Adesso - foglio di critica sociale - Rovereto, dicembre 2009 – numero 27

Chi ha paura degli anarchici?

Da tempo volevamo tentare un’analisi del contesto locale in cui viviamo. Niente di che, per carità. Solo qualche elemento di comprensione per affinare e radicalizzare il nostro agire.

L’occasione ci è offerta dalla manifestazione del 7 novembre a Trento in difesa degli spazi occupati e autogestiti e contro i fogli di via.

Definire isterica la reazione mediatica e politica che ha tenuto banco per giorni e giorni dopo il corteo sarebbe inesatto. L’attacco agli anarchici è stato condotto in modo “scientifico” attraverso un coro senza sbavature.

Essendo escluso che a preoccupare i politici e i loro scribacchini sia stato il corteo in sé (ci vuole ben altro che qualche banca imbrattata e danneggiata per impensierire i capitalisti), qual era e qual è la vera posta in gioco?

Avanziamo alcune ipotesi.

Il provvedimento di vietare d’ora in poi i cortei in centro a Trento non è purtroppo un’anomalia locale. In molte città italiane simili imposizioni sono già diventate realtà, senza che le varie amministrazioni abbiano avuto bisogno di alcun “corteo violento” per giustificarle. La canea che hanno scatenato qui (“Trento devastata”, “città in mano agli anarchici” ecc.) apparirebbe ben sproporzionata se il solo fine fosse stato quello di chiudere il centro alle manifestazioni.

Che divieti della Questura e criminalizzazione mediatica avessero lo scopo immediato di scoraggiare la partecipazione al corteo NO TAV del 21 novembre ci sembra piuttosto evidente. E ci sono riusciti, tant’è che diverse persone dei comitati hanno insistito per rinviare la manifestazione. I padroni della città hanno ragione dal loro punto di vista. Il progetto del TAV fa impallidire, per interessi che nasconde e devastazioni che prepara, tutti gli altri. Che comincino a sorgere i primi comitati territoriali intenzionati a fermare quest’opera preoccupa eccome Dellai e soci. Ma perché utilizzare, come pretesto per spaventare il movimento NO TAV, il corteo degli anarchici?

Il Principe, con i suoi mille occhi di spugna, sa bene che diversi compagni seguono da anni questa lotta, portandovi un chiaro contributo di autorganizzazione. Dopo la lunga fase di informazione paese per paese sulla nuova ferrovia del Brennero, ora comincia una partita diversa. Qui non ci sono raccolte di firme, alleanze politiche o ricorsi legali che tengano: quest’opera rovinosa si blocca bloccando i cantieri. Ebbene: chi lo afferma apertamente? Per diverso tempo solo gli anarchici e pochi altri: ora anche la gente dei paesi. Quando si tratterà di passare dalle parole ai fatti, gli anarchici ci saranno (così come c’erano contro gli impianti di risalita o contro le ruspe a Mattarello). Ecco da dove deriva la paura di lorsignori. Gli anarchici non fanno paura per l’attività che già svolgono, ma per ciò che esprimono potenzialmente.

Essere convinti di quanto un’opera sia inutile e inquinante di per sé non basta. Come mai, ad esempio, nonostante la diffusa contrarietà al progetto dell’inceneritore di Ischia Podetti, e nonostante l’incombere dell’inizio dei lavori, non sono nati comitati o altre realtà di base allo scopo di fermarne la costruzione? Una spiegazione è forse che coloro che hanno (meritoriamente) organizzato decine e decine di serate informative sull’inceneritore non hanno mai posto il problema collettivo: “Come fermiamo l’ecomostro?”. E questo non è un caso. Se pensi che le opportune e trasversali alleanze politiche possano risolvere il problema (oppure che si raggiungerà l’obiettivo di non far costruire l’opera con un’accorta battaglia legale), della gente ti interessa il consenso, non la partecipazione diretta. E allora di tanto in tanto puoi anche organizzare delle manifestazione – quasi controvoglia, e purché in esse non ci siano spazi per esprimere dissenso o approfondimenti pratici –, ma la vera partita si gioca altrove. Di simili proteste i giornali parlano bene. A ragione.

E qui veniamo ad un altro aspetto: la libertà e l’autonomia di dire e fare ciò che si considera giusto.

Non è un caso che le occupazioni anarchiche a Rovereto e a Trento siano sempre state sgomberate, che la proprietà degli edifici vuoti e inutilizzati da anni fosse privata o pubblica. Anche quando le iniziative negli spazi occupati si erano limitate a concerti e dibattiti il potere vi intravedeva – giustamente – altre potenzialità. Il rifiuto di ogni mediazione con le istituzioni è il crimine che contiene tutti i crimini.

Se io invece invito a votare Dellai, questi certo non mi sgombererà. Ma cosa rimarrà, dopo simili scambi di favori, del mio spazio occupato? Potrò ancora criticare radicalmente i progetti del Principe? No. Preferirò denunciare il Comune (anche quando le responsabilità dei vari progetti sono della Provincia), oppure mi limiterò a dichiarazioni generiche, ad appelli alla società civile ecc. Potrò forse dire: “L’inceneritore lo vuole Dellai e io mi metterò davanti alle ruspe assieme a tutti coloro che ci staranno”? No, non potrò.

Ma la ragione di tanta canea contro gli anarchici è ancora più precisa. Al di là della concomitanza della manifestazione NO TAV, la repressione contro l’Assillo è legata al fatto che quello stabile era stato occupato con uno scopo chiaro: farne un luogo di incontro per rilanciare la lotta contro la base militare di Mattarello. Lotta che da diverso tempo gli anarchici sono di fatto i soli a portare avanti. La misura dei fogli di via affibbiati agli occupanti è stata rispolverata allo scopo di impedire che la mobilitazione contro la base di guerra si allarghi e si radicalizzi. Anche perché i lavori per l’opera vera e propria si avvicinano.

E a preoccupare, in tal senso, è stata la partecipazione all’esperienza dell’Assillo. Tanti giovani e non solo hanno trovato in quell’occupazione un modo altro di stare assieme: senza gerarchie e senza merda politica. Fuori da ogni logica di intrattenimento alternativo, si è discusso di guerra, di razzismo, di merce, di proprietà privata, di rifiuti, di produzione industriale. Che si trattasse di inceneritore o di fascisti, la nostra proposta era sempre la stessa: agire direttamente, senza mediazioni. E l’entusiasmo cresceva. Piuttosto buona anche la risposta del quartiere. Tutto ciò spaventava.

Il corteo del 7 novembre, quindi, è stato solo un pretesto. I devastatori del Trentino (Dellai, Andretta e soci), promotori di TAV, inceneritori, base militare di Mattarello, megacentrali sotto le montagne, impianti di risalita ecc., parlano di devastazione per le scritte sui muri, le banche imbrattate e danneggiate, la sede della Lega colpita.

Eh già, in questo mondo alla rovescia, la manipolazione delle parole riflette la manipolazione delle coscienze. Violenza non è la guerra finanziata dalle banche, bensì il danneggiamento dei bancomat. Violenza non sono arresti, sgomberi, fogli di via, bensì le scritte sui muri. Violenza non è promulgare leggi razziste, incitare alla xenofobia, giustificare le aggressioni contro gli stranieri (o magari festeggiare un Natale Bianco degno del Klu Klux Klan, come è successo a Coccaglio, “Padania”). No. Violenza è rispondere per le rime alle ignominie leghiste.

La gente massacrata di botte in carcere (come Cucchi) fa parte della normale amministrazione. Manifestare la propria rabbia difendendosi da eventuali cariche della polizia con caschi e bandiere è roba da disadattati, da pazzi, da extraterrestri...

Chi detiene il monopolio della violenza non tollera che qualcuno lo metta in discussione.

E gli altri? Per fortuna non esistono solo politici, politicanti e giornalisti. Di critiche interessanti e non interessate ne abbiamo sentite più d’una. Ma abbiamo sentito anche diverse cose che non condividiamo.

C’è chi ha sostenuto, ad esempio, che iniziative come la manifestazione del 7 novembre danneggiano il movimento NO TAV. E su questo non possiamo essere d’accordo. Per noi le battaglie comuni possono avvenire solo su un terreno di autonomia.

Quando scendiamo in piazza contro il TAV (o contro l’inceneritore, o sulla morte di Stefano Frapporti, per fare degli esempi recenti) ci accordiamo con gli altri sulle modalità. E manteniamo gli impegni presi.

Ma, se permettete, le manifestazioni “nostre” – cioè quelle che lanciamo come movimento specifico – le determiniamo noi.

Noi siamo contro il TAV (e contro la base di Mattarello, contro l’inceneritore ecc.). Ma siamo anche contro la polizia e contro le banche. Se qualcuno s’indigna per i bancomat danneggiati possiamo anche discuterci. Ma le nostre idee sulle banche e sulla giustezza etica di attaccarle non cambiano.

Nelle lotte sociali non diciamo ogni volta tutto quello che pensiamo (magari parlando di carcere quando si discute di fermare il TAV), ma tutto quello che diciamo lo pensiamo. E soprattutto siamo sempre noi stessi.

Chi si presenta agli altri mascherando la propria individualità è un disonesto o un politicante.

È ben curioso, poi, che l’accusa di danneggiare certe lotte ci venga indirizzata da chi non ha mosso un dito (o quasi) affinché queste lotte ci fossero...

Senza la nostra autonomia, cosa potremmo portare nella battaglia sociale? Non siamo degli imbecilli che non tengono conto dei contesti. Non siamo degli ipocriti che nascondono se stessi.

Altre critiche che ci sono state rivolte colgono invece nel segno. Il contenuto sessista di qualche scritta sui muri, ad esempio. Va da sé che nelle manifestazioni non è possibile – e per noi neanche desiderabile – controllare chi scrive cosa. Fa comunque riflettere che anche all’interno del movimento libertario si riproducano talvolta schemi mentali assorbiti da questa società ripugnante.

Altro appunto che ci è stato mosso. Lo spirito deciso e autodifeso del corteo avrebbe dovuto essere più chiaro fin dal ritrovo in piazza. (Soprattutto conoscendo quel ben rodato meccanismo di rimozione storica che ha trasformato i cortei in semplici sfilate). Il fatto che la manifestazione del 7 novembre – tanto più dopo il secondo sgombero dell’Assillo – non potesse essere una “passeggiata”, era chiaro per noi e per tanti: non necessariamente per tutti. Avremmo dovuto comunicarlo meglio, nei modi opportuni.

Come si vede, dalle critiche c’è sempre da imparare per crescere e far meglio. “Far meglio”, ovviamente, dal nostro punto di vista. Il che suona più o meno così: attenzione al metodo, niente scritte sessiste, più gente informata e consapevole, più banche e più sedi di partito colpite...

A volte abbiamo l’impressione di essere i soli a cui si chiede, in un mare di compromessi e di scorrettezze politiche, il massimo di attenzione e di coerenza. Che in questo atteggiamento nei nostri confronti ci sia spesso una certa dose di opportunismo e di malafede, è pacifico. Ma non ci interessa difendere una presunta esemplarità della nostra vita, bensì diffondere il conflitto sociale. “Il problema – rispondiamo sovente – non sono gli anarchici, ma la libertà”. Ben venga che altri facciano meglio di noi.

In sfida costante con noi stessi, mettiamo sulla bilancia del mondo il peso della nostra persuasione.

Tre compagni – Sara, Evelin e Mike – sono ora agli arresti domiciliari. Le accuse si riferiscono allo sgombero del secondo Assillo: resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. Quella mattina le forze dell’ordine avevano fatto irruzione, sfondando le porte, nello stabile rioccupato da qualche ora. I compagni erano saliti sul tetto. Polizia e dirigenti della DIGOS avevano cominciato a spaccare le tegole sotto i piedi degli occupanti, minacciando con piedi di porco e sbarre di ferro di sprangare e arrestare tutti quanti. I compagni si sono difesi.

Nel mondo della Questura e dei mass media, chi danneggia uno stabile non è la polizia che ne sfonda il tetto, ma gli occupanti che lo rendono di nuovo abitabile dopo anni di abbandono. “Violenti!” urlano in coro politici e giornalisti agli occupanti. I compagni, se abbiamo capito bene, avrebbero dovuto farsi bastonare o scaraventare giù dal tetto...

Nel frattempo i fogli di via sono diventati una trentina, fioccano gli “avvisi orali” (cioè le diffide) e si annunciano provvedimenti di “sorveglianza speciale” (che equivale grosso modo al confino durante il fascismo).

La repressione vorrebbe metterci in un angolo. Sta a noi uscirne, disertando il terreno su cui il nemico ci aspetta, e rilanciare.

In questo mondo alla rovescia, dovremmo camminare tutti all’indietro perché così vogliono il Progresso della barbarie e le sue televisioni. Noi andiamo avanti. Dritti.