ACRATI

Aggraga-azione Contro la Rovinosa Avanzata della Tecnologia Industriale
Distribuzione di testi di critica radicale

La critica non è una passione della testa
ma la testa della passione.
Essa non è un bisturi ma un'arma.
Il suo scopo è il nemico
che vuole non confutare ma
annientare.
K. Marx,1844

Introduzione al catalogo - dicembre 2003

Diversi passaggi, segnati da difficoltà di intesa tra i compagni in quest’epoca che mette a dura prova le capacità di tenuta tanto dei rapporti quanto della spinta alla lotta, ci hanno portato a cambiare e ricambiare la composizione del gruppo che aveva dato origine all’esperienza di Banalità di base nel 1999, fino ad arrivare, quattro anni dopo, a rivedere il catalogo che da allora abbiamo portato in distribuzione. Per sottolineare il cambiamento avvenuto, si è deciso di presentarsi con un nuovo nome che, nella sua estensione, Aggreg-azione Contro la Rovinosa Avanzata della Tecnologia Industriale, precisa il segno che si vuole dare alla critica radicale con i testi scelti.

La vita è diventata una grossa macchina che ci sta sfuggendo di mano e il disastro incombente minaccia non solo la nostra stessa esistenza, ma anche la capacità di percepire il pericolo. Ci vuole una forte determinazione e tanta attenzione per districarsi nella subdola complessità della nuova organizzazione tecnologica del vecchio sfruttamento e per mantenere uno sguardo lucido che individui le forme che il dominio si dà nel continuare a gestire un sistema di potere fondato sulla più sfacciata arroganza del vantaggio dei pochi a spese della disperazione dei tanti. Non è mai stato così evidente come ora il fatto che una porzione assolutamente minoritaria di umani, si fa per dire, si sia appropriata non solo delle risorse disponibili, ma anche dei luoghi fisici in genere, tanto che sarebbe sufficiente osservare con un po’ di coraggio la quotidianità che ciascuno si vive per far risultare immediatamente chiaro lo stato d’assedio che è portato all’uomo e l’assurdità del continuare ad accettarlo supinamente.

Ogni spazio della vita è occupato dall’apparato tecnologico che manovra i nostri gesti nel lavoro, come pure negli altri momenti della giornata, e controlla i nostri comportamenti ovunque andiamo. Basta che ciascuno provi a guardarsi in tasca per verificare, se ancora non ha avuto la voglia di farlo, come è bene equipaggiato per non sfuggire al Grande Mercato. Dall’immancabile cellulare, preziosissima fonte di informazioni su dove si è e con chi si sceglie di parlare, alla carta di credito o al bancomat, utili per allestire quelle banche dati nelle quali inserire le nostre indicazioni sui “gusti” rimasti e sulle merci preferite; dai tesserini di riconoscimento magnetici per accedere financo nel proprio appartamento, a qualsiasi aggeggio consenta di seguirci nei nostri poveri spostamenti. Fuori dai percorsi segnati non c’è più margine di movimento, se tentiamo di allargarci un po’ un allarme darà il segnale e avvertirà dei punti che abbiamo perso nella patente del bravo cittadino; ancora poco più in là e a manganellate saremo direttamente accompagnati verso gli appositi contenitori a sbarre per i rifiuti non riciclabili.

Vivere accerchiati da merci e strumenti che non solo non ci “servono” davvero e non corrispondono ad alcun bisogno umano, ma di cui nemmeno conosciamo il contenuto o il funzionamento, ci depriva della capacità del saper agire nel mondo e ci rende, di fronte alle devastazioni che l’abuso e il sopruso dei mezzi tecnici provocano su di noi e sulla natura, ancora più impotenti e alla mercè dei soliti specialisti della gestione, della perpetrazione del disastro. Prestarci passivamente al gioco degli apprendisti stregoni, che si baloccano con l’idea grandiosa d’essere dio avendo ora ottenuto di intervenire direttamente sull’uomo con la pretesa di correggerne le caratteristiche “inadeguate”, significa semplicemente lasciarsi suicidare.

Ma in cambio di cosa ci si presta a una vita da automi regolata da ritmi meccanici?

Perché mai dovrebbe avere un senso lavorare (lasciarsi sfruttare) in perfetta precarietà e senza nemmeno riuscire a portare a casa né il denaro sufficiente per vivere né la certezza di potersi assicurare la sopravvivenza anche nei mesi successivi? quale beneficio potremmo mai derivare dal mangiare surrogati dagli imprevedibili effetti nocivi e dall’invece prevedibilissima assenza di gusto? e dal coltivare i campi come se fossero laboratori chimici di sperimentazione? ancora, allargando lo sguardo, perché mai dovremmo accettare di vedere interi popoli invasi da strafottenze straniere che si arrogano il “diritto” di andarsi a gestire sul posto i loro loschi interessi? o di assistere ad agghiaccianti violenze quotidiane, su gente rinchiusa in riserve, che i Tg trasmettono con la spietata indifferenza di una notizia tra le altre? o di consegnare almeno tre quarti del mondo alla fame e a farsi niente più che pattumiera tossica?

Ora, è un esercizio deprimente anche il solo elencare gli elementi che provano la perdita di sensatezza dell’organizzazione sociale che stiamo subendo, sia che si pensi all’avvilimento quotidiano, qui nel nostro “avanzato” mondo occidentale, sia che ci si provi a mettere nei panni di un migrante accatastato in una carretta del mare o in quelli di un afgano su cui piovono bombe intelligenti. Un sistema terrorizzato dal “terrorismo” evidentemente sa di dominare con il terrore, quel medesimo terrore che usa poi per proporsi come unico garante della “incolumità” contro mostri creati ad hoc. Ma, benché a nessuno dovrebbe sfuggire l’assurdità di continuare a lasciarsi ingannare e schiacciare così, qua non si vede l’ombra di una reazione nemmeno minimamente adeguata, né la forza di sostenere e rilanciare quelle lotte che questa reazione mostrano di avere (vedi ad esempio l’insurrezione algerina che resiste da quasi tre anni nonostante il silenzio e l’isolamento con cui tentano di seppellirla).

Siamo sopraffatti da una trasformazione spettacolare dello sfruttamento: dalla “semplice” appropriazione di lavoro altrui per ottenere profitto, alla colonizzazione dell’intera esistenza per lucrare su ogni forma di espressione umana (lo svago ad esempio) fino all’annienta­mento dell’uomo stesso ad opera delle macchine introdotte per “sostituirlo nella fatica” – valere a dire per amplificare il rendimento del lavoro umano – ma che hanno finito per sostituirlo tout court. L’uomo è obsoleto, nel senso che funziona peggio della macchina tecnologica nell’adempiere ai compiti necessari per il mantenimento all’ingrasso dei pochi potenti; con le sue pretese rende più difficile “progredire” senza intoppi e i suoi errori risultano intollerabili di fronte all’efficienza del dispositivo cibernetico, tanto da richiedere un’inversione del processo: dalla macchina a immagine e somiglianza dell’uomo, all’uomo a immagine e somiglianza della macchina. Non essendo più in possesso delle conoscenze necessarie per sapere verso cosa e verso dove sta andando, egli ha perso la coscienza dell’effetto delle sue stesse creazioni.

Il disorientamento è talmente forte da far prevalere la convinzione che sia ormai impossibile riprendere il controllo sulla vita e fermare la folle corsa verso il nostro annientamento. Pare che non si possa ambire ad altro che porre qualche freno all’ingordigia dei potenti con le bandierine della pace o rimediare ai subcibi che ingoiamo con un’etichet­tatura. Si è così rimbecilliti da pensare che quando si “contesta” lo si debba fare dimostrando quanto si è calmi e composti nel dire che il mondo così proprio non va e nel seguire quei bravi oppositori che non si propongono altro che di sostituire, in quanto esperti più competenti (vedi controvertici), gli specialisti attuali nella gestione delle nocività e nel compito di… salvare il sistema. Per le ingiustizie troppo palesi o per i disastri inoccultabili c’è sempre il rimedio della forma neomoderna della carità, il volontariato, o del marciare colorati e festosi con i social forum. Così si potrà zittire la coscienza senza rischiare di vedersi intrappolati nelle gabbie dei tutori del loro ordine.


Tra l’insensatezza onnipresente e la rappresentazione di una contaminata opposizione ad essa, è arduo trovare uno spazio di agire critico.

Portando in giro i nostri contributi scritti come strumenti per mantenere un barlume di lucidità su come stanno andando le questioni che ci riguardano, tutti, e sull’irrimandabile necessità di reagire sempre e con ogni forza disponibile, abbiamo ancora la pretesa, forse ormai pure patetica, di tentare di opporci a tutto questo. Lo scopo che vogliamo dare alla distribuzione è mettere alle strette l’esistente per tentare di rovesciarlo. I testi in catalogo sono rivolti a tutti coloro che vedono e sentono l’umiliazione costante e la disumanizzazione incalzante come un insostenibile fardello. Quel che ci interessa è stimolare una riflessione chiarificatrice sulle cause di tanta sofferenza che porti, finalmente, a un cambiamento nel significato, nella direzione da dare alle nostre scelte. Solo dalla considerazione della necessità vitale di abbattere l’attuale ordine delle cose può nascere il desiderio di una comunità umana in cui i rapporti, non più mediati da interessi mercificati, siano fondati sulle passioni.

Le forze sono limitate, ma non la tensione a cercare altri con cui condividere l’impegno per mantenere in vita la capacità di pensare e di agire ribelle. Ribelle al tentativo di annichilire l’uomo alla tecnica e di renderlo definitiva­men­te arreso allo sfruttamento. L’intento è quello di non lasciare agire senza disturbo i manovratori, che siano essi ai posti di comando o nei retrobottega dove si allestisce il mondo, di raccontare e sabotare quello che fanno, perché chi ha la possibilità di reagire lo faccia. Non ci arrendiamo a pensare che il malessere dilagante non possa e non debba, prima o poi, prendere consapevolezza delle cause che lo hanno generato e dell’unico rimedio possibile: il loro superamento attraverso un percorso di lotta che, rifiutando scelte passive e illusorie destinate a placare il dolore della coscienza, porti a disertare i ruoli imposti e i comportamenti più o meno consapevolmente assunti. Noi vogliamo tentare di spingere, con tutti i mezzi che abbiamo, perché questo accada “più prima che poi”.

Questa prospettiva di lotta, articolata sulla critica radicale, è il criterio che ci ha guidati nella scelta dei testi che distribuiamo. I diversi contributi raccolti sono legati dall’ostilità al dominio e dal proposito di abbatterlo, ma soprat­tutto dalla capacità di procedere dal particolare al generale senza perdere mai di vista il cuore del bersaglio: l’organizzazione sociale del dominio espressa dal capitale nella sua ultima trasformazione storica, la società tecno-industriale.