Titolo: Adesso - Foglio di critica sociale - Rovereto, 1 febbraio 2001 - Numero 3

UN BALZO DI TIGRE

L'ambivalenza, cioè la proprietà di essere qualcosa e anche il suo contrario, costituisce uno dei tratti fondamentali di questa epoca. La nostra stessa attività critica - teorica e pratica - non vi sfugge. Questo foglio si chiama Adesso*, in contrasto con quella concezione della vita che rinvia sempre le decisioni al futuro, con quel modello progressista che presuppone un tempo omogeneo e lineare (insomma, con la fede che qualcosa, nella Storia, lavori al posto nostro per migliorarci la vita). Eppure anche la logica - il Discorso - del mercato e della sua pubblicità sembra parlarci solo di quello che dobbiamo consumare* qui e ora*, senza alcun legame con il passato, senza sguardi verso il futura lotto l'apparato dei mass media mette in scena un eterno presente in cui la Notizia si muove in un tempo vuoto, fuori da ogni contesto reale. Parliamo forse, noi e i nostri nemici, dello stesso* adesso*?
No di certo. Il loro "adesso" è l'adesione sempre più frenetica ai ritmi della megamacchina economica e burocratica (istante dopo istante, il domani è uguale all'oggi, e la vita sempre più insensata). Il nostro è la battuta d'arresto possibile, il balzo indietro che ci mostra la nostra storia di sfruttati, una storia di sofferenze e di sconfitte, e ci rivela, nella sovversione del presente, un altro futuro. In breve, il loro "adesso" ha un solo significato: quello dell'apologia. Il nostro ha tutti i significati della rottura. Noi parliamo di ora, ma non vogliamo farci strappare il passato. Ecco l'ambivalenza: vogliamo farla finita con questo vecchio mondo,* ma non per sostituirlo con uno ancora più artificiale*. Ecco perché vediamo come una perdita di autonomia umana la distruzione delle testimonianze sensibili del passato, lo smantellamento dei centri storici a beneficio delle cattedrali di cemento dell'economia, la liquidazione dei saperi comunitari a beneficio di uno specialismo vuoto e informatizzato, la riduzione della diversità animale e vegetale a qualche modello transgenico, eccetera. Non per una nostalgia lamentosa, ma per una ragione estremamente pratica: per cambiare il mondo, bisogna che ce ne sia uno. Detto altrimenti, di questa prigione sociale vogliamo distruggere tutto, tranne la possibilità della distruzione stessa (il che significa l'autonomia materiale ed etica per poterla pensare, desiderare, praticare). Se non si sogna qualcosa di diverso, come opporsi a ciò che esiste?
Lambivalenza del nostro stesso linguaggio deriva dal fatto che chi comanda impone il proprio senso alle parole e recupera le rivolte che non sono riuscite ad abbatterlo. "Vivere senza tempi morti, godere senza ostacoli" è stato uno slogan del Maggio francese, la rivendicazione della felicità* adesso scagliata contro la morale del sacrificio nel momento in cui gli sfruttati e gli insoddisfatti riscoprivano, con un balzo di tigre nel passato, la storia che li affratella. Oggi quella frase potrebbe essere uno slogan pubblicitario per il sesso virtuale.
Un ultimo esempio: il concetto di buon senso. Il buon senso, per lo più, è quell'insieme di frasi fatte con cui si scoraggia ogni ribellione ("non ne vale la pena", "il mondo sarà sempre dei furbi", "chi si accontenta gode", "non si può cambiare la natura dell'uomo", "bisogna rassegnarsi", eccetera). La sua certezza è quella piatta della tautologia: le cose sono così perché non possono essere diversamente, non possono essere diversamente perché sono così. Eppure il buon senso è anche quel due più due uguale quattro che il potere sta distruggendo per convincerci dei suoi dogmi diversi ogni quarto d'ora: due più due oggi fa quattro, domani cinque, dopodomani due più due ... non si può fare. "Io chiamo gatto un gatto" diceva Boileau. E se ciò che si chiama gatto nel frattempo diventa una creazione di laboratorio? Cos'è già diventato ciò che chiamiamo vino, mela, pomodoro?
Il buon senso dice che non si possono dar da mangiare farine animali a degli erbivori, e che è ugualmente aberrante il fatto che prima l'uso di queste farine sia stato "incoraggiato" (cioè imposto) dalla Comunità Europea e che ora venga dichiarato fuori legge. Se un tribunale stabilisce che un ruminante non deve mangiare carcasse di animali (e cioè che due più due fa quattro) significa solo che
può già farlo (cioè che due più due può fare anche cinque). Domani si vieteranno gli antibiotici per le pecore o gli antidepressivi (proprio così, quasi fossero dei bipedi metropolitani) per i maiali. Insomma, per criticare il buon senso, bisogna che esso esista. E perché esista bisogna che non scompaia l'attività critica di base: saper confrontare le cose fra loro. Per dire che il cibo che mangiamo non è cibo, con cosa lo confrontiamo, visto che è pressoché scomparso l'originale?
Significativamente, da questo punto di vista, sono state le finte inchieste giornalistiche dopo la notizia che in Trentino la media dei tumori (in particolare di quelli provocati all'apparato digerente, legati all'alimentazione) è più alta che nel resto d'Italia. Già nelle loro domande è presente la mistificazione, direbbe il filosofo. "Esistono legami fra i tumori e l'ambiente in cui si vive?": tutto opinabile, dunque, come se l'uomo fosse una monade impermeabile all'esterno. Alcuni oncologi interpellati hanno detto che una grossa responsabilità ce l'anno i pesticidi e gli anticrittogamici usati in quell'attività industriale che ancora chiamano agricoltura, altri hanno detto forse, dipende, no. Veronesi, per esempio, dichiarò a suo tempo che l'inquinamento non è causa di tumori. Giustamente, l'hanno fatto ministro della Sanità. Come provare scientificamente il contrario? Non basta il buon senso?
Per metter mano a un cambiamento radicale bisogna almeno avvertirne la necessità. Per avere delle
idee al riguardo, bisogna almeno avere delle opinioni (cioè un avviso critico sulle idee altrui). Altrimenti, non nelle minacce saltuarie con cui si crea e si gestisce la paura, ma nel "tutto continua così" bisognerà imparare a vedere la catastrofe.
Noi scriviamo per gli irrequieti del sogno e dell'azione. Ai soddisfatti non abbiamo nulla da dire.

LO SPUTO NEL PIATTO

Comincia, con questo numero una rubrica non fissa dedicata ai personaggi del potere locale che ci infestano l'esistenza. Partendo dall'assunto secondo il quale anche la qualità di ciò che si avversa ha la sua importanza, si capirà meglio come alla mediocrità dei dirigenti e dei loro lacché si accompagna una generale assenza di contestazione da parrte di chi ne avrebbe tutte le ragioni e non ne trova alcuna. Tutto ciò per dire che in questa rubrica verranno denudate le vergogne di merdoni dal puzzo immondo ma dalle dimensioni assai modeste. Si tratterà, talvolta, di ricordi personali.

Roberto Pinter. Approdato da giovane nel mondo della politica, l'attuale vice presidente della giunta provinciale e assessore all'urbanistica ha percorso in poco più di un decennio quella strada che partiti socialisti hanno impiegato mezzo secolo per esplorare fino in fondo: la strada che dalle proteste finte porta al potere vero. Il copione è noto quanto la storia del parlamentarismo: si comincia col dire che la politica è solo un megafono per la rivoluzione, si continua col dire che ne è l'immancabile stampella, per arrivare infine ad affermare che è essa stessa una lenta rivoluzione e che il resto è solo "violenza", " intolleranza", "inciviltà". Se a tutto ciò si aggiunge un po' di rosso democrazia proletaria, un po' di verde ecologia e di arancio pacifismo, si otterrà un bell'arcobaleno del compromesso chiamato Pinter. Parlare di ambiente e cementificare e inquinare, parlare di pace e allearsi con i sostenitori dei bombardamenti "umanitari", parlare di uguaglianza sociale ed accettare tutti i privilegi della politica professionale - ecco il grande circo che ospita il nostro piccolo buffone. Ce lo ricordiamo ancora quando, dieci anni fa, ci scriveva una lettera aperta di solidarietà per la nostra scelta di rifiutare sia il servizio militare sia quello civile, scelta antimilitarista che se ne infischiava della legge e della politica. Di certo sostenendo la non-sottomisione all'autorità non si fa carriera, deve aver pensato Pinter. Mettendo la coscienza individuale al di sopra della legge, non esistono più obblighi autoritari, ma solo liberi accordi che escludono la delega in bianco, dunque ogni farsa elettorale. Chi per professione vuole decidere per gli altri, potrà forse accettare a lungo scelte che gli negano il potere di farlo?

Pinter si sbraccia ora per far capire quanto la socialdemocrazia blindata (quella dei Blair, dei Jospin, dei D'Alema, quella che rinchiude ed espelle gli immigrati privi di documenti, quella che rafforza i controlli polizieschi, bombarda in nome della civiltà, precarizza le condizioni di lavoro, eccetera) sia il miglior avvenire per i poveri (che vogliono restarlo).

Nessuna sorpresa che egli sia quello che é. Della politica possiamo dire, con Dante, che è un "tristo sacco che merda fa di quel che trangugia".

Giunta la sera del primo giorno di scontri, avvenne che in più punti di Parigi, indipendentemente e contemporaneamente, si sparò contro gli orologi dei campanili.

Con quale rabbia si vedeva calare la sera!

CAMERATI DI TUTTO IL MONDO, MASSACRATEVI!

Il 13 GENNAIO SCORSO, allo Sportwirt, un bar nei pressi di Bressanone, centoquaranta naziskin, fra italiani e tedeschi si sono picchiati durante un concerto. Qual è 1'identità nazionale del Sud Tirolo? Questa è stata la ragione delle botte, gli uni essendo fascisti alla tedesca e gli altri all'italiana. Alla fortuna talvolta non c'è confine: le bastonate hanno coinvolto anche le forze dell'ordine.


UNA VITA AL CLORO

A volte capita di incappare in una di quelle notizie che, quasi fossero uno squarcio nel tessuto della normalità di cui è fatta la che meniamo, o meglio, la sua falsa rappresentazione giornalistica, ne fanno indovinare d'un colpo l'ordito, ne svelano la realtà più intima. Così, una buona descrizione di come la necessità dell'economia si faccia beffe dei bisogni umani ce la offre un fatto avvenuto di recente a Taio, in val di Non. E' successo che, fatti due conti, gli amministratori di quel comune hanno compreso cosa significhi effettivamente fare gli amministratori, locali e anche non. Hanno quindi disposto che 1'acqua bevuta fino al giorno prima dagli abitanti del paese andasse di lì in avanti ad irrigare i campi coltivati a frutteto e venisse sostituita, sulle tavole della gente, con qualcos'altro. Non vino, ma acqua trattata con cloro.

Che i meli, pressoché sola di reddito per gran parte della valle, non rischino di venire innaffiati con quella roba i nostri concittadini possono benissimo mandar giù a litri; eccola, senza tanti giri di parole, la preoccupazione vera di politici ed imprenditori del luogo.

Poiché si può trarre sempre maggior profitto dalla terra - ridotta, da quelle parti, ad una distesa di alberi tutti uguali e piantati fin nel più piccolo straccio di terreno -, si devono cambiare le abitudini di chi la abita. E, come in uno specchio, poiché i princìpi che regolano il buon funzionamento dell'economia devono passare, costi quel che costi, sopra a tutto il resto - il costo sia pure quel saporaccio nella bocca dei nonesi, il resto sia pure la possibilità di vivere una vita decente - i più elementari comportamenti degli uomini, i gesti più naturali possono facilmente essere stravolti.

Così, di fronte alla constatazione che il conto in banca frutta sempre di più - e, beninteso, quello di sindaco, assessori, proprietari di grandi aree coltivate più di quello di altri e a discapito di quello di molti - nessuno trova niente di strano nel fatto che la frutta sappia sempre meno di qualcosa o che noi sappiamo sempre meno di che cosa essa è fatta.

IL CONCETTO DI PROGRESSO VA FONDATO NELL'IDEA DELLA CATASTROFE. CHE "TUTTO CONTINUI COSÌ" È LA CATASTROFE. LA LIBERAZIONE SI AFFIDA AL PICCOLO SALTO FRAMMEZZO ALLA CATASTROFE CONTINUA.

vacanzieri e leccapiedi

In tuta da sci, al guinzaglio del cagnetto o sottobraccio alle cagne in ori e pelliccia, col naso per aria o infilato in un brulè, col piede sulla frizione del fuoristrada, fra la calca nelle vie del centro, fra la calca della coda allo skilift, con un occhio sugli indici di borsa e l'altro al listino prezzi dell'hotel per spendere, comprare, consumare per spendere, vendersi, consumarsi.

Turisti in ferie, vi si vede lontano un miglio e vi si trova sempre sul cellulare. Il vostro "meritato riposo", il relax davanti al camino sanno di noia e frustrazione, di vita andata a male; quello che vi stressa a casa vostra ve lo portate in valigia fin quassù.

Chi vi accoglie, "Graditi Ospiti", una volta era contadino e pastore, amava e soffriva, se l'intendeva con le stagioni; uomini e donne di montagna alla montagna strappavano di che vivere. Chi vi ospita, vi serve lisciandovi il pelo, chi rimane a vostra completa disposizione, oggi alla montagna strappa la vita, la ferisce, la lacera, la squarcia.

Albergatore impiantista commerciante conta e riconta l'incasso della giornata, fabbrica la neve su misura, vende la montagna a prezzo di mercato in pacchetti vacanza tutto compreso: prima colazione, prima consumazione e alienazione accluse, cartoline illustrate e souvenir carini; la fa diventare finalmente incantevole quella stupida di una natura.

Chi vi fa sentire a vostro agio ha il ghiaccio nel cuore al neon, ha un anima da bottegaio, messa in banca, al sicuro. Sta dalla parte del profitto ormai, proprio come voi. Dall'altra parte della montagna.

(testo di un manifesto apparso sui muri di Folgaria durante le feste natalizie)

 
 

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