#lang it #title Adesso - Foglio di critica sociale - Rovereto, 18 aprile 2002 - Numero 12
**La domanda del mese:**
**Che dire dell'omicidio di Biagi?**
**Dopo attenta riflessione, diciamo che**
**UNA CAROGNA È UNA CAROGNA ANCHE QUANDO LA FA FUORI UNO STALINISTA.**
**UNO STALINISTA È UNO STALINISTA ANCHE QUANDO FA FUORI UNA CAROGNA.**
***L'UTOPIA NEL FANGO***
In questo dodicesimo numero di *Adesso*, troverete delle riflessioni che, dalla guerra in Palestina all'omicidio di Biagi, passando per un libro sul male, ruotano attorno ad un problema decisivo come pochi: quale scontro sociale è possibile quando si confondono terrorismo e violenza di liberazione, quando si mettono sullo stesso piano le bombe dello Stato e dei padroni con le pietre di chi insorge? Per quanto il legame possa non apparire immediato, è da questo stesso confusionismo che si intonano le sirene razziste e nazionaliste. Solo chiudendo gli occhi di fronte alla realtà dei rapporti sociali si può attribuire a una popolazione intera le responsabilità dei suoi dirigenti, oppure considerare gli immigrati la causa del nostro sfruttamento o del nostro malessere. I conflitti etnici e religiosi sono innanzitutto la tomba della guerra di classe (non più poveri contro ricchi, governati contro governanti, bensì, ad esempio, israeliani contro palestinesi, musulmani contro ebrei, eccetera), l'ultima carta che il dominio gioca per stornare la rabbia degli sfruttati. Ma quando si definisce "terrorista", cioè autore di una violenza cieca e indiscriminata, chi colpisce un uomo di Stato o un capitalista, o addirittura chi spacca le vetrine di qualche multinazionale, non si confonde forse la "gente" con la minoranza al potere, perdendo ogni senso delle responsabilità? Ecco perché le due riflessioni - su Biagi e sulla Palestina - procedono assieme. Chi mistifica sul concetto di terrorismo (dalle aule del parlamento, sulle colonne di un giornale, o anche tra le fila di un corteo) non potrà mai dire o fare qualcosa di chiaro contro le atrocità della guerra in Medio Oriente. Non a caso, chi ha urlato - da sinistra - al terrorismo dopo l'uccisione di Biagi, sulla Palestina sa solo dire "due popoli, due Stati". Ma non si rendono conto, questi sinistri, che se si fa coincidere l'Intifada o l'intera Palestina con Arafat (ignorando cosa pensano al riguardo tutti gli arabi ribelli torturati nelle carceri dell'autorità palestinese), allora si fa coincidere la popolazione israeliana o addirittura ebraica con Sharon - e si arriva così, di generalizzazione in generalizzazione, a giustificare involontariamente l'antisemitismo. E' la logica stessa degli Stati, dei confini, del dominio, a impedire ogni convivenza in cui la differenza di ciascuno sia una ricchezza di tutti. E' quella la fonte mai secca dei più grandi massacri. La nostra utopia di un mondo senza padroni e senza bandiere è costretta oggi a strisciare nel fango, circondata dai reticolati di filo spinato, marchiata con inchiostro indelebile, travolta dai bulldozer. Ma anche nel fango c'è chi non perde la lucidità nel riconoscere i suoi fratelli e i suoi nemici. Gli siamo vicini con le nostre minuscole e solitarie pietre.
**A ciascuno il suo**
Qualche giorno fa, nel pieno centro di Bologna, un consulente del Ministero del Lavoro è stato freddato da quattro colpi di pistola. Sembra certo che a premere il grilletto siano stati dei militanti delle Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente. Ad esser seri, questa è una di quelle notizie che non avrebbe bisogno di alcun commento, tanto sono scontate le cose che si possono dire in merito. Ma i nostri sono anni strani, e tante e tante sono le corbellerie che ci tocca legger sui giornali od ascoltare per la strada che ci pare doveroso dedicare una qualche riga sul nostro foglio a questo fatto. Togliamo spazio, così, a qualche considerazione che avremmo voluto fare sulla situazione in Palestina: avremo occasione di riparlarne, sempre ché i carri armati israeliani non ne demoliscano gli ultimi brandelli nelle prossime settimane. Non aspettatevi, sul fatto di Bologna, grosse tirate teoriche o fini argomentazioni morali: diremo ovvietà, come si conviene a persone semplici come noi. Marco Biagi, così si chiamava il morto, era un consulente del Ministero del Lavoro. Era, cioè, uno di quei tecnici indispensabili all’elaborazione delle riforme in materia lavorativa che il governo sta cercando di far passare in questi mesi. Fra tutte, la riforma dell’Articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Sull’argomento si sono espressi in tanti, e qualche cosa l’abbiamo detta anche noi il mese scorso. Non ci sembra il caso, in queste poche righe, di ripeterci; basterà dire che questi progetti governativi sanciranno subito un netto peggioramento delle condizioni di vita di quegli sfruttati che ancora sono inseriti nell’ambito del cosiddetto "lavoro fisso" e, con il tempo, di tutti gli altri. Marco Biagi, insomma, studiava qual era il modo migliore per prender alla gola i poveri. Aveva deciso di stare dalla parte dei ricchi e dei padroni, e giocava con la vita degli altri immerso nelle sue scartoffie. Quest’uomo, insomma, portava su di sé il peso di responsabilità sociali gravissime rispetto al futuro di tutti gli sfruttati. Forse aveva la faccia da brava persona, forse era un marito affettuoso ed un buon padre di famiglia: ma le sue responsabilità rimangono, e ci pare scontato che certe responsabilità prima o poi si debbano pagare. Il conflitto sociale non fa sconti a nessuno. I padroni ed i governi hanno ben dimostrato in questi anni di non voler farci alcuno sconto, e non si vede proprio perché sia così giusto farne a loro. L’avvenire degli sfruttati, secondo Marco Biagi, era quello di rimaner sfruttati, e sfruttati sempre di più. Ora che è morto, i padroni, i politici e i sindacati lo piangono: fanno bene, era uno dei loro. I poveri, i propri morti li piangono ogni giorno sul lavoro, nelle prigioni, nelle guerre, nelle manifestazioni, in mare. Non si può piangere insieme. Non saremo certo noi a sindacare sul rapporto che ogni sfruttato, individualmente, possa avere con la violenza. Di fronte all’atto di uccidere, alla morte, ognuno è solo con la sua coscienza, col suo modo di sentire più intimo e segreto: è anche da questa solitudine che ogni povero deve saper scegliere i mezzi con i quali ribellarsi — quelli più congeniali a se stesso, alla propria indole — e non solo dal ragionamento freddo e calcolato. Su questo terreno noi stentiamo a dare giudizi stentorei, e ci fa imbestialire che i grandi quotidiani riempiano il cuore dei poveri con tanti disgustosi ricatti morali. Tutti quelli che ora gridano impauriti al ritorno della barbarie e della violenza indiscriminata dicono delle bestialità, ma le urlano talmente forte da farle sembrare plausibili. È certo che l’altra sera a Bologna sia stata perpetrata una violenza. Ma è stata ben discriminata: qualcuno ha saputo scegliere (*discriminare*, appunto), all’interno della folta schiera di coloro che lavorano per peggiorarci l’esistenza, chi colpire, quando, e perché. Ha saputo scegliere e ha saputo colpire senza coinvolgere estranei. Si può non essere d’accordo sul ragionamento che ha portato all’uccisione di Biagi, si può non essere d’accordo su questo uso della violenza. Ma dire che si sia trattato di violenza indiscriminata, di terrorismo, significa capovolgere la realtà. Ci vuole davvero una cosienza intorpidita per bersi i discorsi "nonviolenti" di un governo che ha ordinato la ferocia repressiva di Genova, che ha inviato truppe contro la popolazione civile afghana, che continua a costruire lager per clandestini, quando non li affonda in mare. "Non ci terrorizzate", dicevano gli striscioni durante i cortei della "società civile" (cioé dei partiti e dei sindacati in sfilata) nei giorni successivi. Ma dove è arrivata la macchina schiacciasassi del consenso per far credere che gli uccisori di un servo dei padroni volevano terrorizzare il "movimento dei lavoratori" (come hanno detto i dirigenti sindacali) o la "gente" (come hanno detto uomini di Stato e giornalisti)? In questa mistificazione spudorata, un immondo Michele Serra è arrivato a scrivere che gli spari contro Biagi hanno fatto riecheggiare il boato della bomba alla stazione di Bologna. Eh no, schifosi scribacchini, non tutti (e tantomeno i nonviolenti *coerenti*) sono disposti a mettere sullo stesso piano un atto di violenza rivoluzionaria e una strage di Stato. Se con queste righe abbiamo scandalizzato, oltre alla polizia politica (ci vuole così poco), i moralisti di regime, ci sembra dovuto scandalizzare un poco anche i truculenti ad ogni costo. Se è chiaro come il sole che le Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente, che hanno rivendicato il gesto, non sono affatto terroristi, è altrettanto chiaro che mirino al potere. Non amiamo, e non abbiamo mai amato, chi lotta — anche in perfetta buona fede — per ritagliarsi una fetta di potere o l’intero governo di un paese. Rimaniamo convinti che il cambiamento sociale, la distruzione della società divisa in classi, non possa passare attraverso il controllo di uno Stato, anche se questo Stato lo si chiama Operaio. Non abbiamo nessuna intenzione di mettere da parte le nostre differenze, né limitare le nostre critiche, sol perché questa organizzazione ha ammazzato un nemico anche nostro. Non ci indigniamo, dunque, per l’utilizzo delle armi o per l’attacco ad un uomo di potere, anzi: anche questo, come dicevamo, fa parte dello scontro sociale e della rivolta. Ma per farne parte fino in fondo deve essere cosa di tutti. Questo non vuol dire che si debba aspettare di essere tutti, materialmente, insieme. Vuol dire che anche quando si agisce da soli o in piccoli gruppi si abbia la consapevolezza di essere semplicemente una parte dello scontro sociale, non il suo direttivo, la sua avanguardia, o addirittura la sua coscienza. Chi desidera l’uguaglianza per il futuro, non può che cominciare ad applicarla nel presente: se si cominciano a stabilire gerarchie già da ora, ogni buona intenzione è vana. Eserciti "proletari", piccoli o grossi che siano, forse possono fare qualche cosa contro *questa* organizzazione statale, ma nulla possono contro lo sfruttamento e la divisione sociale che ogni gerarchia riproduce. Non solo. Ogni esercito, anche il più "libertario", può solo dire: "Fidatevi compagni, faccio tutto io. Voi potete applaudirci, entrare nelle nostre fila, o anche fischiare se volete". Gli sfruttati dovrebbero però rispondere di essere ben capaci di far da soli. Che si lotti in centomila in piazza, o in due nel pieno della notte, che lo si faccia con la penna o che lo si faccia con la pistola, gli sfruttati possono sperare in un cambiamento sociale veramente rivoluzionario solo quando lotteranno *di persona*, senza rappresentanti da applaudire o da fischiare. Tutto qui.
**Le sole pietre non bastano**
[[/library/guerra-sociale-palestina][Testo ripreso da un volantino distribuito a Torino, 29 marzo 2002]]
**ECCO UN PICCOLO ELENCO DI INTERESSI ECONOMICI LEGATI ALLO STATO D'ISRAELE.** All'attenzione di ciascuno completare la ricerca; alla sua fantasia trovare i metodi per boicottarli, danneggiarli, sabotarli. Agrumi: iaffa - Cosmetici: ahava, dead sea laboratones - Vini: quelli con etichetta reserved, barkan village, yarden, gamla, golan, pretzels, baigel & beigel bakery - Dolci di sesamo: halva - Datteri: iordan plains dates - Prodotti soda club - Trasporti almog trades
**Franco Rella, *Figure del male*, Feltrinelli 2002, pp. 198. 15 euro** Chi conosce i libri degli anni Novanta del professore roveretano (da *L'enigma della bellezza* in poi) avrà l'impressione, scorrendo le pagine di quest'ultimo saggio, di averle già lette: gli stessi percorsi, gli stessi autori, persino gli stessi passi citati. Non mancano, tuttavia, le pagine nuove e interessanti (su Giobbe, ad esempio, oppure sulla malinconia, da Agostino a Petrarca, da Baudelaire a Kierkegaard, da Goethe a Valéry). Ma il tema centrale scelto - l'etica - è più audace del solito, nonché più ricco di riferimenti alla storia e alla situazione attuale; l'autore deve quindi mettere maggiormente a nudo il suo cuore. Non, però, dove egli stesso crede di farlo (quando ci racconta della sua infanzia o del suo rapporto con la vecchiaia, e nemmeno crei diari o nelle poesie dei suoi *alter ego* letterari). Il nostro professore si svela là dove la sua penna si muove più sicura, seguendo la riflessione ben nota di qualche autore classico e adattandola al presente. Si leggano i seguenti passi: "Hannah Arendt ha scritto su questo tema [l'autore sta parlando dell'aria di innocenza con cui la massacratrice Biljana Pavlic, braccio destro di Karadzic, difendeva il proprio operato di fronte a un tribunale internazionale] un grande libro, *La banalità del male*. Nella *Vita della mente* esprime, ancora una volta, il suo stupore: i cliché, le frasi fatte che proteggono il criminale nazista dalla coscienza di qualsiasi colpa, da qualsiasi accusa gli tenga rivolta, da ogni prora di realtà, da ogni 'ragione'. [..] È stato anche il mio stupore quando i brigatisti rossi, Moretti, Senzani, Balzerani, che avevano insanguinato l'Italia e avvelenato le coscienze, alla fine degli anni di piombo, sono apparsi in televisione per una serie di interviste. Ricordo il loro aspetto 'normale', assolutamente 'non luciferino'[...]. Eppure quegli uomini e quelle donne avevano atteso le loro vittime davanti alla porta di casa, o dell'ufficio, le avevano guardate, avevano fissato i loro occhi spalancati di fronte alla minaccia e all'orrore e avevano sparato". (pp. 23-24). "Il male altro non è che *defectum boni*, una mancanza, una lacuna del bene. Eichmann, i terroristi, Pavlic sarebbero tutti dentro questa bolla, questa sorta di vescica vuota[...]" (p. 25). Che dire? Il nazista Eichmann, uno degli artefici della "soluzione finale"; messo nello stesso sacco coi brigati che volvano continuare la Resistenza; chi ha sterminato uomini e donne, vecchi e bambini, solo perché ebrei, zingari, handicappati o oppositori politici, con chi ha usato le armi contro alcuni responsabili dello sfruttamento, della guerra e della repressione. Qui non si tratta di critica ai progetti stalinisti, ai tribunali popolari, al gergo militare, eccetera: qui si pone sullo stesso piano il massacro dello Stato e la violenza rivoluzionaria. Forse i partigiani non aspettavano le loro vittime davanti alla porta di casa, non fissavano i loro occhi, eccetera? E siamo così sicuri che gli uomini da loro colpiti fossero sempre individualmente più responsabili di un generale che ha sperimentato il napalm in Vietnam (tanto per fare un esempio)? Nazisti anche quei partigiani, dunque... Sarebbe questa la riflessione profonda sul male e sul potere? questa truffa logica e questo abominio etico? Eccoli qui gli intellettuali che poi piagnucolano quando Berlusconi collega l'attacco alle Torri gemelle alla contestazione del G8 ("Mio figlio un fiancheggiatore del terrorismo, ma come si permette!"). Sono loro che si lamentano, in ritardo, del fatto che in nome della "lotta al terrorismo "si limita il "diritto di critica e di manifestazione". Senza chiedersi chi ha permesso simili mistificazioni e un simile (questo sì) avvelenamento delle coscienze. Non so se lo scontro sociale ricorderà dei Rella le pagine su Petrarca. Di sicuro non dimenticherà, di fronte alla polizia e alle calunnie dei giornali, la chiarezza di quelle sul concetto di terrorismo.