Per richieste: Massimiliano Martino - C.P. 278 - 40100 Bologna


"Los Amigos de Ludd" n. 1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7 - 2euro cad.

Il primo numero del bollettino è uscito in Spagna nel dicembre 2001 e continua tuttora ad essere pubblicato con una frequenza più o meno semestrale. Nella versione italiana sono pronti i primi due numeri e in preparazione i successivi.

Gli autori intendono stendere un salutare discredito nei confronti della società industriale. Una volta identificata l’industria come il dominio tecnificato del capitale per i fini del capitale, la critica del capitalismo e la critica dell’industria diventano sinonimi giacché l’industria non è semplicemente un mezzo, bensì il mezzo oggettivo del capitale con il quale esso giunge ad intensificare la produzione. Los Amigos de Ludd ripercorrono i passaggi della resistenza, passata e attuale, all’imposizione del macchinismo e dell’industria (sabotaggi, scioperi, rivolte) facendo riemergere i modi di vita e di produzione pre-industriali, non per invitare ad un improponibile ritorno al passato ma per sostenere la necessità della riappropriazione di quel saper fare del quale siamo stati spossessati. Attraverso le loro analisi, gli studi storici, la proposizione di altri contributi e le recensioni criticano senza sosta l’industrialismo e tutte le illusioni progressiste, cercando contemporeanamente i mezzi pratici per liberarsi della gigantesca rete di bisogni fittizi che l’industria ha generato.


Per la critica della tecnologia, Crestomazie acratiche (2003), pp.150 - 7euro

Raccolta di testi di: Karl Marx, Frammento sulla macchina [1857-1858]; Raniero Panzie­ri, Sull’uso capitalistico delle macchine nel neocapitalismo [1961]; Herbert Marcuse, Le nuove forme di controllo [1964]; Giorgio Cesa­rano e Gianni Collu, La preistoria come presente [1972]; David F. Noble, La tecnologia nel presente [1983]; Günther Anders, Florilegio [1966-79]. > Leggi la presentazione e la postfazione


Per la critica della merce, Crestomazie acratiche (2003), pp.100 - 4 euro

Raccolta di testi di: Karl Marx, Il carattere di feticcio della merce e il suo arcano [1867]; György Lukács, Il fenomeno della reificazione [1922]; Walter Benjamin, Parigi capitale del XIX secolo [1927-1940]; Jean Garnault (Internazionale situazio­ni­sta), Le struttu­re elementari della reificazione [1966]; Günther Anders, I Prodotti [1958].

Nelle trasformazioni che ha subito dopo Marx, la merce ha consolidato il suo carattere di feticcio: se un tempo si limitava a rivestire, nel lavoro salariato, i prodotti dell’attività dell’uomo, ha ora finito per spogliarli di ogni umanità; si è autonomizzata e ha preteso di modificare l’uomo e il mondo per adattarli ai suoi scopi; ha generato un individuo isolato, privato della ricchezza dei suoi rapporti sociali. La merce è la prassi del potere: non solamente il principio di dissoluzione di tutti i precedenti modi di vita, per quello che mantenevano come margine di autosussistenza, ma anche un sistema di rappresentazione del mondo e una forma d’azione su di esso; la merce ha ridotto l’insieme della realtà sociale ad un campo misurabile e instaurato quindi la dominazione totalitaria del quantitativo esteso a tutte le espressioni della vita.

Intorno al Drago. La droga e il suo spettacolo sociale, a cura di Riccardo d’Este [1990], Banalità di base (1999), pp.90 - 3euro

Salta agli occhi che il concetto di droga è assolutamente inadeguato, generico, indifferenziato ed usato per lo più in senso terroristico e criminalizzante. La droga in questo senso è appunto il Drago, il mostro che decreta l’emergenza, la guerra santa che funziona come massimo collante all’interno di una nazione e nei rapporti fra nazioni. Non interessa quindi stabilire quale tra i San Giorgio sia da preferire, se la legalizzazione sia migliore del proibizionismo, se sia più opportuna la comunità di recupero o il carcere. Interessa invece stabilire che ci troviamo in una società drogata, drogogena, e drogorepressiva, che la droga, proprio per la sua proibizione, è il business del secolo, la merce per eccellenza, il cui valore di scambio si è quasi totalmente autonomizzato dal valore d’uso; che droga-Drago e Stato sono interconnessi e interdipendenti, entrambi valorizzando la necessità del controllo etero ed auto diretto; che la ricompattazione morale contro il Drago è il trionfo della glaciazione sociale; che la droga appare “bella” perché la sopravvivenza sociale è orribile, grigia, incolore; che non si va lontano, tranne che per i politici e le loro menzogne, “studiando” soluzioni limitate; che se la droga – intesa non come insieme di sostanze ma come Drago – è il male del secolo, con la degna coda spaventevole dell’Aids, essa è la figlia naturale di cotanti genitori: la società del capitale e dello spettacolo.


Apologia per l’Insurrezione algerina, Jaime Semprun [2001] , a cura di alcuni amici italiani degli Aarch (2002), pp. 72 - 3euro

A quasi due anni dall’inizio dell’insurrezione, la lotta continua. In questi mesi il potere ha giocato ogni carta a sua disposizione per sedare la rivolta, senza peraltro riuscirvi. Gli abitanti della Cabilia, organizzati in modo orizzontale mediante coordinamenti di Aarch, autonome assemblee di villaggio in cui le decisioni vengono prese consensualmente, hanno dimostrato una tenacia e una determinazione incrollabili. Eppure, sebbene non siano mancate esplosioni di rabbia in tutto il paese, l’insurrezione in Cabilia è rimasta sinora isolata. Calunniata e fatta passare per una battaglia separatista nel resto dell’Algeria, del tutto taciuta e occultata dai mezzi d’informazione negli altri paesi, è stata ignorata completamente anche dai professionisti della solidarietà internazionale: evidentemente una lotta realmente auto-organizzata, senza capi e senza partiti, costituisce un esempio scomodo persino per loro. In questa pubblicazione, oltre alla traduzione del testo di J. Semprun, sono stati raccolti altri interventi apparsi in Francia e in Italia nel corso del 2002 e sono stati riportati in appendice i principali documenti redatti dai coordinamenti degli Aarch, Daïra e comuni.


Fare della malattia un’arma, S.P.K. [1971], Banalità di base (2000), pp.68 - 3euro

È nella clinica psichiatrica di Heidelberg che nasce l’S.P.K. (Collettivo socialista dei pazienti dell’Università di Heidelberg), un’esperienza radicale di autogestione della cura che coinvolse più di 500 pazienti in condizioni difficilissime tra l’ottobre del 1970 e l’agosto 1971. Gli inizi furono riformisti, l’aspirazione al riconoscimento come struttura interna all’università fu sempre presente. Ma il far prevalere i desideri dei disgraziati utenti della psichiatria e farlo con virtuale abolizione delle funzioni medico-paziente, era veramente troppo e l’esperienza si concluse con una liquidazione poliziesca. L’S.P.K. mise a punto un’interessante riformulazione dei concetti di malattia, intesa come segno di rottura con il sistema che la provoca, attraverso la quale acquisire identità politica, e di sintomo, visto come segno dell’inibizione della protesta. L’obiettivo dell’agitazione era l’utilizzazione del momento “progressista” della malattia, la protesta, e della sua organizzazione collettiva. Il metodo di lavoro seguito nei gruppi dei pazienti era fondato sulla dialettica hegeliana e la critica marxista dell’economia politica.


Arrabbiati e situazionisti nel movimento delle occupazioni, René Viénet [1968], Banalità di base (1999), pp.80 - 3euro

Le strade erano di chi le disselciava. La vita quotidiana, improvvisamente riscoperta, diventava il centro di tutte le possibili conquiste. Gente che aveva sempre lavorato negli uffici, ora occupati, dichiarava di non poter vivere come prima e nemmeno un po’ meglio di prima. Nella rivoluzione nascente c’era la netta sensazione che non vi sarebbero più stati arretramenti, né rinunce… Senza treni, senza metrò, senza macchine, senza lavoro, gli scioperanti recuperavano il tempo così tristemente perduto nelle fabbriche, sulle strade, davanti alla televisione. Si gironzolava, si sognava, si imparava a vivere. Una ristampa del testo di Viénet, dove viene esposto come i situazionisti e gli Arrabbiati tentarono di radicalizzare in senso rivoluzionario le lotte operaie e studentesche nel periodo del maggio-giugno 1968 a Nanterre, nel primo Comitato di occupazione della Sorbona e nel Comitato per il mantenimento delle occupazioni.


Protesta davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni del 1937, Un «incontrolado» della Colonna di Ferro [1937], Banalità di base (2000), pp.44 - 2euro

Questa colonna “intransigente” si era lungamente opposta alla nuova politica centralista e autoritaria della cnt-fai. Per questo motivo si trova sottoposta a un’intensissima campagna denigratoria. Uno dei pretesti più spesso utilizzati in questa campagna fu che i militanti anarchici che la formavano avevano aperto a Valencia le prigioni della città, liberando tanto i detenuti politici quanto quelli comuni. Alcuni di quest’ultimi si erano aggregati come volontari alla Colonna di Ferro, che combatté, durante tutto questo periodo, sul fronte di Teruel (nel sud dell’Aragona). La presenza in seno alla colonna di ex detenuti comuni non poteva che scandalizzare tutti i partigiani dell’ordine borghese. Ma permettere a dei borsaioli, a dei ruffiani di quartiere e ad altra gente del genere di diventare dei combattenti rivoluzionari non è forse un modo come un altro di “cambiare la vita”?


Rivoluzione e fronte popolare in Spagna ‘36 / ‘39 [1973] , Banalità di base (2001), pp.88 - 6euro

La mistificazione sulla Rivoluzione spagnola è stata operata così bene da tutti (ma soprattutto dalla sinistra), che è stata trasformata in guerra civile, lotta antifascista, prologo alla seconda guerra mondiale, lotta per la democrazia etc., tutto, insomma, meno quello che fu effettivamente: una Rivoluzione. Non che gli altri problemi non esistessero, ma essi vanno considerati in rapporto alla Rivoluzione e non gli unici elementi della realtà in cui la Rivoluzione si disperde come agglomerato di episodi non significativi né essenziali. In Spagna, i rivoluzionari si trovarono a combattere, in modo ancora largamente istituzionale, un capitale già sulla via dell’organicità totalitaria, a livello mondiale. Cercarono di superare le istituzioni, riuscendovi solo in parte, perché il capitale non era più identificabile o con il fascismo o con la democrazia o con il totalitarismo burocratico (staliniano), ma con tutte e tre le forme nello stesso tempo, a seconda delle necessità del momento. Su questa strada della comprensione della realtà, i rivoluzionari spagnoli andarono avanti, come il testo spera di mostrare, in modo eccezionale data la situazione. “Un assedio”, diceva Berneri a Barcellona, su “Guerra di classe”: era vero, e lo capirono. E da quest’assedio mondiale furono sconfitti.

Lettere agli eretici. Epistolario con i dirigenti della nuova sinistra italiana, Enrico Berlinguer [1977], con allegato, Il caso Berlinguer e la casa Einaudi. Corrispondenza recente, Anonimo [1978], ristampa (2003), pp.116 - 4euro

Queste lettere di Enrico Berlinguer propongono alla riflessione pubblica le modalità possibili di gestione del potere nella presente realtà italiana. In un momento in cui i conflitti economico-sociali del paese tendono a condurlo verso la disgregazione e i centri di potere si moltiplicano virtualmente all’infinito, Berlinguer interpreta questo stato di cose come necessario in vista di una gestione della realtà non più fondata sul comando, ma sul consenso, ovvero sulla precostituzione del dissenso. Gli antagonismi politici contingenti sono allora visti come momenti dialettici di un’amministrazione del potere che muove perennemente verso forme superiori, ma che tuttavia non può estinguersi, pena la barbarie. In questo falso, l’autore ridicolizza Berlinguer e tutte le vedettes della nuova sinistra, prendendosi gioco dello spettacolo della ribellione.

“Insurrezione”, numero unico del 1980, ristampa (2003), pp.60, 4euro

Non sono ammessi attori, né recite, dato che si tratta di mettere fine alla rappresentazione e abbattere il teatro. Nessuna collettività agente può sorgere se non sull’incontro dei rivoluzionari, sulla base di una spinta profonda che può non essere possibile spiegare razionalmente, sulla base di una passione sufficiente a bruciare qualsiasi secondo fine, invidia, competizione, disistima o ostilità nascosta, risentimento. Questa passione è la sola parola d’ordine con cui i rivoluzionari si riconoscono. La coerenza e il coraggio nel sostenerla sono le sole garanzie del passaggio dalla sfera individuale, o di piccoli gruppi fondati su affinità psicologiche o sentimentali, alla sfera collettiva, dove un insieme di realtà, socialmente disomogenee, sappia muoversi verso dei fini precisi e dichiarati. Non rinunciando a nessuna delle nostre lotte particolari, in ogni luogo e in ogni momento, ci poniamo nella prospettiva concreta della loro generalizzazione e della costruzione di una realtà in lotta che sia superiore a tutte le volontà particolari che l’hanno costruita.


“Insurrezione”, numero unico del 1978, ristampa (2003), pp.24, 2euro

Le note che seguono, scritte a caldo e rielaborate poi nella solitudine del dopo, risentono a tratti di un certo trionfalismo. Si trattava allora, sull’onda di un entusiasmo consapevole, di pensare le ragioni di una rivolta alla ricerca di se stessa. Rivendicarne l’importanza, sostenerne la possibilità, non era meno importante del enumerarne i ritardi. Il movimento che nel corso del ‘77 ha potentemente scosso il progetto di domesticazione del sociale gestito con il concorso del partito detto comunista, è ormai parte della storia e non è nostra intenzione spiegarla o farne l’archeologia. Piuttosto, in questo momento di riflusso e di relativa pace sociale, riteniamo importante rispondere ad una serie di interrogativi molto più generici e generalmente dati per scontati. Quali sono le caratteristiche di questo movimento? Qual’è la sua composizione sociale? Qual è il significato degli eventi che hanno sconvolto il paese?


“Insurrezione”, numero unico del 1977, ristampa (2003), pp.4, senza prezzo

Conseguito il suo dominio reale sull’esistente, il capitale produce donne e uomini separati, autonomizzati, disintegrati, inessenti, non-viventi, identici ad ogni altra merce. L’essere umano è negato: chi non affermi se stesso quale merce in circolazione, valore di scambio, non è, non c’è. Ma, nel percepirsi estraniati dalla circolazione (ed estranei ad essa) donne e uomini possono chieder ragione delle sue promesse inadempiute al mondo delle Merci e scontrarsi con l’evidenza del loro essere (stati) aboliti. E allora, se vogliono vivere, donne e uomini aboliscono le cose che li hanno aboliti, negano le merci che li hanno negati: bruciano.


“Comontismo. Per l’ultima internazionale”, numero unico del 1972, ristampa (2002), pp.60, 3euro

Il superamento che i comontisti intendono realizzare rispetto al loro recente passato, prima che essere una conseguenza teorica, trae la propria necessità dalla pratica e da questa principalmente può essere desunto. Infatti la comunità di intenti e d’azione, alla cui costruzione Comontismo tende, più che il prodotto di una continuità storica è il frutto e l’espressione coerente della rivoluzione in atto, che rompe ogni continuità, anche se riconosce in certe forme rivoluzionarie del passato le sue premesse, sia pure in forme incoerenti. Dal momento che essa non può riconoscere altra pratica ed altra finalità che quella del piacere coscientemente vissuto e organizzato, necessariamente antitetico alla reificazione ed alla sopravvivenza, la comunità d’azione non è più in alcun modo ricollegabile alle passate organizzazioni consiliari, e per ciò stesso non può essere ridotta a vuoto feticcio dai mille usi (cfr. l’uso strumentale ed indiscriminato delle tesi consiliari da parte di tutta la sinistra tradizionale, dal PSI fino a Potere Operaio attraverso la mediazione neogramsciana del Manifesto e di simili gruppi tardoconsiliari). Al contrario, poiché la comunità d’azione si pone con il proprio modo di vita, con l’intera sua quotidianità, in un’ottica dove ogni parzialità, ogni separazione tra soggettivo e oggettivo, tra teorico e pratico, tra nucleo eversivo e rivoluzione globale, tende dialetticamente a risolversi, essa costituisce col solo limite quantitativo (e per ciò, trattandosi di individui coscienti, qualitativo) che il livello attuale dello scontro anticapitalista impone, la più completa espressione della nascente “classe umana” (erede storica del proletariato rivoluzionario), negatrice del capitale, del dominio delle cose sugli uomini.


Contratti o sabotaggio, Comontismo, pp.28, 1.60euro

Ristampa di un opuscolo uscito nei primi anni Settanta. «State calmi! Noi non siamo fuggiti, non siamo battuti… Perché Comontismo significa fuoco e spirito, anima e cuore, volontà e azione, della rivoluzione del proletariato. Nonostante tutto!».


Verso l’abolizione di ogni codice presente e futuro, Anonimo [1972], Banalità di base (2000), pp.52, 1.50euro

«Noi ci riconosciamo nei moderni rivoluzionari. Intendiamo vivere nel piacere e nell’illegalità poiché ciò soltanto ci dà gioia. La dissoluzione di tutto ciò che esiste è l’unica via che può condurci alla realizzazione del piacere assoluto. Ma, soprattutto, vogliamo che altri, sempre più numerosi, abbandonino il loro stato di masochismo servile per intraprendere arditamente la strada del piacere assoluto. Criminali di tutto il mondo unitevi». Questo in sintesi il “programma” dell’Organizzazione Consiliare sorta a Torino nel 1970 ad opera di un gruppo di individui che, da comuni esperienze carcerarie e non, trassero indicazioni positive per un rilancio dell’attività rivoluzionaria, esteso questa volta a categorie fino ad allora giudicate “impraticabili”, come la teppa e la criminalità. L’anonimo estensore di questo pamphlet, a partire dalla disamina delle varie opinioni sui reati d’opinione e sui reati comuni, mostra come le ideologie politiche, da quella democratica a quella estremista, non abbiano altro scopo che mistificare e nascondere le reali opposizioni al sistema mercantile, riconducendo tutto dentro le regole del gioco politico e sociale. Blaterano tanto intorno alla libertà d’opinione perché non va loro a genio l’unica opinione che sta venendo a galla: quella che non sopporta più l’esistenza della merce e si fa pratica.

Terrorismo o rivoluzione, Raoul Vaneigem [1972], Banalità di base (1999), pp.42 - 2euro

Questo testo serviva da prefazione agli scritti di Ernest Coeurderoy raccolti sotto il titolo Pour la révolution. Il sistema economico sociale riduce progressivamente la cultura a spettacolo e imbriglia la creatività nella rete del feticismo delle merci. Alla cultura non resta che negarsi realizzandosi nel potere assoluto del vissuto. Tutto o niente ma non la sopravvivenza. La rivoluzione o il terrorismo. Se si vuole evitare che la logica di morte del terrorismo abbia il sopravvento, bisogna aprire la porta alla libera espressività anonima e coscientemente orientata contro l’ordine delle cose, non contro i suoi servitori. Le ideologie se la prendono con gli uomini, il gioco sovversivo con le condizioni economiche. Il terrorismo mostra ai piccoli capi che se non mangiano i grandi saranno mangiati per primi. Il ludico sovversivo si accontenta di scuotere l’albero di cocco della gerarchia affinché non vi resti nessuno – se non coloro che si sono messi troppo in alto o che ci si aggrappano – nel momento di bruciarlo.

Della miseria dell’ambiente studentesco considerata nei suoi aspetti economico, politico, psicologico, sessuale e specialmente intellettuale e di alcuni mezzi per porvi rimedio, Alcuni membri dell’Internazionale situazionista e studenti di Strasburgo [1966], Banalità di base (2000), pp.52 - 1,50euro

Nel 1966 all’università di Strasburgo veniva distribuito questo documento che contribuì allo sviluppo, nell’ambiente studentesco, delle idee e delle pratiche che sfociarono nel vasto movimento di rivolta del Maggio francese. Trasformare il mondo e cambiare la vita sono per il proletario un’unica cosa […]. Le rivoluzioni proletarie saranno delle feste o non saranno affatto, perché la vita che esse annunciano sarà essa stessa creata all’insegna della festa. Il gioco è la ratio profonda di questa festa. Le sue uniche regole saranno: vivere senza tempo morto e godere senza ostacoli. Fin de l’Université.


La crisi del marxismo, Karl Korsch [1935-1950], Banalità di base (2000), pp.48 - 1,50euro

Dopo una vita passata nello studio e nella difesa del marxismo, Korsch ha messo in luce i punti particolarmente critici di esso: l’attaccamento alle forme politiche della rivoluzione borghese, la subordinazione al modello inglese, la sopravvalutazione del ruolo dello stato come strumento della rivoluzione sociale. Resosi conto dell’agire marxiano e restio ad accogliere gli obiettivi e l’organizzazione autonoma degli operai, non poteva, dal punto di vista della classe, che trarne le conseguenze: tutti i tentativi di restaurare la dottrina marxiana come un tutto e nella sua funzione originaria di teoria della rivoluzione della classe operaia, sono oggi utopie reazionarie.

Lo Stato astuto, Michel Bounan [1992], Banalità di base (1999), pp.40, 1euro

Nel 1864 Maurice Joly scrive il Dialogo agli inferi tra Machiavelli e Montesquieu, in cui descrive lo Stato moderno come un sistema di governo fondato su un complotto permanente ed occulto per mantenere indefinitamente la servitù, sopprimendo, per la prima volta nella storia, la coscienza di questa infelice condizione. Il Dialogo viene sequestrato dalla polizia e l’autore imprigionato. A inizio secolo una contraffazione poliziesca di questo libro, I Protocolli dei savi di Sion, diventerà il libro più venduto al mondo dopo la Bibbia. Il complotto statale per il mantenimento dell’ordine, descritto da Joly, verrà trasformato, ne I Protocolli, in un complotto ebreo teso a impadronirsi del mondo, evidenziando la capacità dello Stato moderno di manipolare e recuperare ciò che gli è ostile, rovesciandolo in strumento di perpetuazione del proprio dominio.


La congiura del conte Gian Luigi Fieschi, Jean-François-Paul de Gondi Cardinale di Retz [1639], Banalità di base (2000), pp.56, 2euro

Avverso alla concezione oggettiva della storia, e conscio della necessità di interpretarla e muoverla ai propri fini, Paul de Gondi redigeva nel 1639 un pamphlet in cui il protagonista, l’ambizioso conte di Fieschi vissuto nel secolo precedente, elabora fin nei minimi dettagli la strategia per rovesciare Andrea Doria, preoccupandosi in primo luogo di spingere i possibili alleati a schierarsi con la massima risolutezza dalla sua parte. Il pamphlet era, per via di allusioni ed insinuazioni, un duro attacco alla tirannia di Richelieu, contemporaneo di Retz. Il contrario di quanto facevano diversi autori in voga nella sua epoca che, volendo far credere di essere imparziali, di fatto raccontavano questa vicenda in modo da suscitare l’orrore delle cospirazioni. In appendice brevi note sull’opera principale di Retz: i Mémoires.

 
 

Il sito guerrasociale.org non è più attivo da molto tempo. In queste pagine sono stati raccolti e archiviati in maniera pressoché automatica tutti i testi pubblicati. Attenzione: gli indirizzi (caselle postali, spazi occupati, centri di documentazione, email, ecc.) sono quelli riportati nella pubblicazione originale. Non se ne garantisce quindi in nessun modo l'accuratezza.