditate e scientifiche. A Goteborg non c'era nessun governo di destra, ma gli assassini in divisa erano gli stessi. Certo, quello che si è visto a Genova non succedeva da anni, sia per brutalità (in piazza, in caserma, in carcere) sia per estensione (migliaia di manifestanti bastonati a sangue, centinaia di arresti, ancora ottanta scomparsi). Ma anche una tale conflittualità di strada non si vedeva da anni. Ciò che invece sembra nuovo, rispetto alle forze dell'ordine, è il coro unanime - dai Ds alle Tute bianche, dal Manifesto alle radio "zapatiste" - di chi rimprovera loro semplicemente di non essere state selettive nel reprimere.

Il "movimento" di Genova

Era composto per lo più da uomini e donne organizzati da altri su posizioni riformiste e perbeniste. I contenuti espressi dai vari portavoce erano talmente ragionevoli e realistici da costituire la vera e propria parodia di un'autentica opposizione. D'altronde, un contro-vertice (il Genoa Social Forum) finanziato dal governo ed elogiato da tutta la stampa democratica la dice lunga sulla natura di questi "disubbidienti". In un simile circo, che va dai partiti ai sindacati, da Lilliput alle Tute bianche, dall'associazionismo cattolico ai centri sociali legalizzati, nessuna critica reale al capitalismo.

A fronte di un disastro ambientale e sociale ogni giorno più ampio, questa opposizione, così lieta di mettersi sotto i riflettori, propone un'Onu eletta democraticamente (per avere delle belle guerre democratiche), il controllo dei cittadini sulle... multinazionali (in un'epoca in cui costoro non controllano nemmeno cosa pensano o cosa mangiano), un'imposta per tassare le transazioni finanziarie (di sicuro un tale fondo, gestito ovviamente dallo Stato, risolverà le sorti dei poveri del mondo e farà crollare la Borsa) e altre gigantesche prese per il culo. Solamente un governo imbecille come questo può non accettare il dialogo con simili contestatori, rispettosi della legge e dell'autorità. Cambierà idea, o cambierà di poltrone. Non si governa solo con la polizia e con le menzogne giornalistiche.

Si può combattere questo mondo, che rende gli individui sempre più dipendenti dal mercato mondiale e da un'asfissiante macchina tecnologico-burocratica, soltanto armando il suo nemico per eccellenza: l'autonomia. Ma chi ci vuole dividere in dirigenti ed esecutori,chi chiede finanziamenti allo Stato, chi vuole lo stesso apparato produttivo,solo gestito diversamente, può essere per l'autonomia? Chi accetta tutto ciò, prima o poi, l'abbiamo visto, chiede aiuto alla polizia.

Eppure qualcosa...

E' sfuggito alla passività e al controllo dei dirigenti. Il G8 era solo fumo negli occhi, un teatrino di arroganza politica e poliziesca per nascondere decisioni prese altrove. Eppure, nella contestazione di quel simbolo uomini e donne, spesso estranei alla sclerosi della militanza, hanno trovato il filo esile di una critica. Da una parte, la distruzione delle banche, il superbo assalto al carcere di Marassi e gli scontri stanno cercando le loro ragioni e la loro prospettiva. Dall'altra, qualche spazio di dialogo autonomo si è aperto, favorito di sicuro dalle coglionate di questo governo. I recuperatori di sinistra sono affannosamente al lavoro. Qualche buon segnale arriva anche dal lato opposto, quello di chi soffia sul fuoco della rivolta e della libertà. Se non altro, sono spariti o malconci i nostalgici dell'avanguardismo "rivoluzionario", intruppatori di ogni protesta antistituzionale. Sarà il caso di ricordare che la differenza fondamentale non è quella - comoda quanto fasulla - fra "violenti" e "non violenti', bensì quella fira chi vuole conquistare o gestire il potere, e chi vuole distruggerlo.

Discusswm e azioni si stanno susseguendo un po' ovunque, in Italia come all'estero. Mentre in un paesino sperduto c'è un dibattito che sfugge ai marpioni politici, a qualche centinaio di chilometri qualcuno - come è successo in questi giorni a Berlino - incendia un commissariato di polizia oppure sabota un istituto (è accaduto a Milano) di biotecnologie. La poesia della vita insorta sta trovando le proprie parole

E qui?

Stando a giornalisti e carabinieri, domenica 22 luglio, a Rovereto, degli ignoti hanno sfasciato le vetrine di un'agenzia di lavoro interinale e quelle di un negozio della Tim, sabotato vari bancomat e distrutto alcune telecamere. Martedì 24, a Trento, varie realtà legate al Genoa Social Forum hanno organizzato una "catena umana" (con i cerotti sulla bocca per protesta), a cui sono seguite alcune testimonianze e riflessioni sui fatti di Genova. Non pochi oratori hanno espresso, pur denunciando le brutalità poliziesche, il loro rispetto verso le forze dell'ordine. Anarchici e libertari di Rovereto e Trento hanno distribuito dei volantini di tutt'altro contenuto; poi, con grande preoccupazione degli organizzatori, i quali avevano promesso alla questura di garantire un'iniziativa tranquilla, sono partiti in corteo autonomo e non autorizzato. Dietro gli striscioni "Assassini" e "Terrorista è lo Stato" si è unita una sessantina di persone. Dopo un giro colorato per le vie di Trento un'assemblea è stata proposta nella vicina facoltà di sociologia. La sala della discussione,vista la buona partecipazione, è stata trasformata dall'indomani in un'assemblea permanente contro la repressione. L'assemblea, slegata da partiti, sindacati e associazioni istituzionali, è continuata per tutta la settimana. Ora l'appuntamento è ogni mercoledì (vedi riquadro). Venerdì 27 un banchetto non autorizzato e degli interventi volanti, con una piccala mostra e una "performance" sulla repressione, hanno coinvolto i passanti per più di un'ora. Dei soldi sono stati raccolti per le spese processuali dei manifestanti arrestati a Genova. Il sabato, un gruppo di allegri facinorosi ha chiuso un negozio della Benetton con una rete da cantiere; un cartello ("Zona rossa"), uno striscione, interventi e volantini hanno collegato i pestaggi di Genova alle multinazionali, sottolineando il fatto che, nel mondo del denaro, il "G8" è ovunque e tutti i giorni. Il sabato sera, invece, nell'ambito di "Rovereto veneziana", alcuni anarchici, vestiti con abiti medievali (insomma, più o meno), hanno letto un proclama contro "li sgherri et li bravi", in solidarietà con chi "stanco de ciarle et d'angherie, attacca de lo potere li simboli, in collera con li signori et le dinastie". Molti muri, grazie a delle scritte, hanno ritrovato un po' del loro uso pubblico.

Contro questo mondo che ha la merce e il potere nel cuore, contro gli assassini di Carlo, "non è che l'inizio, continuiamo la lotta", come si diceva in altra e più felice epoca.

Dove sono i complici?


E’ stata aperta un’assemblea contro la repressione, slegata da partiti, sindacati e associazioni istituzionali, per pretendere:

Si tratta di uno spazio per dare e ricevere informazioni, discutere, organizzare il sostegno pratico ai manifestanti colpiti dalla repressione, nonché per preparare iniziative di lotta.

Dopo una settimana di incontri quotidiani, l'appuntamento è per il momento ogni mercoledì dalle ore 21.30, nel nel parco di S.Chiara (sotto il tendone degli spettacoli), a Trento. |